TITOLO ORIGINALE: Birds of Prey and the Fantabulous Emancipation of One Harley Quinn
USCITA ITALIA: 6 febbraio 2020
USCITA USA: 7 febbraio 2020
REGIA: Cathy Yan
SCENEGGIATURA: Christina Hodson
GENERE: azione, commedia
Cathy Yan firma lo spin-off del celebre Suicide Squad, focalizzandosi sulla figura, rinascente e parzialmente emancipata, di Harley Quinn e su nuove comparse per un film completamente al femminile. Scene d’azione pirotecniche, un comparto visivo di tutto rispetto e una colonna sonora ritmata abbelliscono una pellicola che, da un punto di vista narrativo, ha poco e nulla, diventando ben presto un grande videogioco fumettoso
Dopo il successo di Suicide Squad di David Ayer – che, seppur abbia avuto moltissimo successo, qualitativamente, si presenta come un prodotto estremamente scadente -, un ritorno dell’arlecchina più pazza di tutte era quanto mai scontato. Perno attorno a cui ruotava tutta la vicenda della pellicola sulla squadra di supercattivi Dc, il carisma e la potenza iconica del personaggio di Harley Quinn hanno reso possibile, fin da subito, la sua inclusione nell’immaginario comune e popolare di tutto il mondo. Cosplay, fan fiction, fan art, merchandise. Il personaggio fumettistico, nato dall’immaginazione di Paul Dini e Bruce Timm, era praticamente ovunque, nei mesi successivi all’uscita di Suicide Squad nelle sale di tutto il pianeta. Inoltre, la sua relazione con Joker è ormai un cliché e il merito di tutto questo successo è da ricercare, senza dubbio, nell’interpretazione caricata, ma ispiratissima che Margot Robbie dimostra nel cinecomic Dc. Quattro anni dopo la distribuzione internazionale del film di Ayer, Harleen Quinzel torna sul grande schermo, apparentemente, in gran lustro. Libera ed emancipata dopo la rottura con Joker, la fu psichiatra vive, finalmente, come avrebbe sempre voluto: senza nessuno da cui dipendere o per cui lavorare e libera di intendere e di volere senza un burattinaio che la manovri. Purtroppo, c’è soltanto un piccolo problema. Nessuno, in città, crede alla sua separazione definitiva dal pagliaccio del crimine di Gotham City. Ha provato a dirlo a qualcuno, ma questi non sembrano crederle, pensando, probabilmente, che sia solo un’altra delle loro litigate temporanee e violente. Per affermare la sua emancipazione ed indipendenza da Mister J, Harley decide, perciò, di mandare un messaggio abbastanza chiaro e diretto: ruba un’autocisterna e la fa schiantare contro lo stabilimento della Ace Chemicals, luogo in cui la nostra Harley aveva deciso, spinta da Joker, a rinunciare alla sua vecchia identità, diventando, a tutti gli effetti, la sua partner in crime. Intanto, a Gotham, la scena criminale si è ampliata e arricchita di nuovi volti come, per esempio, quelli di Roman Sionis, alias Black Mask – discendente di una delle famiglie più ricche ed influenti della città, personaggio dai comportamenti fortemente infantili ed irrazionali -, e del suo socio Victor Zsasz – pazzo omicida che si diverte a scuoiare le persone e a marchiarsi sulla pelle ogni singola uccisione che ha perpetrato. I due sono alla ricerca del diamante perduto dei Bertinelli – famiglia criminale di Gotham, assassinata in una lotta di potere tra clan -, contenente, al suo interno, i codici per accedere alla loro inestimabile ricchezza.
Ora che ho tagliato i ponti con Mister J. sto scoprendo che un sacco di gente mi vuole morta…
Harley Quinn (Margot Robbie) nel film
Con l’esplosione della Ace Chemicals, il messaggio di Harley arriva dritto al punto. Peccato, però, che, con la fine della protezione del nome di Joker sul suo capo, tutti i torti causati dall’arlecchina tornino a galla e numerosi criminali di Gotham vogliano la sua pelle. Tra questi c’è anche Black Mask che, dopo un arduo tentativo di convincimento, decide di fare un accordo con quest’ultima, ordinandole di andare a recuperare il preziosissimo diamante dei Bertinelli. Tuttavia, tra i protagonisti della pellicola non troviamo soltanto l’ex-fiamma del pagliaccio assassino, ma anche le cosidette Birds of Prey. Ma chi sono queste simpatiche donzelle e cos’è che le accomuna? Beh, non molto in effetti, a parte il fatto che sono tutte figure femminili estremamente cazzute – in qualche caso, addirittura androgine – e che tutte sono, in un modo o nell’altro, legate a Black Mask. Nella sua ricerca e missione, Harley Quinn fa la conoscenza, quindi, di Black Canary – protetta di Sionis dalla voce micidiale e dalle innate abilità combattive -, Renee Montoya – poliziotta che sta tentando di mettere in galera Black Mask per i suoi crimini -, Cacciatrice – arciera misteriosa e killer strepitosa, legata, in modo sorprendente, al criminale mascherato – ed, infine, Cassandra Caine – ladruncola estremamente abile, che diventerà il motore principale dell’azione. Dopo la gestione di David Ayer del personaggio di Harley Quinn e dei loschi figuri che popolano la Suicide Squad, nel film omonimo, l’arlecchina del crimine passa in mano a Cathy Yan, regista esordiente, qui, al suo secondo lungometraggio. Pur essendo tutt’altro che affermata, la Yan valorizza il personaggio di Harley Quinn molto meglio di quanto fece, all’epoca, Ayer con il suo Suicide Squad. Lo stesso vale anche per i restanti membri del team delle Birds of Prey e per i villain che, da un punto di vista visivo ed estetico, risultano estremamente valorizzati dalla sua mano registica. La Yan dimostra, inoltre, una consapevolezza ed una capacità veramente impressionanti nel dirigere e nel costruire sequenze action rocambolesche, pirotecniche e completamente pazze. Da un punto di vista registico e visivo, difatti, questo Birds of Prey si mantiene su standard abbastanza buoni, soprattutto, se inserito nell’ottica dell’universo cinematografico Dc Comics – non sempre brillante, parlando di tecnica. Le sequenze di combattimento, inseguimento, esplosive ed inarrestabili, sono veramente facili e scorrevoli da seguire e il tutto è drasticamente assistito da un montaggio puntuale e rigoroso che scandisce molto bene le differenti scene e, allo stesso tempo, preserva la chiarezza di movimenti, colpi, sparatorie ed esplosioni.
Tutto ciò dona al film un ritmo incredibilmente serrato e frenetico che ben si sposa con la natura e l’essenza necessariamente sopra le righe, caricata e fumettosa del film di Cathy Yan. Come solito, tuttavia, anche Birds of Prey esagera. O meglio, non sa quando fermarsi. Il film scorre molto bene per tre quarti della sua durata, ma, arrivati al confronto finale con Black Mask, sia da un punto di vista registico che di sceneggiatura, si adotta completamente la struttura e la logica del videogioco action come botte da orbi e sparatorie a non finire, quindi,facendo diventare il film il contrario di ciò che vorrebbe essere: un qualcosa di noioso e ripetitivo. Abbandonato il territorio della regia e della tecnica – completato da una fotografia accattivante, pop, colorata e coerente con l’anima da cinecomic -, si entra nella landa infestata della narrazione e della sceneggiatura. Un assoluto disastro. Partiamo dal presupposto che, di questo film, non se ne sentiva veramente il bisogno (piuttosto di un Suicide Squad 2 – in via d’uscita) e non si percepiva neppure l’esigenza di un’altra squadra di anti-eroi come quella del film di Ayer. Questa necessità inesistente, nei riguardi del film, è dimostrata dal flop che il film ha subito in patria, tanto che se n’è dovuto cambiare il titolo (Harley Quinn: Birds of Prey) subito dopo il rilascio. Il cinecomic si sviluppa attorno alla struttura del racconto diretto e alle memorie di Harley Quinn nei confronti della genesi della squadra, tutta al femminile, delle Birds of Prey.
Si ha, quindi, una presa in prestito della struttura e di molti dei crismi del Deadpool di Tim Miller, con il cambiamento di alcuni elementi (come la presenza di una vera e propria squadra, anche se insipida nella caratterizzazione), ma, dall’altro lato, un’adozione quasi pedissequa di altri, come la decostruzione temporale, a dir poco inutile, con flashback e flashforward di sorta, rottura della quarta parete, scritte ed elementi comici a schermo ed umorismo, a volte, fin troppo demenziale, puerile e ridondante. Tuttavia, l’action-comedy di Miller funzionava e anche molto bene, nonostante i suoi difetti, mentre Birds of Prey, in fondo, non tanto. Uno dei primi aspetti di fallimento della sceneggiatura di Christina Hodson è, indubbiamente, un’apatia costante del pubblico nei confronti dei personaggi presentati sul grande schermo. La loro caratterizzazione – non contando quella di Harley Quinn, che conta una pellicola di vantaggio – è fin troppo abbozzata o, talvolta, estremamente banale e scontata nella sua trattazione, che lo spettatore non riesce ad immedesimarsi e a prendere completamente le loro parti. Inoltre, questi personaggi non presentano, durante il corso della pellicola, un’evoluzione soddisfacente, tanto da renderli seriamente comprensibili ed “empatizzabili” da parte del pubblico. Margot Robbie, Mary Elizabeth Winstead, Jurnee Smollett-Bell, Ella Jay Basco e Rosie Perez – anche se bravissime e convincenti nella loro interpretazioni – aggiungono veramente poco al minestrone, che risulta comunque avariato.
Chiamami all’antica, ma per me è l’uomo che deve regalare un diamante alla donna.
Harley Quinn (Margot Robbie) nel film
Questo discorso sulla caratterizzazione, a mio avviso, pessima dei personaggi della pellicola vale anche per i villain che dovrebbero ostacolare le nostre eroine nella loro emancipazione filmica. Roman Sionis alias Black Mask e Victor Zsasz sono, a mani basse, tra i peggiori villain che io abbia mai visto in un cinecomic. Patetici, minuscoli, ridicoli, fin troppo caricati e sopra le righe, banali, caratterizzati male, piagnucoloni; la bassezza e la pochezza di questi cattivoni non fanno che depotenziare le possibilità evolutive, iconiche e filmiche delle protagoniste, delle Birds of Prey, appunto. Se, secondo Vogler, il valore dell’eroe corrisponde direttamente alla grandezza della sua ombra, la Hodson straccia completamente questa regola. Ewan McGregor tenta, a tutti i costi, di riassestare un personaggio squilibrato, sia su schermo che nella sua scrittura, regalando un’interpretazione che, se sostenuta da una sceneggiatura di livello, avrebbe potuto fare scintille. Il villain interpretato dal fu Obi-Wan Kenobi appare, purtroppo, come una brutta copia e mix di Due Facce, Joker e Pinguino. Le possibilità narrative erano veramente tante, ma si opta – lo stesso accade con il ancora meno riuscito Zsasz – per una rappresentazione caricata, sopra le righe, folle dei personaggi che si converte irrimediabilmente nella parodia di sé stessa. A migliorare la situazione non ci pensano certo i numerosi buchi di trama, di logica (soprattutto, per quanto riguarda i poteri di Black Canary) e le forzature, sia a livello di progressione degli eventi che nelle stesse figure filmiche, oltre che alcuni passaggi nebulosi tra una sequenza e l’altra (colpa riconducibile anche al montaggio). A metà film, infatti, si colloca un’indefinita distanza temporale tra un evento e un altro che però non viene spiegata correttamente. Ma i difetti non finiscono qui. Infatti, a chiudere il cerchio scricchiolante della sceneggiatura, ci pensano tre aspetti, del film della Yan, che ho personalmente odiato: il finale, la modalità con cui queste eroine si uniscono e decidono di fare squadra e il discorso femminista di fondo. Giunti allo scontro e alla resa dei conti finale con Black Mask, si pensa che il film abbia detto ormai tutto quello che desiderava comunicare. Invece, la pellicola riscalda, al microonde, altri quindici minuti ripetitivi ed infiniti, costituiti da botte da orbi, esplosioni, inseguimenti e sparatorie, che non fanno altro che diluire la durata del lungometraggio, portandolo ai tanto desiderati ed ambiti 109 minuti di durata.
Ma non finisce qui. Infatti, il finale è legato ad un altro dei giganteschi punti interrogativi di questo Birds of Prey: il modo con cui queste cinque paladine della “giustizia” e del “fare la cosa giusta” si incontrano e scelgono di unire le forze. Per una casualità ed un intreccio alquanto macchinoso, tutte e cinque si ritrovano al luna park e dopo una breve litigata, poiché minacciate da un male superiore, decidono di fare squadra. Dieci minuti dopo, sono diventate e si comportano da grandi amiche, sostenitrici l’una dell’altra, come fossero partner da una vita. Appunto, quest’evoluzione dello status quo, dei pensieri e dei giudizi che le une hanno delle altre – che, in pochi istanti, svaniscono nel nulla – è un qualcosa di veramente raffazzonato ed approssimativo e va ad inficiare un potenziale finale col botto e coerente con quanto mostrato, anche se dubito fortemente. L’ultimo punto è, sicuramente, uno dei temi chiave dell’intera pellicola di Cathy Yan (che, con questo film, diventa la prima regista donna asiatica a dirigere un cinecomic), ovvero quello dell’emancipazione femminile e del female power. Già dal titolo, infatti, si nota come, questa pellicola, spinga moltissimo sul recente movimento femminista, estremamente multiforme ed influente sul web e ad Hollywood, ora come ora. Il cinecomic di Cathy Yan vorrebbe trasmettere e comunicare un messaggio, un discorso, di emancipazione femminile. E’ palese. Si tenta di caricare questo tema con la fantomatica liberazione e rinascita di Harley Quinn, dopo la rottura con Joker, si passa poi al contrattacco con la presentazione di alcuni luoghi comuni e dialoghi che rasentano lo stereotipo, per poi concludere con il female power, rappresentato dalla squadra al femminile, capeggiata da Harley. Tuttavia, questo aspetto femminista in Birds of Prey risulta così facilone e scontato, oltre che essere trattato in modo veramente imbarazzante, ostentatore e al limite della propaganda, da convertirsi in ciò che non dovrebbe essere, una dottrina ed un’imposizione.
Psicologicamente parlando, raramente la vendetta porta alla catarsi sperata.
Harley Quinn (Margot Robbie) nel film
Alla fine dei conti, cosa rimane, quindi, di Birds of Prey di Cathy Yan, l’ultima fatica dell’universo cinematografico Dc Comics? Senza dubbio, tra i primi ed unici pregi della pellicola, troviamo una componente visiva e registica veramente niente male che eleva sicuramente la riuscita complessiva del lungometraggio, rendendolo comunque appetibile a chiunque – anche se poi fallisce nel tentativo di creare un’empatia ed un coinvolgimento diretto con il pubblico (colpa anche di una sceneggiatura disastrosa). Infine, c’è da menzionare, in modo del tutto superficiale, una colonna sonora ritmata e composta da tracce d’accompagnamento potenti e “cazzute” – così come dovrebbero essere le protagoniste del film -, una piacevole rottura della quarta parete, un’essenza ludica e giocosa del tutto – anche se non sempre positiva – ed un prologo cartoon veramente ben confezionato. Per il resto, questa fantasmagorica rinascita di Harley Quinn non è che una dimenticabile e pretenziosa delusione sotto forma di film, un cinecomic di cui non si sentirà parlare e che certamente non rimarrà per molto nella mente dei suoi spettatori.