TITOLO ORIGINALE: Il sesso degli angeli
USCITA ITALIA: 21 aprile 2022
REGIA: Leonardo Pieraccioni
SCENEGGIATURA: Filippo Bologna, Leonardo Pieraccioni
GENERE: commedia
Per il suo quattordicesimo film da regista, Leonardo Pieraccioni sveste i soliti panni del tenero e sfortunato eroe romantico, per vestire invece quelli di Don Simone, affabile, ma disgraziato prete della periferia fiorentina, che, dopo la morte di un suo parente, eredita un bordello in Svizzera. A fronte di una premessa che, se sviluppata a modo, avrebbe potuto offrire ben più di una soddisfazione, Il sesso degli angeli prende ogni possibile scorciatoia per stiracchiare al massimo il proprio racconto e così arrivare alla tanto agognata ora e venti di durata. Tra pigri doppi sensi, i soliti equivoci, forzati fino al limite della sopportazione, e situazioni comiche stantie, la sceneggiatura di Pieraccioni e Bologna glissa tutte le provocazioni che premette, diventando ciò che tenta così ardentemente di dissacrare.
Leonardo Pieraccioni ha sempre concepito il cinema - e la commedia nello specifico - come una terapia - lo si può intuire dalle dichiarazioni che rilascia all’uscita di ogni suo nuovo lavoro. Una sorta di "cura del sorriso" guida infatti le sue commedie romantiche (soprattutto quelle del nuovo millennio), delle e nelle quali, oltre che attore, regista e sceneggiatore, questi è eroe, mattatore, arbitro, consigliere, detentore della morale e della verità, personaggio sempre e comunque brillante, vincente e ammaliatore, nonostante le varie difficoltà che gli si parano di fronte e i modi talora ingiusti e furbeschi con cui si muove all’interno di questi mondi quasi sempre placidi e rassicuranti.
La sua è dunque una concezione utilitaristica, pratica e confortevole del mezzo cinematografico e dei toni e delle situazioni della tipica commedia all’italiana, con tanto di equivoci, ambiguità, impacci culturali figli di un retaggio provinciale e campanilistico, ed un avido sguardo maschile (per non dire maschilista) nei riguardi del (corpo) femminile. Una concezione certamente antiquata che, ciononostante, se affiancata da una sceneggiatura e da intuizioni comico-satiriche argute e perspicaci, potrebbe comunque avere un senso e trovare una collocazione all’interno di un preciso filone e di un'altrettanto precisa tradizione della commedia nostrana, per quanto, appunto, antiquata, conformista o anacronistica che sia.
Ecco, se solo potesse vantare una scrittura appassionata, dinamica, vivace, per non parlare di una messa in scena che possa valorizzarla al meglio, pure un film come Il sesso degli angeli - il quattordicesimo del comico toscano - potrebbe definirsi riuscito. E dire che il soggetto in sé e per sé avrebbe potuto offrire più di una soddisfazione.
In breve: questa volta, Pieraccioni smette i soliti panni del tenero e sfortunato eroe romantico, per vestire invece quelli di Don Simone, affabile, ma disgraziato prete della periferia fiorentina, che, dopo la morte di tal zio Waldemaro, quest'ultimo un uomo sui generis, pungente, luciferino, dalla vita dissoluta e viziosa, viene in possesso di un’avviatissima attività in Svizzera. Una volta arrivato a Lugano, accompagnato dal pittoresco sagrestano Giacinto, il parroco scoprirà però che tale Maison de la Joie (questo il nome dell’esercizio) altro non è che un bordello di lusso che ospita cinque ragazze, ognuna con la propria “specialità” in fatto di "cannucce", gestite e coordinate dalla maitresse Lena, ex-escort d’alto bordo.
Ecco, quello che vi abbiamo appena raccontato è Il sesso degli angeli, o meglio, tutto ciò a cui si limita la sceneggiatura scritta a quattro mani dallo stesso Pieraccioni, insieme a Filippo Bologna, la quale, a partire da una delle più semplici giustapposizioni e contrapposizioni possibili - quella di religione e prostituzione, i due taboo per eccellenza dell’italianità, le rappresentazioni per antonomasia, da un lato, dell’amore spirituale, dall’altro, dell’amore mercenario e fisico-sessuale, l'uno dell’ideale della castità, l'altro di quello della lascivia e della licenziosità -, prende ogni possibile scorciatoia per stiracchiare al massimo il proprio racconto e così arrivare alla tanto agognata ora e venti di durata.
Quali sono queste scorciatoie? In primis, il fatto che gran parte delle situazioni comiche, collegate maldestramente dal montaggio di Patrizio Marone, si basi fondamentalmente su alcuni dei doppi sensi e degli equivoci (ad ovvio sfondo sessuale) più banali, vetusti e scontati, forzati e protratti fino al limite della sopportazione.
Un’altra la si può ricondurre alla scrittura dei personaggi: da Don Simone/Pieraccioni, tormentato da una marea di dubbi, malesseri ed incertezze che esprime bene a parole, ma non riesce a restituire altrettanto bene con atteggiamenti e azioni (che sono poi i soliti della maschera-Pieraccioni); passando per Giacinto, interpretato da un Marcello Fonte satiro, orco, “bestia”, che, come spalla, ce la mette proprio tutta, purtroppo invano, per riscattare un personaggio fuoriuscito probabilmente dalla Commedia dell’arte cinquecentesca; fino ad arrivare allo stesso zio Waldemaro simil-Marley di A Christmas Carol, interpretato da un Massimo Ceccherini tra l’inutile e il fastidioso, limitato dalla sceneggiatura alla ripetizione ossessiva di una sola battuta: “spretati, puppa la mela/la pera”.
Per non parlare infine del modo in cui Pieraccioni e Bologna glissano tutte le, seppur innocue e puerili, provocazioni che premettono. Stando infatti alle dichiarazioni del comico toscano, Il sesso degli angeli ha a che fare e vorrebbe, in qualche modo, sdoganare alcune tematiche estremamente delicate nel e per il nostro paese, come la prostituzione e la sua regolamentazione. Oppure ancora portare avanti quel processo di dissacrazione dell’ambiente ecclesiastico e di alcune delle sue figure, come già tanti altri hanno fatto - prima di lui, meglio di lui.
Peccato soltanto che, per quanto riguarda l'elemento prostituzione, il film scagli la proverbiale pietra, per poi ritrarre immediatamente la mano e che quindi questo argomento così interessante e "caldo" venga ridotto a qualche uscita paternalistica, ad una morale perbenista, conformista, intimorita e molto vaga, insomma, a prova di borghese, oltre che ad una visione della donna e del femminile eufemisticamente superficiale, che sembra fuoriuscire da un film di 30 anni fa o ancor più. Si pensi, ad esempio, al personaggio di Lena, interpretato da una Sabrina Ferilli opaca ed affaticata, il cui più grande sogno è diventare una buona madre, una brava moglie e, lo aggiungiamo noi, un’altrettanto brava casalinga.
E la provocazione di Pieraccioni non migliora nemmeno sul fronte del motteggio della Chiesa e dei suoi principi. Anzi, a tal riguardo, Il sesso degli angeli non riesce ad andare oltre all’ormai sdoganata rivelazione del prete quale assiduo e tutt’altro che casto frequentatore del bordello, o ancora alla reiterazione dell’assunto secondo cui il clero sia, in realtà, maggiormente legato agli aspetti economici e materiali della vita, che non a quelli spirituali suoi innati.
Scusateci pertanto se quanto segue dovesse risultarvi banale, ma, in questo caso, è bene dirlo: quelli de I laureati e de Il ciclone erano davvero altri tempi. Tempi di commedie che, per quanto figlie del proprio presente produttivo, riuscivano comunque ad offrire davvero un ritratto esilarante, sagace, sincero del paese, senza doverlo rincorrere più di tanto, rimproverarlo a voce alta o, addirittura, aver timore di offendere qualcuno. Tempi in cui l’ottimismo e la credulità dello sguardo pieraccionesco erano sinonimo di speranza, gioventù, progresso, futuro. Lo stesso ottimismo e la stessa credulità che oggi appaiono invece perfettamente allineati con quel puritanesimo ipocrita e quel moralismo borghese imperante che allora si tentava (invano, a questo punto) di dissacrare.
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