TITOLO ORIGINALE: A Christmas Carol
USCITA ITALIA: 3 dicembre 2009
USCITA USA: 6 novembre 2009
REGIA: Robert Zemeckis
SCENEGGIATURA: Robert Zemeckis
GENERE: animazione, fantastico, drammatico, avventura
Durante la notte di Natale, l’avaro e arcigno finanziere londinese Ebenezer Scrooge riceve la visita dei tre spiriti del Natale, intraprendendo un viaggio di redenzione ed espiazione dei propri peccati. Robert Zemeckis firma la terza trasposizione Disney del classico di Charles Dickens, imbastendo un’opera che rispetta in pieno gli obiettivi produttivi di fondo e che, grazie alla tecnica del motion capture e al suo effetto realistico e ad un 3D immersivo e dinamico, rivitalizza il racconto e lo spirito formativo e di crescita etico-morale dell’opera d’origine. Uno dei progetti più ambiziosi della Disney contemporanea, ingiustamente sparito dall’immaginario comune.
Alzi la mano chi non ha mai sentito il nome di Ebenezer Scrooge e del suo socio Jacob Marley, “morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta” (senza nulla togliere ai chiodi di porta) la vigilia di Natale del 1836. Alzi la mano chi non conosce il temperamento sgarbato, il fare arcigno e le idee severe e spietate che caratterizzano Scrooge non solo come datore di lavoro, finanziere e uomo d’affari appartenente alla high society londinese, ma anche e in particolare come essere umano. Alzi la mano ancora chi non ha mai letto, visto o sentito parlare della visita dei tre spiriti del Natale, offerta ad Ebenezer proprio dal fantasma del compianto Jacob, che accompagneranno il primo in un viaggio di redenzione, espiazione dei propri demoni interiori e presa di coscienza riguardo a ideali come carità, solidarietà e compassione. Ciò che avete appena letto è il cuore narrativo e tematico di Canto di Natale, romanzo breve di genere fantastico, scritto nel 1843 da Charles Dickens (uno degli autori più letti, amati e importanti di sempre) e divenuto, col passare degli anni - oltre che un classico letterario senza tempo -, uno dei soggetti più sfruttati ad Hollywood e dintorni.
L’opera moralistica, figlia dei valori e dei canoni sociali e culturali (tra tutti dovere, laboriosità, rispettabilità e carità) dell’Inghilterra vittoriana, dal 1901 ad oggi (2020, ndr) è stata oggetto di quasi 30 trasposizioni sul grande schermo e di altrettante su quello televisivo (tra film e miniserie non sempre di altissima qualità). Tre, nello specifico - avvicinandoci così all’ambito della recensione in essere -, sono quelle prodotte da Disney: Canto di Natale di Topolino (1983) di Burny Mattinson, Festa in casa Muppet (1992) di Brian Henson e il più recente A Christmas Carol (2009) di Robert Zemeckis. Terza pellicola del regista - dopo i magnifici Polar Express (2004) e La leggenda di Beowulf (2007) - realizzata sfruttando l’effetto realistico del motion capture [tecnica d’animazione digitale che permette di applicare a personaggi virtuali i movimenti di persone o animali ripresi in tempo reale e immediatamente riprodotti sullo schermo tramite sensori posti nei punti di giuntura delle ossa e di contrazione dei muscoli], A Christmas Carol è forse uno degli adattamenti che più rispetta la visione dickensiana e che meglio ricrea l’atmosfera e lo spirito del racconto originario. Citando il cineasta: “La storia non è mai stata trasposta nel modo in cui è stata effettivamente pensata da Dickens [...] sembra quasi che, mentre la stesse scrivendo, questi avesse in mente la sceneggiatura di un film, vista la sua natura visionaria e cinematica”.
Natura, quella del romanzo del 1843, che Zemeckis fa rivivere e saggiare al meglio grazie ad un 3D immersivo, coinvolgente e dinamico che, per spettacolarità e fattura, riesce a rivaleggiare con quello del ben più noto Avatar di James Cameron (che uscirà qualche mese più tardi). Questa importanza conferita alla proiezione tridimensionale (che si converte, a tutti gli effetti, nella modalità di visione più completa ed avvincente) è ulteriormente sottolineata da una regia dinamica e da una messa in scena frizzante, ricolme entrambe di tutti quegli elementi e tratti caratteristici e tipici della filmografia e dello stile di Zemeckis. La macchina da presa si trasfigura e incarna così in due entità distinte: da un lato, nel personale occhio del regista che presenta ed espone al pubblico la sua versione e sintesi (fedelissime) dell’opera dickensiana; dall’altro, nello spettatore stesso, che, proprio grazie a quel lavoro registico sopracitato, assiste all’avventura redentiva di Scrooge sempre dal punto di vista migliore, più funzionale ed efficace. Piani sequenza artificiali e congegnati al fine di rendere il tutto quanto più fluido e scorrevole, primi e primissimi piani che suggeriscono la presenza di un attore in carne ed ossa dietro la digitalizzazione post-produttiva (ribadendo la verosimiglianza e il dettaglio espressivi ottenuti con il mocap), inquadrature vertiginose, scenografiche e visivamente intense - costruite appositamente per l’effetto 3D - ed un montaggio tanto meticoloso da essere praticamente invisibile sono gli elementi costitutivi un’impalcatura tecnica solida e strabiliante.
Tale ossatura tecnico-estetica è completata, in ultima battuta, da una ricostruzione storica suggestiva della Londra di metà Ottocento, da un’atmosfera gotica, dark, tetra, pungente e mai eccessivamente stereotipata, da un design affascinante di spiriti e aspetti sovrannaturali (seppur fondati sull’immaginario ideato da Dickens), da un ritmo ostinato e persistente e da una colonna sonora - firmata da Alan Silvestri, con la partecipazione straordinaria del nostrano Andrea Bocelli - che, mescolando sapientemente classiche melodie e canzoni natalizie (talvolta riarrangiate) con temi e componimenti originali, accompagna e rimarca quanto avviene su schermo.
Detto ciò tuttavia, A Christmas Carol - vista la sua provenienza e matrice letteraria - non è solo tecnica e magia visiva; non è solo gioco di prestigio ed ostentazione tecnologica, ma anche e soprattutto una pellicola che fa di moralità e insegnamento (attraverso immagini in movimento) il proprio fulcro produttivo. La storia di Scrooge e dei tre fantasmi e il suo spirito pedagogico e di crescita etico-morale trovano nuova linfa vitale grazie ad una sceneggiatura, sempre dello stesso Zemeckis, che rispetta in pieno l’opera originale - dalla quale estrapola passaggi distintivi e dialoghi [emblematico, in tal senso, il mantenimento di un inglese letterario e alto nella versione originale e di un italiano forbito in quella nostrana]. Come se non bastasse, oltre ad essere un’ottima trasposizione del romanzo di Dickens, della sua dimensione natalizia e del suo carattere storico, il maggior pregio della creatura “zemeckiana” è il recupero della componente più oscura, dalle reminiscenze quasi fanta-horrorifiche, del racconto letterario d’origine.
A tal proposito, nonostante, per tema e contenuto, possa essere comodamente inserito all’interno della tradizione disneyana più classica, A Christmas Carol non è un film che ci sentiremmo di consigliare istintivamente al pubblico di riferimento di gran parte delle produzioni della casa di Topolino, soprattutto ai più piccoli. Infatti, malgrado una comicità immediata e semplice, spesso slapstick, e il tono avventuroso della narrazione, questi potrebbero essere facilmente spaventati dal realismo fisico dei personaggi, dall’estetica degli spiriti, da un paio di jumpscare ben assestati (anche questi pensati per la proiezione 3D) e dalla tensione equilibrata, ben orchestrata e, perciò, riuscita di prologo e terzo atto.
Un Jim Carrey che, dopo Il Grinch (2000) di Ron Howard, torna a vestire i panni di un antieroe che odia profondamente la festività più gioiosa di tutte... e non solo (nel film, questi presta il corpo e la voce anche ai tre spiriti), un Gary Oldman triplicemente impegnato nel ruolo di Bob e Tim Cratchit e in quello di Jacob Marley, un Colin Firth in parte che dona quella nota british al tutto e una Robin Wright convincente, nonostante l’esiguo screentime, sono i protagonisti di un progetto peculiare, unico nel suo genere; tra i più riusciti e memorabili della Disney contemporanea. Con A Christmas Carol, Zemeckis chiude un’ideale trilogia d’animazione, firmando al contempo uno dei punti più alti della sua intera carriera creativa e registica. Anche se gran parte delle intuizioni sono frutto del lavoro descrittivo ed immaginifico di Charles Dickens, bisogna “dare a Cesare quel che è di Cesare” e riconoscere la qualità e grandezza dietro ad un lavoro di creazione e ricreazione - finalizzato al conseguimento di una specifica atmosfera, produttivamente compatta e cinematograficamente palpabile ed appagante - che rivitalizza il vecchio (Dickens) con una tecnologia all’avanguardia (quella del mocap).
Nonostante un incasso mondiale più che soddisfacente, purtroppo il film sembra essere scomparso - a differenza della versione con Topolino & co. - dalla mente e dall’immaginario del grande pubblico, non convertendosi così nel classico natalizio che probabilmente la Disney auspicava divenisse. E, a tal riguardo, non riusciamo proprio a spiegarci il perché di tutto ciò, dal momento che questi si presenta come un film praticamente ineccepibile che rispetta appieno la propria essenza produttiva di fondo: esilarante, caloroso e sentito nonostante la magniloquenza e artificiosità tecnica, visivamente strabiliante, attorialmente superbo, narrativamente tanto conciso e semplice quanto denso e loquace. Detto ciò, non ci resta che consigliarvi la visione o riscoperta di questa piccola gemma del cinema d’animazione statunitense, ingiustamente trascurata, ma che, una volta vista, non vi lascerà mai più andare. Parola di Scrooge.
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