TITOLO ORIGINALE: Il filo invisibile
USCITA ITALIA: 21 febbraio 2022
REGIA: Marco Simon Puccioni
SCENEGGIATURA: Luca De Bei, Marco Simon Puccioni
GENERE: drammatico, commedia
PIATTAFORMA: Netflix
Il filo invisibile, dramedy in parte autobiografico scritto e diretto da Marco Simon Puccioni e distribuito da Netflix dal 4 marzo, è un'opera che, sia per il modo in cui sa ben dosare il registro comico e drammatico, sia soprattutto per i suoi scopi didattici, potrebbe ricordare a molti il grazioso e fortunato Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani. Non è (forse) un caso che, a risplendere in entrambi, sia il giovanissimo Francesco Gheghi, qui maturato, cresciuto e capace, in trio con un ottimo Francesco Scianna ed un Filippo Timi ai limiti del cartoonesco, di sorreggere sulle proprie spalle le sorti drammaturgiche del racconto. Il filo invisibile è cinema fatto con sincerità e grande capacità di affabulazione, senza proverbiali pedanterie o pretenziosità, che vince in partenza, assicurandosi l'interesse di tutte le varie fasce di abbonati della piattaforma streaming. Un cinema necessario che era ora venisse messo così bene in risalto nel nostro paese.
Cinema didattico e pedagogico, ma fatto con sincerità e grande capacità di affabulazione, senza proverbiali pedanterie o pretenziosità varie.
Questo è, in sintesi, Il filo invisibile, dramedy in parte autobiografico scritto e diretto da Marco Simon Puccioni e distribuito da Netflix. Un’opera che, sia per i toni e il modo in cui sa ben dosare il registro comico e drammatico, sia soprattutto per i già citati scopi didattici, ci ha ricordato (e potrebbe ricordare a molti) il grazioso e fortunato Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani. Pellicola, quest’ultima, che dopo un passaggio nelle sale sostenuto dal passaparola, si è poi allargata - ancor prima che alle pay TV e alle piattaforme streaming - ai cineforum e ai matinée rivolti alle scolaresche.
A tal riguardo, vi basti pensare che, della produzione del film di Puccioni, si è interessata una casa come Europictures, la quale, come dimostra una sezione del proprio sito, è sempre stata molto attenta al discorso del cinema nelle scuole come strumento didattico.
Ebbene, laddove, nell’opera di Cipani, il tema principale era la disabilità intellettiva e le interazioni con essa, il tutto però visto e raccontato (l’aspetto più interessante di quel film) dal punto di vista non tanto del ragazzo portatore di handicap, ma del fratello maggiore - spesso invidioso delle attenzioni, delle premure e dell’essere ingombrante riservate al minore -, Il filo invisibile ha a che fare con questioni come le unioni civili, l’inseminazione artificiale, l’utero in affitto e la genitorialità acquisita; bisogna dirlo, temi che era ben ora venissero affrontati a dovere dal nostro cinema.
E sembrerebbe quasi una fortuita coincidenza che, a risplendere in entrambi i film, sia il giovanissimo Francesco Gheghi, che - dopo le esperienze appunto di Mio fratello rincorre i dinosauri e di Padrenostro - ritroviamo qui ancor più maturo, consapevole e capace di sorreggere sulle proprie spalle le sorti e il respiro drammaturgico dell’intera vicenda.
Questi veste i panni del sedicenne Leone, figlio di due papà, Simone (un ottimo Francesco Scianna) e Paolo (Filippo Timi), i quali sono riusciti ad esaudire questo loro sogno grazie all’aiuto di Tilly (una Jodhi May convincente quanto basta), un’amica statunitense che, per il giovane Leone, è sempre stata un’importantissima figura di riferimento, la sua Dede.
Come tanti ragazzini della sua età, anche il nostro Leone sta iniziando a scoprire i primi pruriti dell’adolescenza, la prima cotta per la nuova compagna Anna (una brava Giulia Maenza), le prime litigate con Jacopo (un Emanuele Maria Di Stefano più sciolto ed esilarante rispetto a La scuola cattolica), l’amico di una vita, la difficoltà relazionale tipica dell’esperienza scolastica, specie per una realtà familiare insolita e peculiare come la sua, difficile da digerire o metabolizzare ben bene per alcuni suoi compagni. Ciò nonostante, a coccolarlo vi è sempre la sua famiglia allargata: il rifugio sicuro che gli ha sempre garantito sicurezza, amore e sani principi, ma anche l’attaccamento ad una realtà che forse si rivelerà essere soltanto una fantasia infantile. Suo malgrado infatti, Leone sarà chiamato a venire a contatto con la realtà - quella vera e dolorosa -, quando uno dei due papà, Paolo, scopre che il marito lo sta tradendo da due anni con un altro…
Marco Simon Puccioni, assistito in sceneggiatura da Luca De Bei, mischia dunque la tradizione del melodramma all’italiana e della commedia degli equivoci: i lidi in cui, non a caso, si muove la storia del tradimento e della crisi matrimoniale dei genitori; con la (relativamente) giovane tendenza del dramma adolescenziale. Quello stesso reame che, anche per merito di colossi dello streaming come Netflix, si è imposto sul panorama e sul mercato dell'audiovisivo (soprattutto su quello seriale), divenendo uno dei filoni più proficui e bulimici.
Proprio qui - nella maniera in cui Il filo invisibile riesce ad amalgamare questi due universi solo apparentemente antitetici e contrastanti - il film di Puccioni trova la via corretta per imporsi sul catalogo della compagnia di Los Gatos. E lo fa sotto forma di un prodotto che conversa dolcemente con il formato televisivo, ma, ciononostante, rilevante nelle premesse e delizioso nella resa, ambientato in una Roma che potrebbe essere New York (dunque a prova di esportazione), con personaggi e attori statunitensi, che, come non bastasse, stravince in partenza proprio perché si assicura dapprincipio l’interesse di tutte le differenti fasce di abbonati al servizio: dagli attuali (e soli) fruitori di TV generalista, i quali, grazie ad ottimi tempi comici, si ritroveranno a ridere di gusto; ai teenager, che viceversa stravedranno per i riferimenti intertestuali ai totem Netflix e la colonna sonora non originale organizzata a mò di playlist.
Nondimeno, Il filo invisibile ha anche il pregio di costruire un racconto dagli esiti convenzionali, ma dai modi completamente imprevedibili e, per certi versi, stimolanti. Vedasi il lavoro che Puccioni fa su un attore come Filippo Timi, normalmente smagliante e smaccato [pensate al suo ruolo di infallibile attore porno, nonché guru del sesso di Fabio De Luigi e Claudia Gerini in Com'è bello far l'amore di Fausto Brizzi oppure al suo machista e duro Rino Zena in Come Dio comanda di Salvatores], qui, al contrario, costantemente sopra le righe, imprevedibile, livoroso, femmineo, ambiguo, quando non macchiettistico, spremuto fino ai limiti del grottesco e del cartoon. O il tentativo, di per sé non proprio nuovissimo, di inversione dei ruoli nella costruzione di relazioni e rapporti, soprattutto nel caso di Leone e Anna, dove spesso è quest’ultima a commettere scivoloni imbarazzanti e a fare il primo passo. Oppure ancora il lodevole e sottile impegno polemico in merito ai paradossi e alle storture del sistema legislativo italiano.
Ciò detto, quello che però convince maggiormente di questo piccolo, grande racconto che sa usare bene il proprio (e il nostro) retaggio linguistico, per proiettarsi al futuro e all’internazionalità, sta proprio nella fiducia dimostrata ed esercitata nei confronti di un domani (cinematografico) in cui si possano superare le solite e vetuste maldrestezze relazionali e amorose, a favore invece di un’imprescindibile maturità e complessità di scrittura del rapporto e del sentimento. Allora, ben vengano prodotti come Il filo invisibile!
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