TITOLO ORIGINALE: La scuola cattolica
USCITA ITALIA: 7 ottobre 2021
REGIA: Stefano Mordini
SCENEGGIATURA: Massimo Gaudioso, Luca Infascelli, Stefano Mordini
GENERE: drammatico
Presentato fuori concorso alla 78ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Dopo la pessima prova di Lasciami andare dell'anno scorso, Stefano Mordini torna dietro la macchina da presa, adattando per il grande schermo il mastodontico romanzo di Edoardo Albinati, in cui l'autore rievoca il celeberrimo delitto del Circeo, tentando, al contempo, di condurre un'indagine sulle motivazioni che possano aver trasformato tre ragazzi apparentemente normali in spietati killer. Purtroppo, l'idea di trasporre un libro di 1300 pagine in un film di un'ora e quaranta si rivela essere del tutto infruttuosa: La scuola cattolica è una gigantesca occasione sprecata; un prodotto semanticamente vacuo, sterile, cinematograficamente dimenticabile, modesto, pretenzioso, pretestuoso e senza un’intenzione precisa. O meglio, l’intenzione c’è, ma è così elementare da sprofondare nel ridicolo.
Non serve a nulla indugiare. La scuola cattolica di Stefano Mordini è un film semplicemente atroce. Ma purtroppo non lo è solo ed unicamente per la famigerata, macabra e ancora attuale storia che racconta (quello pensiamo sia indubbio e risaputo), quanto piuttosto per come la racconta, questa storia.
Adattamento dell’omonimo, mastodontico (più di 1200 pagine) romanzo di Edoardo Albinati, vincitore del premio Strega 2016, l’opera di Mordini intende rievocare quello che è passato agli annali con il nome di delitto o massacro del Circeo, un caso di rapimento, stupro ed omicidio avvenuto appunto nella rinomata zona del litorale pontino tra il 29 e il 30 settembre 1975.
Vittime del sequestro, due giovanissime ragazze, Donatella Colasanti (allora diciassettenne) e l’amica Rosaria Lopez (di due anni più grande, la quale, a differenza della prima, non sarebbe sopravvissuta all’evento), le quali vennero adescate da tre ragazzi della Roma bene Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira in una villa di proprietà della famiglia di quest'ultimo, promettendogli una festa che poi si rivelerà un vero e proprio bagno di sangue, violenza e morte.
Un caso, quello del Circeo, che al tempo sconvolse prevedibilmente l’intera opinione pubblica, sbigottita e preoccupata da “come stanno crescendo i nostri ragazzi” ed increduli di fronte a cotanta violenza, ma che, oltre a ciò, aprì anche un lungo dibattito che portò, nel 1996, al riconoscimento del crimine dello stupro e della violenza sessuale quale un reato contro la persona (e non più, invece, contro la moralità pubblica); e che Mordini appunto vuole ricreare, solo anteponendo ad esso - tenendo sotto sempre Albinati - un’indagine sulle cause e le motivazioni (tra cui il rigido ambiente cattolico scolastico e familiare) che hanno spinto questi tre ragazzi apparentemente - chi più, chi meno - normali a diventare degli spietati killer.
Già soltanto il fatto di voler trasporre un’opera dalla mole così significativa in un testo di poco più di un’ora e quaranta di durata lascerebbe intendere qualcosa della qualità generale dello stesso adattamento (scritto a sei mani da Mordini insieme a Luca Infascelli e Massimo Gaudioso). Ma, se anche non volessimo farci influenzare da questa constatazione quasi fattuale, è subito la realtà concreta e visibile a sottolineare quanto giusta sia questa osservazione.
Successivamente ad una iniziale e breve anticipazione del finale del fattaccio (e della pellicola), l’istanza narrante comincia questo suo tentativo di analisi sociale e sociologica sulla quotidianità e il contesto socio-culturale in cui vivono questi tre ragazzi, a cui, prima l’opera letteraria e poi il film, affiancano tutta una serie di figure di compagni di classe e coetanei, tra cui lo stesso Albinati - qui presente fisicamente, ma anche in qualità di narratore della vicenda e conduttore di suddetta analisi in voice-off. Il tutto a composizione di un mosaico di personaggi, facenti parte di una dimensione sociale in cui regnano l’omertà, i taboo, le perversioni, la violenza, la devianza, le insicurezze, le ipocrisie o, più semplicemente, il degrado morale e quello dei costumi, tra cui la stessa fede cattolica.
Fin da subito, si nota però come né Mordini, né tantomeno i suoi colleghi sceneggiatori siano riusciti, in fase pre-produttiva, a contenere, sintetizzare o anche solo confrontarsi con il volume da cui traggono il proprio script. Pertanto, quello che si va a comporre altro non è che un’ora e un quarto di prelievi di frasi, passaggi, considerazioni, momenti, situazioni, provocazioni presi direttamente dal libro di Albinati ed incollati insieme senza un filo logico, senza capo né coda, senza alcun preciso intento argomentativo o riflessivo. Questa stessa evidente incertezza ed ingenuità è quella che porta poi sia il primo, sia il secondo atto verso un qualunquismo debordante, una pedanteria fastidiosa, un didascalismo verboso, una confusione e sconclusione imperante, così come una piattezza generale e generalizzata, tanto di ciò che passa di fronte, quanto di quello che viene concepito dietro la cinepresa.
La scrittura dei personaggi (se proprio vogliamo definirli tali) è inesistente; essi non sono altro che burattini mossi a discrezione dell’istanza narrante e del fabbisogno di un racconto che propone un numero di archi narrativi tipico del linguaggio seriale (il solo ed unico medium che potrebbe permettersi la trasposizione di Albinati) ed una quantità esorbitante di tematiche, concetti e denunce, senza però avere gli strumenti per svilupparle con un minimo di coscienza, profondità e valore.
Non parliamo poi dell’impianto cinematografico de La scuola cattolica, dove Mordini dimostra ancora una volta - dopo la pessima figura di Lasciami andare dell’anno scorso - quanto impersonale ed anonima sia la sua idea di cinema e di racconto per immagini. Non si valorizzano i corpi degli attori, anzi li si fa recitare in modo esageratamente caricato (Luca Vergoni si diverte a fare la sua versione del Joker, mentre Valeria Golino fa il soprammobile, Riccardo Scamarcio un dozzinale ed insulso - e non in senso buono - padre manesco, e Jasmine Trinca lo stereotipo di una madre single sessualmente desiderata dai coetanei del figlio). In mezzo a cotanta mediocrità, si salva forse Benedetta Porcaroli, fin troppo in parte e credibile per l’inutile e poco valorizzato ensemble in cui è capitata.
Poi, dopo un countdown che ricorda al pubblico quanti mesi, quanti giorni, addirittura quante ore li separino dall'atroce atto (giusto per farvi capire quanto poco venga spettacolarizzato), inizia il segmento dedicato alla ricreazione di questo famigerato delitto, il quale fa capolino in scena, sostituendo quella frammentazione di personaggi, eventi e relazioni da noi sofferti fino a qualche secondo prima. E, nostro malgrado, dire che il massacro del Circeo raffigurato e re-inscenato da Mordini ne La scuola cattolica sia quanto di più volgare, irrispettoso (specie nei confronti dello spettatore), imbarazzante e gretto abbiate il dispiacere di vedere sul grande schermo, è dire poco.
La superficialità e pochezza argomentativa dei 70 minuti precedenti infatti pregiudica rovinosamente i risultati di suddetto segmento, che, seppur spettacolarizzato ed anticipato con così tanta insistenza, non riesce neppure a provocare qualcosa di più del mero e naturale disgusto (sia esso fisiologico, umano od etico-morale). La sequenza dell’atto criminale si riduce pertanto ad una galleria di corpi nudi, sofferenti e violenti, di urla, di sangue, di organi genitali, di pietismo gratuito e retorico e di una miseria semantica da far impallidire anche il più accondiscendente e tollerante degli spettatori. Una ricostruzione equiparabile, nelle intenzioni - non nella forma (ci mancherebbe solo) - a quella di uno scadente true crime da trash television.
Cosa rimane dunque a La scuola cattolica? Una manciata di polemiche sulla questione del divieto alla visione ai minorenni? Critiche, reclami e confronti comunque giusti e contingenti, ma che forse avrebbero più valore se provocati dall’opera in sé e per sé, che non da tutto ciò che la circonda. Già solo questa evidenza basta a definire la vacuità di senso e contenuto del film di Stefano Mordini che - probabilmente senza volerlo - riesce pure a farsi un clamoroso autogol.
Ci riferiamo, in particolare, al frammento in cui uno dei professori di questo istituto, rivolgendosi ad uno degli alunni in merito al suo tema di italiano, gli dice: “Sì, questo tema è bello, è scritto bene, ma è vacuo, senza emozioni, senza anima”. Sul bello o corretto ovviamente soprassediamo, ma il resto altro non è che la perfetta definizione de La scuola cattolica: un prodotto vacuo, sterile, dimenticabile, modesto, pretenzioso, pretestuoso e senza un’intenzione precisa. O meglio, l’intenzione c’è, ma è così elementare da sprofondare nel ridicolo.
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