TITOLO ORIGINALE: Lasciami andare
USCITA ITALIA: 8 ottobre 2020
REGIA: Stefano Mordini
SCENEGGIATURA: Stefano Mordini, Francesca Marciano, Luca Infascelli
GENERE: thriller, drammatico
La gravidanza della moglie Anita rappresenta per Marco, ingegnere veneziano, un’opportunità per superare il grave lutto che ha investito lui e l’ex-moglie Clara: la prematura perdita del figlio Leo. Un giorno, però i due ex-coniugi ricevono la visita di una misteriosa signora, nonché affittuaria della vecchia casa della coppia, che afferma di essere perseguitata dal fantasma del piccolo Leo. Film di chiusura della scorsa edizione del festival del cinema di Venezia e adattamento del romanzo Sei tornato di Christopher Coake, Lasciami andare è un drama-thriller con pieghe da ghost story che può contare su un cast di richiamo ed un soggetto tutt’altro che tradizionale, soprattutto in fatto di cinema italiano. Tuttavia, questi due elementi hanno avuto la sfortuna di intrecciarsi con il percorso di uno Stefano Mordini - il regista - volenteroso ma frenato che penalizza, di conseguenza, un’attuazione scarna ed ingessata e la successiva buona riuscita del film.
Venezia, questa sfortunata. Una città che tutto il mondo ci invidia, periodicamente sfigurata da un produttore o un regista continentale o d’oltreoceano. Forse, l’ultimo film che è riuscito a restituire pienamente la bellezza e mistero della Serenissima è stato Casino Royale (2006), 21esimo capitolo della saga di 007, primo con Daniel Craig nel ruolo dell’agente segreto più famoso di tutti. Aiutato dalla magnificenza di una Venezia seconda soltanto a Craig per protagonismo, il regista Martin Campbell dà vita alla conclusione adrenalinica e sorprendente di uno degli episodi migliori dell’intera serie. Qualche anno più tardi, per rimanere in tema di thriller, ad illuminare gli stretti ed imperscrutabili canali della città, ci pensa un’opera che mette d’accordo quasi tutti i critici, i quali la “elevano” al grado di <<completo disastro su pellicola>>: The Tourist (2010) di Florian Henckel von Donnersmarck. In questo “sofisticato” thriller sentimentale, un Johnny Depp ed una Angelina Jolie totalmente privi di chimica sono vittime di un intrigo internazionale che ruota attorno alla figura dell’evasore fiscale Alexander Pearce. Peccato che le potenzialità teoriche di un soggetto del genere vengano demolite da un’attuazione, per contro, estremamente mediocre e spesso fin troppo seriosa. Avviciniamoci all’oggetto della recensione e al nostro presente, chiamando in causa Inferno (2016) di Ron Howard - terza iterazione della saga cinematografica basata sulle avventure del professor Robert Langdon -, un film così “memorabile” da affondare completamente il fascino storico-artistico del capoluogo veneto, che diventa, per un paio di sequenze, parte di un labirinto attraverso cui un ingessato Tom Hanks deve districarsi, per sventare la minaccia di un virus dagli effetti distruttivi. Finita questa ampollosa, ma doverosa retrospettiva, volta a spiegare il perché di quell’attacco tanto ardito, rivolgiamo dunque lo sguardo al cinema nostrano, più nello specifico a Lasciami andare - ultima fatica di Stefano Mordini, nonché film di chiusura (fuori concorso) della scorsa edizione del festival del cinema di Venezia.
Dopo aver sorpreso il pubblico con Il testimone invisibile (2018) - remake dello spagnolo Contrattempo (2016) con Riccardo Scamarcio e Miriam Leone protagonisti - e Gli infedeli (2020), aggiunto pochi mesi fa al catalogo streaming di Netflix, Mordini è pronto a concludere questa sua tripletta di sorprese con un film dall’incipit intrigante e potenzialmente nuovo, soprattutto in fatto di cinema italiano - probabilmente poiché trasposizione del romanzo Sei tornato dello statunitense Christopher Coake. Purtroppo, la realtà dei fatti è di tutt’altra natura: Lasciami andare è un drama-thriller dalle ottime premesse, ma che si perde in un’attuazione lenta, anti-climatica e particolarmente deludente. Tutto questo a partire dall’impianto registico dello stesso Mordini, il quale correda una tanto tipica quanto prevedibile ghost story con una visione e costruzione che punta all’internazionalità, caratterizzata però, allo stesso tempo, da una macchina da presa che non si spinge mai in movimenti arditi - confezionando inoltre un paio di sequenze inaspettatamente incomprensibili - e da una messa in scena ripetutamente ingabbiata in una schematicità deleteria e ridondante che ha, come unico scopo, un’evidenziazione dell’espressività degli interpreti.
Peccato soltanto che proprio le prove attoriali di suddetti interpreti risentano, in primo luogo, di una sceneggiatura e caratterizzazione che fanno naufragare qualsiasi possibilità di compatimento o memorabilità. Nel mucchio, Stefano Accorsi forse è quello che ci prova un po’ di più, compensando una scrittura perlopiù banale e scontata con un’interpretazione fatta di numerosi picchi e altrettanti lati oscuri. Lo stesso non si può certo dire della restante parte del cast, composto da una Valeria Golino fin troppo enfatica e plateale, una Maya Sansa piatta e monotona ed una Serena Rossi dall’ottimo physique du rôle, ma fin troppo marginale. Queste le pedine di una storia di incognite, truffe, rimorsi, verità dolorose e, per questo, celate, realtà e apparenza che regala allo spettatore 98 minuti di prevedibilità, banalità e noia.
Sullo sfondo di una Venezia vittima di un’inondazione totalmente decontestualizzata rispetto alle vicende della pellicola, lo script partorito dal trio Mordini-Marciano-Infascelli vorrebbe e potrebbe rappresentare un’autentica innovazione nel panorama cinematografico italiano, presentando una tipica costruzione narrativa alla Shirley Jackson/Peter Straub (in cui l’apparizione fantasmatica diventa pretesto per un discorso metaforico e profondo su rimpianto, perdita e dolore), ulteriormente rafforzata da un’ambientazione evocativa ed affascinante. Tuttavia, queste potenzialità argomentative e narratologiche si esauriscono in un racconto ingannevole e frustrante che, alla lunga, tradisce la propria anima thriller/mystery, abbandonandosi alle tipiche forme del drammone italiano emotivo e patemico e annullando, di conseguenza, quel briciolo di atmosfera inizialmente ricercata e parzialmente ottenuta. Seppur impostato su un continuo ping pong tra reale e soprannaturale - successivamente completato da spiegoni superflui che affondano le proprie radici nella fisica quantistica e nelle religioni e filosofie orientali (qui trattate come due facce della stessa medaglia) e risvolti di trama intuibili che, neanche a farlo apposta, fanno acqua da tutte le parti -, Lasciami andare sembra propendere per un’interpretazione e risoluzione terrena e realista. Questa simil-certezza viene però completamente ribaltata da un finale imbarazzante ed incoerente che, pur volendo stimolare una riflessione nello spettatore, si converte ben presto nel chiaro sintomo di quello stesso atteggiamento soffocante ed insicuro che domina l’intera produzione, determinandone la conseguente riuscita.
Un’impalcatura filmica che avrebbe bisogno di una spolverata e di qualche correzione è l’inadeguata forma e traslazione visiva di un soggetto, come affermato sopra, innovativo e promettente che ha avuto soltanto sfortuna nell’incontro con uno Stefano Mordini certamente volenteroso, ma esitante. Componenti secondarie, ma ugualmente sintomatiche di suddetta tradizionalità e carenza realizzativa, una fotografia che adotta la solita differenziazione cromatica di passato (gioioso e positivo) e presente (gravoso e straziante), una colonna sonora praticamente assente ed un montaggio subdolo ed invisibile. Non stupitevi dunque se, durante la visione, vi ritroverete a ripetere mentalmente il titolo del film. E’ soltanto il vostro cervello che tenta di esaudire uno dei vostri desideri più reconditi.