TITOLO ORIGINALE: The King's Man
USCITA ITALIA: 5 gennaio 2022
USCITA USA: 22 dicembre 2021
REGIA: Matthew Vaughn
SCENEGGIATURA: Karl Gajdusek, Matthew Vaughn
GENERE: azione, avventura, commedia
Prequel che opera un ricambio di personaggi ed ambientazione, riportandoci alla prima guerra mondiale per assistere alle origini della nota agenzia Kingsman, The King's Man di Matthew Vaughn è forse il peggiore capitolo della serie tra i tre finora rilasciati. Un war movie, con annessa sottotrama familiare, stanco e stucchevole che, quando non è impegnato a plagiare o rifare il lavoro degli altri, si ricorda delle sue fantomatiche origini e torna pertanto, ma solo nell’ultimo segmento(!), a cimentarsi in combattimenti ipercinetici, gadget improbabili, confronti tra gentleman e piani ingegnosi. Manca però quel sense of wonder continuo, quella filosofia divertita, quella coolness invidiabile e quell’ingegno inarrestabile. In poche parole, tutto ciò che ha reso e rende Kingsman… Kingsman. Quasi ci trovassimo di fronte ad un Ritchie minore o, peggio, ad un regista qualunque che tenta di scimmiottare lo stile di Matthew Vaughn.
The King’s Man (- Le origini). Per fortuna che ti hanno aggiunto quell’apostrofo, altrimenti nessuno ti riconoscerebbe. Peccato però che queste modifiche grafiche e grammatiche non prevengano The King’s Man dall’essere un disastro stanco, deludente e confuso firmato (ahinoi) Matthew Vaughn, autore di alcuni degli adattamenti da fumetto migliori e più riconoscibili degli ultimi anni, come il primo Kick-Ass e (appunto) i due Kingsman, tutti tratti dalle graphic novel di Mark Millar.
Tuttavia, prima di addentrarci nella recensione del nuovo addendo della serie, è bene tracciare una distinzione tra i suddetti due tentativi di trasposizione. Laddove infatti Kick-Ass è una traduzione fedele e totalmente asservita all’originale millariano, con Kingsman ci troviamo invece di fronte ad un’opera di Vaughn in tutto e per tutto. Un testo che egli ha plasmato e fatto suo a tal punto da trarne una creatura ed un universo che ormai sussistono quasi slegati ed indipendenti rispetto alla controparte cartacea. In tal senso, forse è proprio questa: espandere un qualcosa di proprio, oltre le pagine del fumetto; l’unica ragione che può giustificare il senso di un progetto come The King’s Man - Le origini.
Trattasi, in breve, di un prequel atto a narrare le origini della celebre agenzia di intelligence supersegreta [che arriverà poi ad ospitare il Galahad di Colin Firth, l’Eggsy di Taron Egerton, il Merlino di Mark Strong e tutta la combriccola di personaggi che, insieme ad una concezione fuori dal comune e (quasi) irripetibile del filone action-spy, hanno reso celebri i primi due film della serie], The King’s Man segue le vicende di Orlando, duca di Oxford ed ex-componente della croce rossa durante le guerre boere, interpretato da un Ralph Fiennes fuoriuscito dritto dritto dall’ultimo 007, che si abbandona progressivamente al mondo e alla visione di Vaughn, arrivando a rappresentare l’elemento più riuscito della pellicola.
Ad accompagnarlo vi sono il figlio Conrad, giovane disilluso, arguto e volenteroso, a cui presta corpo e viso un Harris Dickinson il cui unico effetto è farci rimpiangere la presenza scenica del già citato Egerton; il servo Shola (un Djimon Hounsou che non arriva come vorrebbe e dovrebbe) e la tata Polly (portata in scena da Gemma Arterton, alla quale si può applicare lo stesso discorso fatto per Hounsou). Il tutto, sullo sfondo dello scoppio della prima guerra mondiale, fatta passare da Vaughn come l’esplosione dei rancori, delle insicurezze e dei capricci di tre cugini, sfruttati a proprio beneficio da una malvagia e apolitica organizzazione segreta.
Questi tre cugini non solo altro che i tre monarchi più importanti d'Europa, Re Giorgio V d'Inghilterra, Guglielmo II di Germania e Nicola II di Russia, che il regista sceglie, nell’unica grande e vera intuizione sagace del film, di affidare all'aplomb di un Tom Hollander quadrato che però non sfrutta e diversifica al meglio questo suo impegno.
Questo reimpiego di storia ed eventi - che per molti potrebbe sembrare quasi un ripasso di cose già sentite innumerevoli volte - rappresenta probabilmente la componente più stimolante di The King’s Man. Scoprire il modo in cui Matthew Vaughn reimmagina e mette in scena - quasi sempre in maniera caricaturale e parodica - lo scenario storico, gli equilibri politici e i volti dominanti del secondo decennio del Novecento è infatti l’unico elemento del film che ci permette di rintracciare il divertimento arguto e sagace che ha sempre caratterizzato la serie Kingsman. Un gigantesco affresco tra il serio e il faceto che, se ben sfruttato e amalgamato con la formula da spy movie, avrebbe potuto costituire il fondamento di un eccezionale racconto di fantastoria a grossissimo budget.
Al contrario, il contesto e l’ambientazione storica, ossia il telaio che avrebbe potuto anche fare di The King’s Man un approccio originale e fresco all’idea solita dietro il franchise; è anche il tassello della sua narrazione che il cineasta tratta con più sufficienza, pigrizia e mal sopportazione, quasi fosse un’incombenza da risolvere al più presto per poi concentrarsi su cose (per lui) più goduriose. Queste “cose” sono sostanzialmente ciò che fa dell’ultimo Vaughn una pellicola svogliata, insoddisfacente, compunta, compassata, austera, moralmente confusa e contraddittoria (pacifista, antimilitarista, antimaschilista e, allo stesso tempo, tutto il contrario). Corretta in termini del tutto tecnici, ma sbagliata in fatto di toni e stile, nonché eccessivamente patetica ed altrettanto esageratamente drammatica, The King’s Man è un’opera che, nel tentativo appunto di svecchiare la parodia dello spy movie maschilista ed imperialista alla 007, finisce per estinguere ogni fattore che, negli anni, ha contribuito al successo del suo universo.
Il risultato finale è insomma un war movie, con annessa sottotrama familiare (anch'essa stucchevole, a lungo andare), che, quando non è impegnato a plagiare o rifare il lavoro degli altri - anche e soprattutto in termini estetici e fotografici - (si possono ritrovare 1917, War Horse, L'ora più buia, persino The Imitation Game), si ricorda delle sue fantomatiche origini e torna pertanto, ma solo nell’ultimo segmento(!), a cimentarsi in combattimenti ipercinetici, gadget improbabili, confronti tra gentleman e piani ingegnosi.
L’unica cosa che manca è però quel sense of wonder continuo, quella filosofia divertita, quella coolness invidiabile e quell’ingegno inarrestabile. In poche parole, tutto ciò che ha reso e rende Kingsman… Kingsman. Quasi ci trovassimo di fronte ad un Ritchie minore o, peggio, ad un regista qualunque che tenta di scimmiottare lo stile di Matthew Vaughn.
Non bastano allora un paio di sequenze esilaranti e sicuramente riuscite - come, ad esempio, il confronto con Rasputin (un Rhys Ifans mai così minaccioso e divertito) - o qualche pennellata che denota comunque la presenza di un Matthew Vaughn costretto ed esaurito dietro la macchina da presa, a fare di The King’s Man un prodotto che non ci faccia provare nostalgia per Harry ed Eggsy, o che possa definirsi quantomeno riuscito. L’idea che ci si fa è invece quella di star vedendo la fine espressiva di un regista che, pur cercando un’altra strada, sembra non avere più nulla di interessante da aggiungere.
E se il sottoutilizzo di interpreti come Daniel Brühl, Stanley Tucci ed un ritrovato Aaron Taylor-Johnson, così la presenza di una discutibile sequenza mid-credit, ci fanno pensare ad un to be continued…, l’unica cosa che ci interessa davvero, al momento, è sapere se e quando Ralph Fiennes diverrà il nuovo James Bond. Sigh.
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