TITOLO ORIGINALE: Io sono Babbo Natale
USCITA ITALIA: 3 novembre 2021
REGIA: Edoardo Falcone
SCENEGGIATURA: Edoardo Falcone
GENERE: commedia
Così come Freaks Out, Io sono Babbo Natale è l'altra produzione italiana attualmente in sala che cerca di riportare nel cinema italiano un elemento fantastico che, salvo eccezioni, non ci è mai appartenuto del tutto. Intendiamoci, quanto immaginato dal regista e sceneggiatore Edoardo Falcone non è nulla di esageratamente originale: gli americani lo facevano già trenta, quarant'anni fa. Il problema principale di Io sono Babbo Natale è però il suo essere una pellicola troppo formalizzata e troppo drammaturgicamente costretta, non solo per potersi definire un prodotto natalizio capace di sopravvivere alla prova del tempo e della memoria, ma anche e soprattutto per corrispondere ad un onere, sì, del tutto fortuito, ma tutt’altro che trascurato in campagna marketing.
C’è un po’ di Freaks Out all’interno di Io sono Babbo Natale di Edoardo Falcone - film che molti conosceranno poiché racchiude, come recita il trailer, “l’ultima grande interpretazione di Gigi Proietti”, venuto purtroppo a mancare giusto un anno fa. Nel senso che, insieme all’ambizioso progetto di Mainetti, quest’ultimo è l’altra produzione italiana attualmente in sala che riporta o, meglio, prova a riportare nel cinema nostrano un fantastico che, salvo eccezioni, culturalmente e cinematograficamente non ci è mai appartenuto in modo deciso e decisivo, ma che, negli ultimi anni, specie grazie a Garrone, sta pian piano lottando per (ri)emergere.
Basti pensare alla garbatezza, alla simpatia e all’affabilità con le quali Falcone scrive ed immagina i cosiddetti poteri di Babbo Natale (Gigi Proietti), che questi illustra ad Ettore (Marco Giallini) - un ladruncolo miserevole, inetto ed infantile che si ritrova ad ospitare in casa sua un po’ per caso - in una delle poche sequenze realmente divertenti di Io sono Babbo Natale.
Intendiamoci, nulla di esageratamente originale o pionieristico: gli americani lo facevano già trenta, quarant’anni fa in quegli stessi melodrammi e in quelle stesse commedie natalizie per tutta la famiglia - divenuti poi dei classici elegiaci e senza tempo - che il racconto di Falcone cerca di richiamare in qualsiasi modo e a qualsiasi costo. Del resto, gli ingredienti ci sarebbero tutti: due interpreti piacioni e talentuosi, una parabola di estrazione biblica - con tanto di citazione dal Vangelo di Matteo [“Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli” 18-4] posta in esergo e forse posteriormente alla scomparsa di Proietti -, una storia familiare con cui è facile immedesimarsi, quell’atmosfera natalizia che spesso riesce a far scivolare pure l’aspetto più assurdo o mediocre, e qualche battuta in romanesco messa al momento e nel posto giusti.
Purtroppo però, il mix di questi elementi non fa la fortuna di Io sono Babbo Natale, il quale rimane incastrato a metà tra il melodramma italiano classico ed una spruzzatina di fantasy natalizio d’oltreoceano, risultando inoltre privo di quello spirito che, in pellicole come questa, fanno praticamente metà del lavoro.
Ed è proprio un vero peccato, in quanto vi sono occasioni in cui il testo lascia intravedere uno spiraglio di ciò che avrebbe potuto essere. Vedasi, ad esempio, i rari (fin troppo, se consideriamo che si tratta di un film su Babbo Natale) momenti in cui assistiamo effettivamente alla manifestazione dei succitati poteri di Nicola Natalizi, i quali, diciamolo, potevano essere sfruttati e resi meglio dall’anima tecnico-estetica della produzione.
Per il resto, mentre la macchina da presa sembra provare per Giallini un qualcosa che, con Proietti (che qui funge quasi esclusivamente da presenza, quasi fantasmatica, bonaria e confortevole), purtroppo non si ritrova, la sceneggiatura dello stesso Falcone si lascia coinvolgere invano in una storia incolore e sistematica di genitori assenti, divisi e putativi; di rapporti in frantumi e riparati, di redenzione e di pregiudizio, ma anche di criminali senza corpo che - così come nell’ormai sdoganata serie Home Alone - a Natale si dilettano ad assaltare gli ambienti domestici, venendo regolarmente cacciati “a pedate nel sedere”. Il tutto, condito infine con un numero ingente di gag fisiche abbastanza convenzionali, qualche linea di dialogo innocuamente pungente ed un montaggio che lavora con ironia, ma che, al contempo, mostra il fianco a fin troppe imprecisioni.
Quello che ci si para di fronte è allora un film troppo formalizzato, troppo drammaturgicamente costretto e fin troppo antiquato, non solo per potersi definire un prodotto natalizio capace di sopravvivere alla prova del tempo e della memoria, ma anche per riuscire ad imporsi rispetto a quella stessa valanga di produzioni che tenta invano di ricreare, e, ancor più importante, per corrispondere ad un onere, sì, del tutto fortuito, ma (senza moralismo alcuno) tutt’altro che trascurato in sede di campagna marketing.
Dal canto nostro, non basta solo "l'ultimo dono di Gigi Proietti al cinema”, e dunque un finale involontariamente metaforico che è forse l’unico ricordo (insieme alla fantasia di un crossover con La befana vien di notte) che chi scrive conserverà della visione; per giustificare o fare la fortuna di una pellicola che potrebbe forse diventare una nuova istituzione festiva per migliaia di italiani - specie per il suo candore e la sua inoffensiva sincerità o, per meglio dire, ingenuità -, ma che, con altrettanta probabilità, presto potrebbe pure rischiare di disperdersi, venire abbandonato ed infine lasciato a prender polvere tra gli scaffali di qualche servizio streaming.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.