TITOLO ORIGINALE: The Witcher: Nightmare of the Wolf
USCITA ITALIA: 23 agosto 2021
USCITA USA: 23 agosto 2021
REGIA: Han Kwang Il
SCENEGGIATURA: Beau DeMayo
GENERE: animazione, fantasy, avventura
PIATTAFORMA: Netflix
Molti anni prima delle vicende raccontate nella serie tv The Witcher, Vesemir, giovane strigo e futuro mentore di Geralt, deve fare i conti con le ferite del passato, dopo aver salvato un bambino da un mostro che sembrerebbe essere controllato da qualcosa o da qualcuno di ben più potente.
I creativi del sudcoreano Studio Mir, sotto la supervisione del regista Han Kwang Il, e lo sceneggiatore Beau DeMayo concepiscono e confezionano un anime prequel della serie Netflix ideata da Lauren Schmidt Hissrich, atto a raccontare le origini ed una delle avventure più importanti di Vesemir, uno degli ultimi strighi ancora in vita e mentore del ben più noto Geralt di Rivia. Se ad una prima occhiata, Nightmare of the Wolf potrebbe apparire ai più solo ed unicamente come un racconto destinato quasi unicamente agli appassionati del mondo di The Witcher, è però negli interstizi e in alcuni suoi scioglimenti narrativi che l’anime rivela un’ambizione argomentativa leggermente più alta rispetto alle premesse e alla natura del progetto. Purtroppo, a lodevoli ambizioni non corrispondono parimenti sviluppi e così il film dello Studio Mir finisce per ridursi ad un antipasto, ad un’appendice che serve il suo compito enciclopedico in maniera abbastanza svogliata, ad un prodotto incapace di vivere di vita propria e di emanciparsi rispetto alle proprie origini produttive.
Siamo in un periodo in cui le grandi saghe della storia del cinema puntano, si rivolgono ed estendono la propria influenza mediatica e pop-culturale anche sul mondo dell’animazione. Star Wars (che con l’animazione aveva già avuto a che fare nel 1986 con la serie Ewoks) e le sue varie Clone Wars, Rebels e Resistance; il Marvel Cinematic Universe, recentemente approdato all’animazione con What If…?, uno show che si prepone di introdurre il grande pubblico e i fan dell’universo supereroistico disneyano al concetto e alla pratica del multiverso; e Il Signore degli Anelli, di cui è stata da poco annunciata la produzione di un anime prequel incentrato sulla guerra dei Rohirrim; sono solo alcuni degli altisonanti brand che, esaurita o meno la strada del live action che li ha plasmati e portati al successo sul grande schermo, decidono di intraprendere - seppur non sempre ottimamente - o intraprenderanno nel prossimo futuro nuove strade e forme espressive, abbracciando soprattutto, come potete ben constatare, le logiche del serial televisivo e la distribuzione di quelle piattaforme streaming che tanto sembrano minacciare la vita e la longevità della sala.
Pur essendo tutt’altro che “una grande saga della storia del cinema”, nonché relativamente fresca in termini di nascita, produzione e affermazione presso il grande pubblico, è proprio e anche questo il caso di The Witcher, una delle poche serie Netflix recenti realmente valide, che, adattando per il piccolo schermo (successivamente ad una formidabile trilogia di videogiochi) la Saga di Geralt di Rivia scritta ed ideata dall’autore polacco Andrzej Sapkowski, dà vita ad un racconto apparentemente nolaniano, forse fin troppo complesso e contorto, che può però contare su un cast di personaggi carismatici e su un mondo diegetico ben (rap)presentato e raccontato per colpire lo spettatore ed ambire, dopo Il trono di spade, al titolo di “nuova, grande serie fantasy”.
The Witcher: Nightmare of the Wolf è il primo dei due prodotti anime (i quali, dalla stupenda Castelvania in poi, stanno avendo sempre più successo sulla piattaforma di Los Gatos) con cui la serie polacco-statunitense ideata da Lauren Schmidt Hissrich (anche qui impegnata, ovviamente, in veste di produttrice) intende espandere e donare un background più concreto al proprio universo narrativo.
Quello concepito e animato dai creativi del sudcoreano Studio Mir, sotto la supervisione del regista Han Kwang Il, e composto dallo sceneggiatore Beau DeMayo è infatti un prequel atto a raccontare le origini ed una delle avventure (quella che porterà poi alla famigerata battaglia di Kaer Morhen e alla caduta del corpo dei witcher) più importanti di Vesemir. Un nome ed un personaggio, quest’ultimo, che gli amanti dell’universo di Sapkowski (nelle sue varie forme e propaggini) conosceranno di sicuro, a differenza viceversa di tutti coloro che hanno visto soltanto la serie, che il personaggio invece lo incontreranno, per la prima volta, nella stagione (la seconda) di prossima uscita. Seppur in vesti completamente differenti.
Quello presentatoci da Nightmare of the Wolf è infatti un Vesemir giovane, temerario e guascone, ancora lontano dall’essere il mentore di Geralt. Uno strigo apparentemente come tanti altri, interessato soltanto al guadagno e a godersi tutti quei piaceri della vita che riesce a permettersi uccidendo mostri e talora ingannando qualche contadino credulone. Nel profondo però, egli è segnato da un passato fatto di miseria e povertà - da cui ha tentato di scappare a tutti i costi - e di un amore mai avveratosi. Un passato che si ripresenta con forza, quando il nostro si ritrova a salvare un bambino dalla morsa di un leshen che sembra essere controllato da qualcosa o qualcuno di estremamente potente.
Se ad una prima occhiata, Nightmare of the Wolf potrebbe apparire ai più solo ed unicamente come un racconto destinato quasi unicamente agli appassionati del mondo di The Witcher, è però negli interstizi e in alcuni suoi scioglimenti narrativi che l’anime rivela un’ambizione argomentativa leggermente più alta rispetto alle premesse e alla natura del progetto.
I creativi dello Studio Mir e DeMayo danno vita di fatto ad una serie di momenti e quadri (concentrati principalmente nel segmento dell’incubo del lupo che intitola il film, ma non solo) che, ricorrendo all’allegoria, al simbolismo, ad una viscerale violenza grafica e/o psicologica e a dialoghi superficialmente significativi, tentano di indagare ed approfondire (come già fatto dalla serie madre, d’altronde) la natura, i principi, l’immaginario collettivo, luci ed ombre legate ai witcher e al loro mondo.
Tuttavia, ci duole constatare un’eclatante e, alla lunga, snervante penuria tematica (tanto è vero che gli unici punti su cui si sviscera questo discorso sono l’avidità e la paura del diverso) ed una evidente incapacità nel rappresentare gli strighi sotto una cattiva luce, lontani da quel fascino e carisma spietati tipici degli antieroi che tutti amano.
Il risultato è un intreccio che, sì, ricorda agli spettatori la diffidenza, il timore, il rispetto, ma anche l’odio che gli abitanti del mondo provano per gli strighi, ma non aggiunge nulla di nuovo al dibattito meglio sviscerato e ben più sottile del serial principale.
Ecco dunque compiersi le credenze e le perplessità di quei più. Esauriti infatti tutti quegli aspetti e quegli elementi che avrebbe potuto fare di Nightmare of the Wolf qualcosa di più di un antipasto, di un’appendice che serve il suo compito enciclopedico in maniera abbastanza svogliata, di un prodotto incapace di vivere di vita propria e di emanciparsi rispetto alle proprie origini produttive; cosa rimane di concreto e di veramente imperdibile in mano allo spettatore?
Forse un racconto formalmente convenzionale, narrativamente più vicino ad una quest minore di The Witcher 3 (il miglior videogioco della trilogia) e che, nonostante qualche twist più o meno prevedibile, punta indolente e disinteressato verso i titoli di coda? Oppure uno stile di animazione forte nel colpo d’occhio, ma lacunoso ed incerto nella cura dei dettagli, artisticamente ispirato (specie nella raffigurazione e rappresentazione della violenza, delle creature e di un mondo tuttavia mai veramente vivo e vibrante) ma che mostra il fianco ad una proverbialità iconografica che mina pesantemente le proprie potenzialità espressive? Oppure ancora una colonna sonora (di Brian D'Oliveira) che, specie in termini emozionali, riesce a fare di più di sceneggiatura e disegni messi insieme?
La via dell’animazione e, in particolare, dell’anime, almeno nelle premesse, è certamente giustificata dal fatto che, come affermato dallo stesso Beau DeMayo ai microfoni di Comicbook, “ci sono cose puoi realizzare in forma animata che saranno così spettacolari, così fighe, che se provi a farle in live-action, poi rischiano di risultare ridicole, o alla meno peggio come non autentiche all'occhio umano” e che vi sono elementi che “traggono vantaggio dall'animazione, e che solo l'animazione può rendere”. Tuttavia, se a queste premesse seguono un’attuazione ed uno sviluppo poco incisivo o, peggio, carente, forse sarebbe meglio accontentarsi di ciò che, di interessante e di promettente, già si è creato e abbandonare quella che, per ora, non è altro che un’incursione abbastanza dimenticabile.
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