TITOLO ORIGINALE: Old
USCITA ITALIA: 21 luglio 2021
USCITA USA: 23 luglio 2021
REGIA: M. Night Shyamalan
SCENEGGIATURA: M. Night Shyamalan
GENERE: thriller
Tre famiglie vengono invitate a passare una giornata in una spiaggia esclusiva dalla direzione del resort tropicale in cui soggiornano. Il posto, tuttavia, nasconde un orribile segreto...
14ª regia e primo adattamento cinematografico (della graphic novel svizzera Castello di sabbia di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters) di M. Night Shyamalan, regista de Il sesto senso, Unbreakable e Split, Old è un B-movie decente, ma una orripilante e deludente opera del regista, il quale, se con Glass sembrava già non passarsela proprio bene, qui raschia il fondo del barile in maniera così eclatante da sopprimere qualsiasi traccia del suo stile e della sua poetica. Una sintassi visiva sematicamente espressiva e concettualmente molto interessante (purtroppo momentanea) è un ottimo biglietto da visiva per una pellicola che, al contrario, perde ogni possibilità intrattenente a causa di un cast inespressivo e diretto male, di momenti involontariamente comici, di scelte fotografiche discutibili ed inconsistenti e di un racconto privo di qualsivoglia tensione, di cui si intravedono fin troppo palesemente i fili e le strutture.
L’acqua come ponte tra la vita e la morte… dell’anima. E’ quello che succede in Luca, il 24° film d’animazione della Disney Pixar, in cui due giovani mostri marini (che sono tutto fuorché mostruosi) superano il confine d’acqua che separa il loro mondo da quello in superficie, trasformandosi in esseri umani ed abbracciando la vita (quella vera ed imprevedibile, che si ha coraggio di vivere). Un’acqua che delimita due mondi e piega a proprio piacimento una delle tre unità cinematografiche fondamentali, lo spazio, per determinarne un’altra, l’azione, e così dare il via ad un intreccio fatto di tenaci e caotici tentativi di dissimulazione e occultamento della propria natura, che, a loro volta, costituiscono un elemento imprescindibile nella costruzione del senso ultimo del racconto filmico.
L’acqua come ponte tra la vita e la morte… del corpo. E’ questo invece il soggetto e la premessa da cui prende il via e su cui fonda (o vorrebbe fondare) gran parte delle proprie speranze affabulatorie Old, 14ª regia e primo adattamento cinematografico (della graphic novel svizzera Castello di sabbia di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters) di M. Night Shyamalan.
Dalle coste della cittadina di Portorosso e dai lidi di un racconto estivo di formazione ed amicizia, ci trasferiamo quindi in una spiaggia dai peculiari poteri invecchianti, proprietà di un resort tropicale che i nostri protagonisti hanno trovato online quasi per caso, e abbracciamo pertanto una dimensione di racconto e di messa in scena più prettamente thriller-(body)horror. L’acqua diventa dunque l’agente principale di un racconto che non riserva sorprese (eccezion fatta per il finale, unico aspetto in cui Shyamalan dimostra una benché minima cura o ispirazione, ma purtroppo anche unico vettore della vicenda) e la disturbatrice dell’altra unità cinematografica ancora da citare, il tempo, mediante cui determina e definisce, a sua volta, la succitata unità d’azione e, di conseguenza, una narrazione unicamente circoscritta ad una dinamica di sopravvivenza e(d eventualmente) fuga.
Il primo grande nemico di Old è sé stesso o, per meglio dire, il suo soggetto e il modo in cui quest’ultimo è stato utilizzato per pubblicizzare la pellicola e attirare il pubblico in sala. Come sempre accade infatti, un trailer, una locandina o una sinossi letta anche solo per sbaglio danno già modo allo spettatore di crearsi delle aspettative (talora anche involontarie ed indirette) rispetto a quello che andrà a vedere o, addirittura, alle situazioni a cui andrà inesorabilmente incontro durante la visione. Aspettative che, a volte, si rivelano del tutto esatte, ma che possono essere anche parimenti fuorvianti. Purtroppo, Old rientra nel primo caso: tutto ciò che ci si potrebbe attendere, accade senza stravolgimenti eclatanti.
Non ci allontaniamo molto dalla verità quindi affermando che ogni tipo di strumento e dispositivo pubblicitario legato al film presenti ed anticipi, in un modo o nell’altro, quello che, in termini di spettacolo e di narrazione, si vedrà poi sul grande schermo. Vale a dire un gioco al massacro-pena del contrappasso ai danni di tre famiglie di villeggianti, ognuna contraddistinta da problemi di vario tipo; che si ferma in superficie, che non ha nulla da dire - pur prestandosi ad un potenziale approfondimento tematico - e che, come se non bastasse, sembra quasi stonare all’interno dello stesso corpus “shyamalano”.
Indipendentemente dalla banalità (e talora piattezza drammaturgica) di scenari e dinamiche, il secondo, grande nemico di Old - la sua nemesi vera e propria - è il generale senso di risparmio e mediocrità compositiva che, proprio a partire dalla sceneggiatura (firmata dallo stesso cineasta) e da uno sviluppo prevedibile, ridondante, talora arbitrario di premesse che, nonostante tutto, si sarebbero prestate bene ad un grande film di M. Night Shyamalan; investe tutte le varie anime produttive della pellicola, ad esclusione della sintassi visiva che il regista si concede e concede allo spettatore... soltanto per la prima mezz’ora.
Semanticamente efficace, tensivamente nella media, spesso quasi disorientante, quella di Shyamalan è una regia che gioca, in maniera ironica ed intelligente, con l’altezza dell’inquadratura, tracciando, attraverso soggettive e semi-soggettive, carrellate, piani speculari ed un uso sapiente e ragionato del fuoricampo, confronti e contrasti concettuali e visuali tra il mondo dei bambini: spensierato ed autentico nella sua ingenuità (il preferito del regista fin dai tempi di Ad occhi aperti e de Il Sesto Senso e, in fin dei conti, anche quello grazie a cui si riuscirà a svelare il segreto della spiaggia); e quello, nevrotico e malato, degli adulti.Come anticipato sopra, anche la messa in scena di Old, così come il soggetto, cade ben presto nel più bieco pressapochismo, nel compitino da "Piccoli Brividi” poco ispirato, in una pornografia del didascalismo, dell’enfasi, della prolissità dialogica, dicasi altresì in una fiera della noia e dell’apatia più totali.
Non basta dunque qualche buona intuizione body horror [vedasi il corpo ragniforme della ragazza carente di calcio], intenzioni metaforiche o di reinterpretazione del presente (il dottore repubblicano e razzista? il fine giustifica i mezzi? ovviamente appiattiti), un uso più che soddisfacente, seppur incredibilmente dozzinale, di trucco ed effetti, una citazione visuale (da denuncia) a La finestra sul cortile di Hitchcock, un finale che azzecca il ritmo (ma inciampa in quella ampollosità e in quel bisogno diffuso di mostrare e spiegare a tutti i costi), a ristabilire una direzione improponibile di un cast inespressivo che perde l'attenzione e il supporto del pubblico ad una ventina di minuti dall'inizio, momenti involontariamente comici per messa in scena e scrittura, scelte fotografiche esteticamente discutibili e semanticamente inconsistenti [una macchina a mano alla Malick, zoom da “filmino di famiglia”, un ralenti totalmente superfluo], una colonna sonora assolutamente anonima e, aspetto più grave, un racconto privo di qualsivoglia tensione, di cui si intravedono fin troppo palesemente i fili e le strutture.
Un intreccio, quello architettato da Shyamalan, in cui è più interessante il "perché" del "come" e che è perciò completamente asservito al disvelamento di un twist finale (marchio di fabbrica del regista), il quale però, in questo caso specifico, costituisce più che altro l’unico motivo valido a frenare lo spettatore dall’abbandonare la sala prima dei titoli di coda. Quello a cui ci troviamo di fronte, in parole povere, è un film che, così come i suoi personaggi, invecchia e si sgretola ogni minuto che passa. Un B-movie decente, ma una orripilante e deludente opera (siamo dalle parti di E venne il giorno e Lady in the Water) di M. Night Shyamalan, il quale, se con Glass sembrava già non passarsela proprio bene, con Old raschia il fondo del barile in maniera così eclatante da sopprimere qualsiasi traccia del suo stile e della sua poetica.
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