TITOLO ORIGINALE: The Gentlemen
USCITA ITALIA: 1 dicembre 2020
USCITA USA: 24 gennaio 2020
REGIA: Guy Ritchie
SCENEGGIATURA: Guy Ritchie
GENERE: thriller, azione, commedia, gangster
PIATTAFORMA: Amazon Prime Video
Mickey Pearson, boss di un traffico di marijuana, intende ritirarsi definitivamente dal giro. Prima dovrà però fare i conti con un’inchiesta giornalistica volta a smascherarlo e con un giovane gangster cinese interessato alla sua attività. Guy Ritchie (Snatch, Sherlock Holmes e Aladdin, 2019) torna ai tanto amati gangster thriller e dark comedy con un film intenso, pregno di personalità, ma estremamente difettoso. Pur rappresentando due degli aspetti più pregevoli della produzione, una discontinuità narrativa ed una messa in scena fin troppo derivative trasformano la pellicola in un qualcosa di già visto e ridondante. A migliorare la situazione, un ritmo pungente ed avvincente, un ricettacolo di interpreti ispirati e di personaggi istantaneamente memorabili ed un comparto tecnico di buona fattura, per un prodotto senza alcuna pretesa, se non quella di divertire ed intrattenere per un paio d'ore.
“Per essere il re della giungla, non basta comportarsi da re. Devi essere il re”. Chi è l’artefice di questo pensiero? Così su due piedi e ad un’occhiata superficiale, chiunque direbbe Mickey Pearson (Matthew McConaughey), boss di un immenso e milionario traffico di marijuana, nonché protagonista di facciata del nuovo film di Guy Ritchie, The Gentlemen. E se invece queste parole non fossero altro che una rivendicazione poetica e filmica dello stesso Ritchie, quasi a ribadire il suo status di “re” del gangster thriller post-tarantiniano e il suo rilievo nel cinema action degli ultimi decenni? Peccato soltanto che, ora come ora, il cineasta britannico, più che al rango di re, possa aspirare unicamente a quello di suddito.
Come mai? E’ presto detto. Basti pensare alle sue ultime produzioni, dettate e contraddistinte da un servilismo e appiattimento tecnico-stilistico a favore di major come Warner Bros. e Disney e dei loro intenti produttivi. Difatti, tolta la duologia di Sherlock Holmes - che, oltre ad aver avuto un grande successo di pubblico, presentava ancora un barlume di ingegno nella messa in scena - e l’omaggio trascurabile di una miniserie del 1964 in Operazione UNCLE, negli ultimi anni la carriera di Guy Ritchie è stata contrassegnata da due completi flop: da un lato, lo scialbo e pleonastico King Arthur - Il potere della spada, dall'altro, il recente remake live action di Aladdin, in cui, eccezion fatta per una manciata di sequenze, la firma stilistica del regista britannico si è eclissata completamente.
La leggendaria Camelot e le sabbie magiche di Agrabah avranno sì smorzato il vigore, la vivacità e, di conseguenza, lo sguardo registico di Ritchie, ma non l'hanno di certo spento del tutto. O almeno, questa è una delle prime impressioni che si ha alla visione di The Gentlemen, opera che sancisce un ritorno da parte del regista alle atmosfere, alle ambientazioni e ai toni tipici dei suoi primi lavori, in particolare di pellicole come Lock & Stock e Snatch. Assoluto protagonista del film, come anticipato sopra, Mickey Pearson e il suo traffico di “maria, erba, skunk amola, White Widow Super Cheese” o come volete chiamarla.
Questi, imborghesitosi e ormai giunto alla mezza età, è sul punto di vendere la propria attività e ritirarsi definitivamente dal giro. Tuttavia, un’inchiesta giornalistica del tabloid Daily Print - volta a svelare l’intero organigramma dell’organizzazione di Pearson e la sua vicinanza con molteplici nobili e Lord inglesi - ed una sequela di ricatti, sabotaggi e corruzioni ad opera di un gangster cinese di nome Dry Eye rischiano di mandare a monte questo suo pensionamento. Mickey dovrà quindi far valere il proprio titolo di “re della giungla” e difendere quanto guadagnatosi con tempo e fatica (e quanto guadagnerà dalla cessione) con le unghie e con i denti.
Ricollegandoci a quanto sostenuto in apertura, con The Gentlemen, Guy Ritchie omaggia il (o prende a piene mani dal, dipende dai punti di vista) cinema di Quentin Tarantino - una sorta di padre spirituale e artistico per il regista. Il film di Ritchie si rifà, in particolare, all’approccio e al lavoro compiuto da quest'ultimo nei riguardi del filone gangster thriller e su pietre miliari del genere come Le Iene, Pulp Fiction e Jackie Brown. Unitamente allo stile registico frizzante, pungente e intenso di Ritchie, questo attaccamento alla visione tarantiniana si mostra evidente fin dalla stessa struttura e strutturazione del racconto filmico. Ancor più frammentario e discontinuo di tanti altri scritti dal cineasta britannico, esso viene infatti presentato ed esposto al pubblico in maniera del tutto insolita - ma non per questo completamente inedita.
L’incontro confidenziale e fortuito tra uno dei personaggi più riusciti di tutti: l’investigatore privato, interpretato da un viscido e sardonico Hugh Grant, al servizio del Daily Print; e Raymond Smith (Charlie Hunnam) - nientemeno che il braccio destro dello stesso Mickey - dà così il via ad una serie di flashback più o meno lunghi che, oltre ad introdurre personaggi e dinamiche di potere e sviluppare azione e racconto, rispondono ad un discorso metacinematografico accattivante, ma tutt’altro che trascendentale o quantomeno rilevante nell’economia del film e dei suoi scopi estetico-narrativi. Inserti extra-diegetici, cambi di formato tanto rapidi quanto irrilevanti ed una sceneggiatura, dal titolo Bush, contenente tutto ciò che Fletcher - l’investigatore privato - ha raccolto e scoperto dei traffici di Pearson: la narrazione frenetica e volutamente ellittica di The Gentlemen si realizza e si fa largo tra libertà autoriali rispetto ai fatti, battute di commento ironiche e siparietti comici tra il detective e il criminale, davanti ad una bistecca o ad una bottiglia di whisky.
Un altro aspetto ripreso dal cinema tarantiniano è, senz’ombra di dubbio, la gestione e la caratterizzazione dei personaggi. Partendo dai bassifondi fino ad arrivare ai manieri del countryside inglese, Guy Ritchie dà nome, respiro e assetto ad un mosaico di figure pittoresche, distinguibili ed istantaneamente iconiche. Tralasciando per un attimo il personaggio di McConaughey - un protagonista defilato e spesso lasciato nell’ombra -, è chiaro come la sceneggiatura (sempre di Ritchie) si sia focalizzata principalmente su una presentazione affascinante e una resa visivo-narrativa quanto più singolare e peculiare di co-protagonisti, aiutanti, personaggi secondari e di contorno. Se ad una costruzione del genere sommiamo un ricettacolo di interpreti ed interpretazioni di grande fascino ed eleganza - su cui troneggiano quella del summenzionato Hugh Grant, quella di un Colin Farrell pacato ma irresistibile e quella di un McConaughey credibile e convincente - ed una ricerca estetica e costumistica pregevole e raffinata, il gioco è fatto.
A completare e rifinire lo script di The Gentlemen, un comparto dialogico mordace, pungente e sferzante - a metà tra Soderbergh e Tarantino - che riflette e consolida l’anima british del racconto (già composta e suggerita da scenografie e vestiario), condisce e tratteggia la vicenda del “pensionamento” di Mickey con un black humor trattenuto se confrontato ad altri prodotti simili, ma contraddstinto da un paio di momenti di squisita comicità politicamente scorretta, e scandisce ed intervalla un ventaglio di sequenze action solide, ma tecnicamente non strabilianti.
In tal senso, colpiscono l’occhio e l’emotività dello spettatore una messa in scena senza fronzoli o manierismi vari, cristallina nei movimenti di macchina, schietta nello sviluppo dell’azione - anche grazie ad un montaggio che, oltre ad articolare con precisione il continuo andirivieni temporale, rende la rappresentazione comprensibile e dinamica -, una fotografia appagante che valorizza e impreziosisce il cromatismo e le sfumature di ambientazioni e costumi - pur rivelandosi inefficiente nel sfruttare l’amo metacinematografico gettato - ed una colonna sonora non sempre presente, ma che ben si confà all’atmosfera scanzonata e goliardica dell’opera (tra le scelte più azzeccate, segnaliamo Cumberland Gap di David Rawlings come accompagnamento dei titoli di testa).
Nonostante costituiscano due dei maggiori pregi della creatura filmica di Guy Ritchie, la discontinuità narrativa e la spiccata anima gangster di The Gentlemen sono anche parte integrante di uno dei suoi principali difetti. Difatti, pur presentandosi come un prodotto intenso e pregno di personalità; come un’esperienza cinematografica che rimane indubbiamente impressa nella mente dello spettatore, la pellicola è fin troppo derivativa non solo se inquadrata nel proprio filone di appartenenza (abbiamo citato Pulp Fiction, ma potevamo chiamare in causa anche opere come Il grande Lebowski e Ocean’s Eleven o serie televisive come Peaky Blinders e Gangs of London), ma anche all’interno della stessa filmografia di Ritchie.
Per quanto funzionali e complessivamente riusciti siano la messa in scena o lo sviluppo dell’intreccio, ogni inquadratura, ogni dialogo, ogni personaggio, ogni tagliente ironia, ogni violenza compiuta odora di già visto, di consuetudinario, di ripetitivo - il che ci porta ad una parziale sottostima e rivalutazione. Questa realtà dei fatti non disturberà assolutamente tutti quegli spettatori occasionali alla ricerca di una pellicola con cui passare una serata spensierata e divertente, ma apparirà già convenzionale e sorpassata ad una fascia di pubblico più rodata e avvezza ad opere di questo tipo.
Detto ciò, The Gentlemen non sarà certo una pellicola innovativa, folgorante o perlomeno sorprendente (non lo è neanche il suo triplo twist finale); un capolavoro di tecnica, storytelling o estetica, oppure, ancora, il miglior film di Ritchie. Tuttavia, esso riesce a portare avanti - e con risultati più che positivi - una serie di incombenze che, visti i pregressi, quasi nessuno avrebbe ritenuto soddisfacibili, ovvero cancellare dalla memoria degli spettatori incubi grevi e indigesti come King Arthur e Aladdin e riportare alla ribalta (attraverso un andirivieni temporale intra- ed extra-filmico) la visione e lo stile di un (fu?) grande regista come Guy Ritchie, confezionando, al contempo, un prodotto diretto, schietto e senza alcuna pretesa, se non quella di divertire. The Gentlemen potrà apparire ai più come un giocattolone colorato, appariscente e chiassoso, devoto all’intrattenimento più debosciato e sensazionalistico. E quei più avrebbero pure ragione. Ciò nonostante, come ci ricorda la canzone accordata ai titoli di coda, that's entertainment!
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