TITOLO ORIGINALE: Origin
USCITA ITALIA: n.d.
USCITA USA: 2023
REGIA: Ava DuVernay
SCENEGGIATURA: Ava DuVernay
CON: Aunjanue Ellis-Taylor, Jon Bernthal, Niecy Nash-Betts, Vera Farmiga, Audra McDonald, Nick Offerman, Blair Underwood, Connie Nielsen, Emily Yancy, Jasmine Cephas-Jones, Finn Wittock, Victoria Pedretti, Isha Blaaker, Myles Frost
GENERE: drammatico, documentario
DURATA: 130 min
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Partendo dalla stimolante ed importante storia dell'autrice afroamericana premio Pulitzer e della lavorazione di uno dei suoi lavori più noti, la regista candidata all'Oscar Ava DuVernay costruisce un ibrido di linguaggi che intreccia la fiction del racconto più intimo e familiare della scrittrice, con pratiche documentaristiche e da video-essay. Il documentario funziona, il dramma molto meno, ma la pellicola è già tra i front-runner della prossima stagione dei premi.
Quella dell'autrice afroamericana premio Pulitzer Isabel Wilkerson è una storia tanto appassionante, quanto importante (per le recenti derive del cinema nordamericano post-#BlackLivesMatter e post-#MeToo), che quasi non ci si crede che, da essa, non ne sia stata tratto prima un adattamento, cinematografico o televisivo.
Lo fa oggi la regista (meglio conosciuta per Selma, candidata all’Oscar per il documentario XIII emendamento) Ava DuVernay in Origin, pellicola che ripercorre, in particolare, le fasi di ricerca, studio, scoperta e preparazione di uno dei lavori più rinomati dell’autrice, Caste: The Origins of Our Discontents, un saggio che descrive un fondamentale cambio, una rivoluzione di prospettiva per gli ultimi studi antropologici.
Secondo Wilkerson, infatti, quello che definiamo - a volte, improvvidamente ed inconsapevolmente - razzismo è in realtà una generalizzazione. Esso è infatti soltanto una conseguenza di un sistema di stratificazione sociale a livello sociale caratterizzato da nozioni come gerarchia, inclusione, esclusione e purezza, definito come “sistema di caste”. La scrittrice, questo discorso, lo costruisce e lo sviluppa confrontando aspetti dell’esperienza di vari afroamericani con i sistemi di caste dell’India e della Germania nazista, esplorando l’impatto di suddetto sistema - invisibile ed insieme evidentissimo, palpabile ma ignorato dalle persone - sulle società modellate.
Un tema, questo, che parrebbe quanto più azzeccato per i tempi, le modalità, il formato del documentario, DuVernay lo trasforma invece in qualcos’altro. In un ibrido di linguaggi che intreccia la fiction del racconto più intimo e familiare della scrittrice, costellato di numerosi lutti, con pratiche documentaristiche e da video-essay nelle sequenze di viaggio tra Germania, Stati Uniti ed India, sulle tracce di una interconnessione da molti ritenuta vaga, pretestuosa, impossibile da rintracciare e giustificare seriamente.
Sono proprio questi ultimi frangenti i più riusciti e coinvolgenti di Origin. Frammenti in cui la narrazione, la messa in scena e il ritmo incalzante di DuVernay riescono nell’intento di immergerci ed appassionarci delle sorti e delle scoperte di questo viaggio quasi dentro la genetica dell’essere umano, inebriandoci della affabile curiosità che, grazie soprattutto al decisivo apporto di Aunjanue Ellis-Taylor (Una famiglia vincente), campeggia naturalmente sul volto della protagonista.
È però la, seppur spesso efficace, facilità drammaturgica ed emotigena dei segmenti più prettamente melodrammatici a spingerci nell'affermare che, purtroppo - e malgrado le buone prove ed intenzioni, oltre che della già citata Ellis-Taylor, di un misurato Jon Bernthal e di una Niecy Nash-Betts mattatrice, a dir poco esilarante - Origin è davvero un documentario mancato. Talora (specie nei movimenti finali) pure ridondante e scolastico, troppo lungo e tinto di un didascalismo stucchevole, ma produttivamente molto furbo nel saper intercettare le potenzialità del soggetto, e così porsi già tra i front-runner della prossima stagione dei premi.
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