TITOLO ORIGINALE: Poor Things
USCITA ITALIA: 25 gennaio 2024
USCITA USA: 8 dicembre 2023
REGIA: Yorgos Lanthimos
SCENEGGIATURA: Tony McNamara
CON: Emma Stone, Mark Ruffalo, Willem Dafoe, Ramy Youssef
GENERE: sentimentale, fantascienza, fantastico, commedia, drammatico, horror
DURATA: 141 min
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Quasi cinque anni dopo l’anteprima veneziana di uno dei suoi migliori lavori, La favorita, Yorgos Lanthimos torna ad illuminare il grande schermo con l’adattamento libero del romanzo di Alasdair Gray. Povere creature è un film che sfoggia, ostenta la propria presunta sofisticatezza, artisticità e magniloquenza estetico-stilistica per ipnotizzare, abbagliare chi guarda e far passare in secondo piano la pochezza di ispirazione e la mediocrità dei suoi sviluppi.
C’è una sola sequenza, in Povere creature di Yorgos Lanthimos, uno dei registi più audaci, particolari e controversi del panorama contemporaneo (che torna sugli schermi del Lido a cinque anni da La favorita, il suo maggior successo e, per chi scrive, il suo miglior lavoro insieme a Dogtooth) che possiamo definire Cinema. Sì, avete letto bene. E no, non è un inizio ad effetto. Quello che riempie e rumoreggia nelle due ore e quindici precedenti e successive a questo segmento - che è una sequenza di ballo meravigliosa, durante cui tutta l’impalcatura filmica, dagli interpreti alla stessa istanza narrante, fuoriescono e donano un po’ di anima ad un’opera, del resto, tanto pretenziosa e tronfia da risultare piuttosto tutto il contrario - è infatti semplice, banale, vana e fastidiosa provocazione.
Non che Lanthimos o le sue opere siano mai stati del tutto estranei ad una certa cifra urticante (si pensi ai più sconosciuti Kinetta ed Alps, oltre che al già citato Dogtooth). Tuttavia, l'integrità della filmografia lanthimosiana si è sempre fondata su idee, intuizioni e - soprattutto - sceneggiature sostanziose. Magari non ineccepibili, ma mosse e motivate comunque dall’urgenza di fornire allo spettatore un punto di vista inedito o anche solo dal desiderio di trasportare quest’ultimo nell’ennesimo, nell’ultimo dei suoi mondi inquietanti, bizzarri, distopici, morbosi. Sostanziosità e materia di cui, pur essendo tratto da un suggestivo romanzo a firma dello scozzese Alasdair Gray, Povere creature è totalmente sprovvisto.
La storia - di per sé perfettamente coerente all’interno della poetica e degli interessi del cineasta - è quella di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita e allo stadio infantile da uno scienziato, che diventa anche un padre-protettore, tal dottore God(win) Baxter. Mentre (ri)cresce cognitivamente, la ragazza sviluppa una sincera curiosità per il nuovo mondo in cui è stata resuscitata e, malgrado le titubanze del suo “creatore”, decide di esplorarlo. Accetta così l'allettante proposta di Duncan Wedderburn, un avvocato meschino ed ottuso, e scappa, alla scoperta di una libertà e di un’uguaglianza del tutto fantastiche, utopiche, ma purtroppo per lei anche l’essenza più animalesca, crudele ed abietta dell’Uomo(!).
Un po’ fantasmagorica emancipazione steampunk, odissea delle possibilità erogene del proprio corpo, lisergico ed anestetico giro del mondo in 80 (e più) eiaculazioni, stoner comedy e weird movie, omaggio al cinema horror hollywoodiano classico (quello di Frankenstein e La moglie di Frankenstein di James Whale, a cui pure il libro fa evidente riferimento) e non solo (ci sono pure The Elephant Man di David Lynch e qualcosa di Fritz Lang): l’ultima fatica di Yorgos Lanthimos è anche e soprattutto un film a cui piace vincere facile. Che sfoggia, ostenta la propria presunta sofisticatezza, artisticità e magniloquenza estetico-stilistica per ipnotizzare, abbagliare chi guarda e far passare in secondo piano la pochezza di ispirazione e l’altrettanto mediocrità dei suoi sviluppi.
Pian piano infatti, il film comincia ad incartarsi su sé stesso, sul breve respiro di dialoghi sciocchissimi e retorici, di un intreccio dai risvolti prevedibili, di una comicità facile, per non dire volgare (peti, flati, escrezioni e tanto, tantissimo sesso), nonché sull’ossessiva ricerca (anche con i mezzi più beceri) dell’effetto shock o what-the-fuck, fino a diventare una reiterazione estenuante ed ostinata delle stesse, identiche situazioni.
Ma se: cambi di registri fotografici a dir poco didascalici (il bianco e nero, oltre che per una ragione filologica, per rappresentare la privazione a cui è soggiogata Bella fra le quattro mura della casa del dottore, mentre il colore per amplicarne il senso di stupore, di meraviglia quasi abbacinante e travolgente, la consapevolezza degli strati e delle realtà che compongono il mondo e la vita, man mano che li assapora con tutti e cinque i sensi), fish-eye sparsi ed utilizzati in maniera del tutto inspiegabile, in un rimando chissà se consapevole alla pittura di Van Eycz, le mirabili scenografie atemporali di Shona Heath e James Price, i ripetitivi tappeti musicali di Jerskin Fendrix, o anche solo gli ibridi animali di design; non bastassero, ci pensa Emma Stone a distoglierci, oppure a confermare ancor più limpidamente l'infelicità e la poca ispirazione del progetto.
Questa infatti è perfetta, come casting ed interpretazione (assurda e petulante), per il ruolo mediocre - sviluppato dichiaratamente a partire da sue improvvisazioni - che è chiamata a coprire. Ossia quello di una bambinona rumorosa che, mentre prende consapevolezza di sé, di ciò che la circonda e delle idee anticonvenzionali che iniziano a riempirle la testa, smette le movenze da marionetta (che sofisticatezza!) per diventare un sentenzioso pamphlet ambulante contro il maschilismo e conservatorismo imperanti nel suo mondo, rappresentati, in primis, dall’avvocato Wedderburn portato in scena da Mark Ruffalo. Egli è tanto devoto da rubare completamente la scena alla collega, facendoci quasi desiderare che la pellicola fosse stata incentrata interamente su di lui.
Sembra questo il destino di tanti, quasi tutti i racconti di emancipazione femminile che si accomodano ed impigriscono sull’attualità del messaggio che vogliono lanciare e della storia che vogliono tradurre in immagine. Ma nessuno degli ambiziosi tableaux, dei trip allucinogeni o dei capricci onanistici di Bella Baxter e di Povere creature rimarranno davvero impressi nella vostra mente.
Che Yorgos Lanthimos - pur con tutti i distinguo e le precisazioni del caso - possa o sia già diventato il nuovo Wes Anderson?
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