TITOLO ORIGINALE: Transformers: Rise of the Beasts
USCITA ITALIA: 7 giugno 2023
USCITA USA: 9 giugno 2023
REGIA: Steven Caple Jr.
SCENEGGIATURA: Joby Harold, Darnell Metayer, Josh Peters, Erich Hoeber, Jon Hoeber
CON: Anthony Ramos, Dominique Fishback, Peter Cullen, Ron Perlman, Michelle Yeoh
GENERE: azione, fantascienza, avventura
DURATA: 127 min
Prequel dei film di Michael Bay, sequel di Bumblebee ed ennesimo tentativo di rilancio (questa volta, però, con un'ottica ben più ampia) del franchise, Transformers - Il risveglio di Steven Caple Jr. una specie di Iron Man per un eventuale Hasbro Cinematic Universe. Un film che sembra procedere col pilota automatico, con scioltezza e mestiere, ma in cui latitano quel sentimento, quella scintilla, quella vertigine, quell’affetto capaci di distinguere ogni sua componente e non ridurle a semplici ingranaggi di un meccanismo confortevole e funzionale, ma animato in maniera blanda e svogliata. Forse sarebbe meglio finirla qui.
“La vita non è un fumetto” dice Noah Diaz al fratellino Kris, dopo aver ricevuto l’ennesimo rifiuto ad un colloquio di lavoro (per via del suo retaggio, forse della sua etnia ed estrazione sociale, ma soprattutto della sua brutta fama di solitario), in una delle sequenze iniziali di Transformers - Il risveglio di Steven Caple Jr. Scoprirà qualche ora più tardi che la vita può assumere le sembianze assurde, improbabili, straordinarie delle storie a fumetti, specie se ci si imbatte in una Porsche grigia che parla, ha una coscienza e - cosa più importante - un gruppo di amici robot alieni, alti quanto palazzi, anch’essi parlanti, nonché capaci di trasformarsi in qualsiasi veicolo esistente sulla faccia della Terra.
Ad ogni modo, nella pellicola di Caple Jr. - che è insieme un prequel dei Transformers originali, rumorosi, orgiastici, e, in un certo senso, unici, a firma Michael Bay, un sequel del poco fortunato, ma estremamente amabile spin-off Bumblebee di Travis Knight, e soprattutto l’ennesimo tentativo di rilancio di un franchise, quello degli Autobot Hasbro, per cui, dopo il picco de L’era dell’estinzione, l’interesse è andato man mano scemando - il fumettistico e la sua conformazione più cinematografica e tipica, ossia il supereroistico, non sono soltanto un fatto narrativo, ma anche estetico, editoriale, immaginifico.
Ormai, infatti, la maggior parte dei progetti universali o multiversali e degli accenni di saga non si esimono o, meglio, pare non possano esimersi dal recuperare o rifarsi al franchise per eccellenza del panorama odierno: il Marvel Cinematic Universe - seppur or ora in seria crisi, smascherato dalla sua presunta ed apparente inscalfibilità.
Transformers - Il risveglio è allora una specie di Iron Man per un eventuale Hasbro Cinematic Universe, di numero zero, di proemio per un progetto incerto, poiché cammina in uno spazio produttivo e in un momento incerto di popolarità del brand.
A tal riguardo, cambiano - com’erano cambiati già in Bumblebee - il punto di vista, il fulcro, l’unità di misura delle vicende e del mondo portato in scena. Si sceglie comprensibilmente una via del tutto opposta ai deliri tanto infantili, ipertrofici e sregolati, quanto singolari ed irripetibili del Bayhem, dei suoi grovigli di lamiere, ingranaggi ed olio per motori, e di una composizione che, salvo l’ultimo atto del terzo Transformers, ha sempre prediletto e si è sempre sentita più stimolata ed (è il proprio il caso di dirlo) eccitata dal maiuscolo, dallo sproporzionato, dal colossale, che non dal minuscolo e dall’antropico.
I personaggi umani tornano pertanto al centro del fotogramma e lo fanno anche i loro problemi. Cosa che, dopo la prova di regia di Creed II, non fa che confermare la predisposizione di Steven Caple Jr. per le incursioni e la rivitalizzazione di testi (Rocky e Transformers) che hanno sempre parlato - più o meno esplicitamente, seriamente e pacatamente - (anche) del sogno americano. Ecco quindi che, dopo i primi tre capitoli - i quali, sulla base della prospettiva da cui li si osserva, possono pure restituire l'idea di una sorta di trittico coming-of-age che usa (ma non per questo diserta) i robottoni per affrontare i turbamenti e le ossessioni tutte americane del Sam Witwicky di un amabilmente schizzato Shia LaBeouf -, si torna a parlare di colloqui, lavoro, disparità sociali, istruzione, sistema sanitario, tasse, copertura assicurativa… mentre sullo sfondo delle macchine aliene se le danno di santa ragione.
Ma al di là di questo, di un recupero - solo con modalità, obiettivi ed attenzioni diverse - di un sottotesto e di un elemento presente sin dalla primissima follia lucida di Michael Bay; quella che racconta e propone Transformers - Il risveglio è sempre la stessa, identica storia di sempre, solo cambiata di (qualche) faccia.
C’è un cattivone (il dio barra divoratore di pianeti Unicron) ancor più gigantesco di quello precedente, che vuole entrare in possesso di un artefatto tecnologico (la cosiddetta chiave di transcurvatura - cosa?) per distruggere l’universo, ma che, per sfortuna sua e fortuna nostra, si vede sbarrare la strada da Optimus Prime e dai suoi fantastici compagni Autobot, i quali, a loro volta, si ritroveranno per caso a dover chiedere l’aiuto degli umani. Non sarebbe comunque un problema questo sdoganamento nemmeno così sottile e taciuto di quello che è, in fondo, un mero MacGuffin. Lo diventa tuttavia nel momento in cui tutto quello che quest'ultimo giustifica, permette ed avvia viene portato in scena nella maniera più blanda, generica, apatica e svogliata possibile.
Transformers - Il risveglio sembra dunque procedere col pilota automatico, con scioltezza e mestiere, ma in lui latitano quel sentimento, quella scintilla, quella vertigine, quell’affetto capaci di fare di Optimus e dei suoi amici, così come di tutta la backstory dei due personaggi umani (interpretati da un Anthony Ramos e da una Dominique Fishback pratici), della comparazione tra Noah e lo stesso Prime, o ancora l’incomprensibile scelta di trasferire il racconto in un Perù da cartolina; qualcosa di più di ingranaggi funzionali di un meccanismo funzionante. Di un giocattolone estivo confortevole, eppure grigio, desaturato, macchinoso e non turgido, finanche noioso. Insomma, di un qualcosa di ben distante dall’ardore e anche dalla spudoratezza che hanno contraddistinto i migliori tramonti della saga.
Allo stesso tempo, non basta ricalcare invano le orme “insensatamente sensate” di Michael Bay (e questo la dice lunga sulla sua controversa, ma pur sempre notabile cifra stilistica!), sperando magari in un’alchimia senza formula. Né serve a qualcosa spargere qua e là il solito frullato post-moderno di citazioni (a film e videogiochi, in primis), riferimenti, estetiche (come quella rap, hip-hop, suburbana, graffitara, afroamericana ed ispanica) e brani celebri, per restituire una rarefatta ed irrespirabile atmosfera anni ‘90. Non bastano tantomeno un paio di intuizioni che ci fa strano la saga non abbia adottato prima (i Primal, l’eso-tuta, caso vuole, proprio alla Iron Man), per rimettere in carreggiata, rispolverare e tentare appunto di risvegliare (l’interesse per le sorti di) un universo che, come avviene presto in quest’ultimo capitolo, ha ormai finito la benzina o, se preferite, le riserve di Energon nel serbatoio. A meno che non si cerchi di chiamare in partita ed accorpare un'altra proprietà intellettuale.
Comunque sia, è il caso di dirlo: non c’è più nient’altro oltre quel che si vede.
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