TITOLO ORIGINALE: Missing
USCITA ITALIA: 9 marzo 2023
USCITA USA: 20 gennaio 2023
REGIA: Nick Johnson, Will Merrick
SCENEGGIATURA: Nick Johnson, Will Merrick
GENERE: thriller
DURATA: 111 min
Presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2023
Sequel stand-alone del desktop movie Searching di Aneesh Chaganty, Missing è la storia di una ragazzina che deve sfruttare tutte le possibilità della tecnologia e della trasmutazione digitale di ricordi e verità per scoprire la verità sulla (scomparsa della) madre. Promossi, da montatori del primo film, a registi e sceneggiatori, Nick Johnson e Will Merrick informano un thriller coinvolgente e adrenalinico più sofisticato ed elegante delle apparenze, che può stimolare uno spettatore più esigente per il suo essere espressione più vicina, pertinente, inserita ed inevitabilmente assoggettata della e alla contemporaneità, ed uno più epidermico e generalista per il dedalo di vicoli ciechi, il labirinto di possibilità, di eventuali itinerari investigativi, di alchimie deduttive, di collegamenti logici, il gioco di scatole sulla verità non tanto sul caso, quanto sulle persone coinvolte.
Parlando di tecnologia, una delle retoriche più comune è quella che vede i nostri smartphone, computer o, più in generale, dispositivi digitali, quali contenitori materiali, portatili, hardware per utilizzare un termine specifico, della nostra vita e dei nostri ricordi, che sono fondamentalmente software, la parte intangibile ed immateriale, dapprima nella nostra mente e poi nella memoria (fisica, tangibile, di dimensioni ben precise) del nostro device, dove però si mantengono persistenti, sempre e comunque visibili, riccamente catalogabili e facilmente consultabili. Foto, video, note vocali, messaggi: nient’altro che file informatizzati, impersonali, uguali a tanti altri presi in sé e per sé, che tuttavia siamo noi a caricare di significato, valore, calore, sentimento.
È appunto questa un’idea facile, la prima che a chiunque possa venire in mente, ormai sdoganata, vecchia, polverosa e proverbiale già prima di consolidarsi, utilizzata nei più disparati ambiti e in tante diverse circostanze (dalle più colloquiali alle più formali e serie). Una dalla quale, tuttavia, Missing riesce ad estrarre e tradurre in una fortissima idea di cinema e in un altrettanto valido elemento di thrilling.
Eppure quest'ultimo non è l’unico, né tantomeno il primo film ad utilizzare, in questo modo e soprattutto secondo simili percorsi narrativi, la trasmutazione di vita vissuta (ed opportunamente registrata, tracciata, riprodotta, conservata) in dati digitali ed eterei. Dovremmo riportare indietro le lancette del tempo e rintracciare i primi baluginii in The Blair Witch Project, o ancor prima in Cannibal Holocaust, e nell’esplosione del fenomeno found footage che ne conseguì e dominò la filiera hollywoodiana a cavallo tra anni ‘90 e 2000. Poi, consci di questo fondamentale imprinting, di questa primordiale esigenza creativa data dal ri-racconto di una storia attraverso una sua appropriazione casuale od indebita - che sia da una telecamera ritrovata nel bosco di fianco a un cadavere o dallo schermo di un PC -, dovremmo recuperare uno dei primi esperimenti di film su webcam, ossia The Collingswood Stories e The Den.
E solo una volta giunti fino a questo punto, ci imbatteremo e ci imbattiamo immancabilmente nella figura del regista e produttore Timur Bekmambetov. Mirato e allievo di Roger Corman - insuperabile scopritore di talenti cinematografici e mastro della bottega di genere del cinema americano dagli anni ‘50 ad oggi -, questi è prima un proficuo ed originale regista di spot pubblicitari, convertitosi alla regia cinematografica con esiti fortunati ed impeccabilmente cormaniani come I guardiani della notte, Wanted e La leggenda del cacciatore di vampiri.
Nel panorama hollywoodiano, Bekmambetov è però conosciuto soprattutto per esser stato tra gli inventori del desktop movie, che egli stesso definisce “screen life”, e produttore di film di derivazione Blumhouse, a basso budget, che fanno fruttare in incassi lauti e soddisfacenti, i soggetti, le intuizioni di partenza, gli incipit, sperimentando proprio con le possibilità di plasmare il racconto cinematografico attraverso le specificità e le potenzialità drammaturgiche dei dispositivi informatici e digitali, e seguendo quasi sempre la via del thriller e dell’horror. Pellicole come i due Unfriended, (pur non essendo strettamente un desktop movie, mantiene pur sempre quei motivi e quelle esigenze lì) Hardcore!, il più "ricercato" Profile, per poi giungere infine a Searching di Aneesh Chaganty.
Tutto questo per tracciare le giuste parentele: infatti, come viene “svelato” in tralice, tra un passaggio di finestra e l’altro, Missing è nientemeno che il seguito spirituale, il sequel stand-alone, oltre che il ribaltamento narrativo di quest'ultimo film (in quel caso scompariva la figlia e il genitore si metteva sulle sue tracce, qui è sostanzialmente il contrario); la terza iterazione di quello che è stato confermato essere un nuovo (l’ennesimo, ma pure il più pigro e popolarmente ignorato) universo condiviso, insieme appunto alla pellicola di Chaganty e, in maniera del tutto fortuita e sfilacciata, a Run, quell’horror con Sarah Paulson madre apprensiva e misteriosa, il quale tuttavia non condivide di fatto quasi nulla con gli altri due inserti.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa, è bene specificare allora la continuità realizzativa che Missing persegue rispetto a quelli che erano i pregi e difetti di Searching, i cui montatori, Nick Johnson e Will Merrick, vengono qui mutuati e promossi a funzione e ruolo di registi e sceneggiatori, su soggetto del padre-Chaganty. E, considerando la loro relativa e presumibile inesperienza ed esordio in tali vesti, c’è da dire che i risultati potevano essere a dir poco disastrosi.
Al contrario, il loro lavoro, proprio all’insegna di questa continuità, può intrattenere, stimolare e divertire uno spettatore più famelico e svezzato per il modo creativo, ingegnoso e dilettevole con cui giustificano la propria visione e mantengono la fedeltà all’ontologia, all’essenza, agli assiomi del filone “screen life”, riuscendo ciò nondimeno e nonostante alcuni compromessi in fatto di verosimiglianza e semplicismo di modi, a mantenersi saldi e in equilibrio sul filo della sospensione dell’incredulità; per le sottigliezze di scrittura visiva che vengono inserite qua e là in un’ora e cinquanta fittissime di avvenimenti e stimoli a schermo (in tutti i sensi), come, ad esempio, lo zoom di una foto quale espressione sintetica di un sentimento e di una condizione familiare ed esistenziale; o ancora per la versatilità metacinematografica del vedere e dell’essere visti con cui un certo Hitchcock (e non solo) sarebbe di certo andato a nozze; ed infine, in particolare, per il rapporto critico ed ironico che instaura con la fictionalizzazione e la lettura che noi o altri facciamo (e siamo spinti a fare) costantemente della realtà, della nostra o della vita altrui, secondo codici e strutture semantiche che incorporiamo ed introiettiamo grazie al linguaggio e alla produzione dell’audiovisivo in senso lato, quest’ultimo onnivoro di storie per i propri feed e cataloghi di cui si appropria in maniera spontanea e non.
Insomma, interpretazioni permettendo (espressivamente ingabbiate in tutto e per tutto dalla forma) Missing può piacere ad un occhio più esperto in qualità di espressione più vicina, pertinente, inserita ed inevitabilmente assoggettata della e alla contemporaneità, al di là del semplice elemento dello smartphone, della tecnologia e di tutto ciò da noi scritto in apertura, anche per la sua contingenza produttiva, quella del sequel antologico, più consona al panorama seriale e televisivo, che non a quello cinematografico.
Un pubblico, viceversa, più epidermico può rimanere affascinato dal dedalo di vicoli ciechi, dal labirinto di possibilità, di eventuali itinerari investigativi, di alchimie deduttive, di collegamenti logici (quasi come se i nostri dispositivi personali contenessero al loro interno, in contemporanea, il nostro passato, presente e futuro); dal gioco di scatole cinesi che informano Johnson e Merrick, o più banalmente sulla scoperta della verità. Non tanto quella relativa al destino e alla realtà dei fatti in merito alla scomparsa del titolo, che, pur assestando un paio di twist imprevedibili e ben congegnati, si chiude in maniera poco brillante ed entusiasmante; quanto piuttosto quella sulle vere identità di alcune delle sue pedine, il cui essere proteiforme e la cui inafferrabilità - come già inquietantemente e bizzarramente raccontato da programmi come Catfish o docuserie come Giù le mani dai gatti - non è che l’inevitabile conseguenza proprio di quella nostra persistenza e assuefazione digitale.
Per questo, Missing è anche e soprattutto l’aggiornamento software di un sottobosco thriller e di un cinema che porta ai massimi estremi la digitalizzazione dell’audiovisivo.
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