TITOLO ORIGINALE: Women Talking
USCITA ITALIA: 8 marzo 2023
USCITA USA: 23 dicembre 2022
REGIA: Sarah Polley
SCENEGGIATURA: Sarah Polley
GENERE: drammatico
DURATA: 104 min
Candidato a due premi Oscar per il miglior film e la migliore sceneggiatura non originale
Candidato a due premi Oscar (come migliore sceneggiatura non originale e miglior film), Women Talking è il terzo film di finzione scritto e diretto dall'attrice Sarah Polley, tratto dall'omonimo romanzo di Miriam Toews, a sua volta liberamente ispirato ai fatti avvenuti nella colonia Manitoba in Bolivia nel 2011. Il risultato è un film di fantasmi, dove il più potente ed invisibile è quello del pensiero, della parola, della fede e delle convinzioni. Tuttavia, il copione presta il fianco ad innumerevoli motivi di biasimo, tra cui il manicheismo delle posizioni, l'assenza di un controcampo opportunamente negato, e il mancato approfondimento dei propri idoli. A questo si unisce infine una regia che si limita alla mera funzionalità e non persegue, anzi depotenzia ed appesantisce le forti intuizioni di base (la fotografia), rendendo quello che avrebbe dovuto essere un dialogo appassionante e complesso, un mero e semplicistico chiacchiericcio.
È un film di fantasmi, Women Talking, il terzo di finzione scritto e diretto dall’attrice Sarah Polley, candidato a due premi Oscar (miglior sceneggiatura non originale e miglior film).
I fantasmi di cui parlano gli uomini di una colonia religiosa, quando le loro donne - mogli, madri, figlie - si svegliano ogni mattina con le ferite e i segni di quello che è impossibile identificare se non nei termini di uno stupro, di una violenza sessuale e non solo. Il fantasma di quegli stessi uomini, (quasi) del tutto fuori campo, volutamente (o convenientemente) tenuti lontano dall’inquadratura, dall’obiettivo, dalle attenzioni della macchina da presa e del racconto di Polley, nel momento in cui queste donne si troveranno di fronte ad un bivio, saranno costrette a fare una scelta da cui dipenderà il futuro, loro e dei propri figli. Quando si dovranno riunire e parlare, mettendo in dubbio tutto ciò in cui hanno creduto ciecamente e fedelmente, ciò che sono, sono state e potrebbero essere, e passando al vaglio tutta la propria esistenza, per infine decidere sul da farsi. O ancora, l'apparenza e l'atmosfera fantasmatica suscitata dalla decisa e netta fotografia di Luc Montpellier.
Ma anche il fantasma di un certo modo di intendere la vita, il rapporto tra generi, i ruoli di uomo e donna, ergo un maschilismo ed un fallocentrismo talmente radicati in profondità nella coscienza e pure nell’inconscio di bambini, adolescenti, giovani uomini e uomini adulti, ché combatterli o addirittura eliminarli del tutto è davvero un’impresa titanica, praticamente impossibile.
Quegli stessi ideali, pensieri, credenze e convinzioni che portano poi, inevitabilmente, ad episodi come quello qui raccontato, che è adattato dall’omonimo romanzo di Miriam Toews, a sua volta liberamente ispirato ad un caso di cronaca avvenuto in una colonia religiosa della Bolivia nel 2011.
Il riferimento, come forse alcuni di voi già sapranno, è agli stupri fantasma (di nuovo) che hanno avuto luogo nella colonia Manitoba, le cui donne sono state per tanto tempo drogate e narcotizzate quotidianamente dagli uomini della comunità, che, durante la notte, le violentavano a piacimento, in innumerevoli modi, tutti categoricamente orripilanti e spregevoli, con gesti efferati ed indicibili che raccontano tutta la crudezza di una storia che riconferma come, a volte, la realtà riesca a superare le trame e l’immaginazione anche del più bravo e celebre autore di storie o film dell’orrore.
E Women Talking è un horror a tutti gli effetti. O meglio, una pellicola che adotta un’estetica visiva e fotografica più vicina e pertinente ad una folk horror tale, che non al testo che si propone di essere e che, in fin dei conti, (ahinoi) è, e che incorpora, per l’appunto, una delle presenze per antonomasia della mitologia e del ricettario horror: quel fantasma che si manifesta in un’altra veste ancora nel film di Sarah Polley, ché sono la parola e il suo potere evocativo.
Un po’ come anticipato poc’anzi, non sono forse i pensieri e le idee i fantasmi più comuni ed insieme più ignoti di tutti? Quelli che, appena pronunciati, riescono ad insediarsi e a crescere dentro di noi, come può essere il caso di quel maschilismo di cui sopra, la parola di Dio, che diventa un elemento fondamentale nella decisione che le donne della colonia prenderanno dopo tanto parlare; così come i tentativi di contestazione alla "fede che diventa regola" che, anni prima, portò avanti proprio una di quelle colone, e che ora, nel momento di maggior necessità, rivive come un fantasma in e tra di loro, nei loro discorsi, nelle loro incertezze, nei loro desideri, nel loro diritto di scegliere, come recita il sottotitolo che si è scelto per l’edizione italiana del film.
Perché sì, in questo “atto di immaginazione femminile” - questa, la scritta che campeggia in una delle primissime sequenze - che si rifà neanche troppo velatamente a La parola ai giurati di Sidney Lumet, tutto è lecito ed ammesso, ad eccezione della possibilità di non poter scegliere. Un motivo, quest’ultimo, che Polley porta alle estreme conseguenze, facendo di Women Talking un grido di cui si comprendono ed immaginano, sì, tutta la gravità, il dolore, l’urgenza, la visceralità, ma che confonde la complessità del dialogo con quella, linguistica e ben poco realistica, dei dialoghi. Più semplicemente, il cosa col come.
La pellicola presta così il fianco a ben più di una ragione di biasimo, come, ad esempio, la faziosità, il manicheismo e il qualunquismo delle posizioni e del discorso politico espresso, dunque l’assenza di un controcampo, anonimo ed invisibile, che porta il tutto su una scala più ampia e collettiva, ma rende allo stesso tempo convenienti, facili, semplicistici e generalizzanti le illazioni e il giudizio mossi contro tutto il genere maschile; e la riduzione al silenzio di un eventuale contraddittorio o di una voce altra rispetto al “nuovo potere imposto” - l’unico accettato e deliberato dall’istanza narrante -, impersonata da una Frances McDormand che co-produce il film (insieme alla Plan B di Brad Pitt che riconferma il suo interesse per un certo tipo di cinema autoriale e di posizione), ma è trattata al pari di un cammeo.
In tal senso, non soddisfano più di tanto nemmeno il resto del blasonato e stellare cast femminile (Rooney Mara, Claire Foy, Jessie Buckley, Judith Ivey), impegnato nel restituire al meglio l’intensità e l’intenzione del copione, quando non minato negli esiti da una scrittura che non valorizza od approfondisce adeguatamente nessuna di loro e da un’istanza narrante che non le offre alcuna possibilità di spiccare ed esprimersi realmente e fino in fondo.
Paradossalmente, la prova migliore e il personaggio più tridimensionale dell'opera collimano con l’unico uomo (anch’esso opportunamente) ammesso e tollerato nel mondo disposto ed ordinato da Polley, ossia il maestro della colonia, Auguste, portato su schermo da un Ben Whishaw altalenante e fin troppo frettoloso in alcune delle reazioni più forti, tanto da diventare quasi ridicolo.
Laddove allora, sul piano del tema e del programma dianoetico, il concetto di scelta porta Women Talking a questo paradosso del manifesto, dello strillone; viceversa, in termini stilistici, visivi ed attuativi, Sarah Polley sceglie di non scegliere. In altre parole, non persegue la strada estetica e l’interessante dialogo con l’horror (che si espleta fugacemente in qualche frammento davvero crudo, specie a livello grafico), bensì si limita ad una regia dalle derive documentaristiche, funzionale ad una sceneggiatura verbosa, artificiosa e fin troppo “scritta”, priva insomma di quell’inventiva ed immaginazione di cui si investe sin dalle prime battute, e preda di un’essenzialità che si converte presto in trascuratezza e sciatteria.
Una regia, che finisce per appesantire e non sviluppare quella forte decisione fotografica di Luc Montpellier, convertendola solo nell’ultima nota di rigidità di un film che, da dibattito e dialogo ragionevole, attuale ed idealizzato, diventa mero chiacchiericcio.
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