TITOLO ORIGINALE: Vicini di casa
USCITA ITALIA: 1° dicembre 2022
REGIA: Paolo Costella
SCENEGGIATURA: Giacomo Ciarrapico, Paolo Costella
GENERE: commedia
DURATA: 83 min
Remake dello spagnolo Sentimental, Vicini di casa di Paolo Costella racconta la storia di una coppia di crisi che incontra una neocoppia invece sessualmente attiv(issim)a e procace, la quale fa alla prima una "proposta indecente". Da qui, teoricamente, nascerebbe una commedia che indaga il piacere, la fluidità dei ruoli, le nevrosi dell'istituzione borghese, i processi psicologici, l’ampio concetto di scambio, una figura femminile che prende corpo e trova forme nuove e proprie, che ciononostante è pronta ad adagiarsi nella sicurezza e nella comodità della convenzione, della tradizione non appena giunge ad un vero punto di slancio. Vicini di casa è anche e soprattutto il confronto tra due tipi di commedia, interpretati benissimo da un quartetto di attori meravigliosi, in cui però a prevalere è quella che scombina ed immediatamente rassetta, quella deve necessariamente adagiarsi e finire su note indolenti e melense.
“Stanno poco”. È quello che dice Federica al marito Giulio per rassicurarlo, subito dopo avergli comunicato che quella sera ha deciso (anche se aveva detto che “aveva intenzione”) di invitare la coppia di neoarrivati vicini che abitano nel piano subito sopra al loro. La stessa di cui, quasi tutte le notti, sentono gli amplessi, gli orgasmi, le grida, le incitazioni, addirittura i miagolii.
Per Federica, questa cena, oltre che un modo per sentirsi apprezzata da altri, rappresenta anche una rottura dell’ammorbante monotonia che, di colpo, è calata sulla loro vita quotidiana, tutt’al più priva di sesso; un modo per saziare la propria curiosità rispetto ai quei due, la cui vita sembra e si sente così intensa, viva, completamente opposta alla sua.
Per il sarcastico, torvo, passivo-aggressivo Giulio, che, al contrario, del mondo, non è più curioso da tantissimo tempo, più o meno da quando quest'ultimo ha tradito i suoi sogni di musicista jazz, relegandolo al solo ruolo di insoddisfatto, supponente e tronfio insegnante di conservatorio; quella cena - che, per ciò che vale, potrebbe pure essere, anzi spera sia un breve colloquio - costituisce un’ottima occasione per mettere un punto a quella presenza invisibile, eppure rumorosissima che ne corona le giornate.
Come stanno per scoprire, però, purtroppo o per fortuna Laura e Salvo - questi, i nomi della coppia di vicini - non staranno poco, anzi, con una “proposta indecente”, lasceranno un segno profondo del loro passaggio negli anfitrioni, ne porteranno a galla segreti e non detti, ne contesteranno, indagheranno e metteranno in seria discussione la risentita e carica esistenza matrimoniale.
Quello che, già a partire dalla sceneggiatura, Vicini di casa di Paolo Costella azzecca e fa molto bene è la descrizione, il tratteggio degli “invasi”, senza per questo mettere in cattiva luce, mettere in ridicolo o rendere scandalosi gli “invasati”. Un elemento di sorprendente novità all’interno di un cinema italiano (generalizzando un po’) ancora titubante, incerto, pudico, per certi versi storicamente retrocesso, quando si ritrova a scandagliare la sfera erotica e sessuale, quest'ultima spesso ancora fallocentrica, rigidamente monogama, binaria ed ovviamente etero. Un elemento di freschezza, questo, di cui però bisogna riconoscere la paternità prima alla piéce e poi al film spagnolo da cui quello di Costella è tratto. Dopo Domani è un altro giorno di Simone Spada, il cinema nostrano, nelle veci specifiche di Giacomo Ciarrapico (tra gli autori di Boris), torna invero a tradurre e trasportare in territorio italico il cinema decostruttivo e dialetticamente seducente di Cesc Gay.
Ciò detto, il discorso e l'allegoria alla base di Vicini di casa è subito evidente, così come chiarissimo è il fatto che, nel guardare le vite degli altri e nel lasciare, volontariamente od involontariamente che gli altri - in questo caso, chi sta sopra - sbircino o, addirittura, si intromettano e cambino il corso della nostra vita, si sostanzi qualcosa di più, un significato più forte.
Non è pertanto il voyeurismo e le sue conseguenze, né il thrilling di una proverbiale finestra sul cortile, quanto piuttosto l’incontro tra due tipi di commedia: una più sguaiata, miserabile, tradizionale e prevedibile, il tipico dramedy borghese su cui l’ultimo cinema italiano si è fossilizzato fino a finirne anestetizzato (rappresentato dalla coppia Federica-Giulio), ed una, viceversa, più sottile, imprevedibile, aperta al cambiamento, ambigua, à la page, pruriginosa, tagliente, provocante (quella portata in scena da Laura e Salvo); e l’influsso, la messa in crisi, il moto di riscatto e revisione che quest’ultima apporta, suscita provoca nella prima.
Peccato soltanto che, ripensando al film nella sua interezza, il copione co-firmato da Costella e dal succitato Ciarrapico non imbracci totalmente questo impulso che scrive, suggerisce e mette in piedi così bene, ma anzi sembri indirettamente riconoscere l’impossibilità di sfruttare e replicare a pieno il sapore, la bontà, il prestigio, il valore dell’originale spagnolo - un po’ come il prosciutto di patanegra che, ad un certo punto, si decide di togliere di torno, di sgombrare dal centro della tavola.
Inoltre, seppur interpretata meravigliosamente da una Valentina Lodovini rigogliosa ed ammaliante, quasi giunonica, e da un Vinicio Marchioni aitante, guizzante, brillante, dolce e adorabile, è la commedia convenzionale, rassicurante, composta, costumata e casta, quella che scombina ed immediatamente rassetta, quella deve necessariamente adagiarsi e finire su note indolenti e melense, a prevalere, a sedurre l'occhio e l'attenzione dell'istanza narrante, a divertire di più, a rivelarsi la dimensione su cui si (deve) misura(re) e modella(re) il tutto.
Durante la visione, avrete infatti la sensazione che tutto il fortissimo impianto comico della pellicola, oltre ad essere privo di un vero e proprio slancio, di un climax e di una tensione uniformemente crescente (a differenza di Perfetti sconosciuti, altro script di Costella), spesso incastonato nella ripetizione ossessiva delle medesime dinamiche o nell’approfondimento esagerato degli stessi pertugi tematici, altre volte sciupato da un montaggio troppo frenetico, indeciso, sbrigativo; prenda il via e si concentri soprattutto sulle reazioni che il Giulio di un Claudio Bisio impeccabilmente a disagio e con una forte vena autoironica ha di fronte a quello che si sta svolgendo di fronte agli occhi, in casa sua, con la connivenza della moglie.
Ecco allora che Vicini di casa diventa il palcoscenico ideale (cannibalizzato fin troppo rapidamente e facilmente) per rimarcare i motivi per cui l’attore piemontese si è imposto come maschera ed icona della commedia nazionalpopolare (al cinema e in TV) degli ultimi trenta, quarant’anni, piuttosto che un film capace di parlare davvero di piacere, della fluidità dei ruoli, delle nevrosi, dei processi psicologici, dell’ampio concetto di scambio, di una figura femminile che si riconosce, si ristruttura, si riflette, tenta di svincolarsi e deviare dal cliché, prendere corpo e forme nuove e proprie, più sofisticate ed insieme più autentiche, per quanto ci provi (ahinoi, invano) una generosa ed incantevole Vittoria Puccini.
L’afrodisiaco, l’intrigante, ma pure l’arguto dimenticatevelo, forse quel “letto rotondo” su cui si consuma questo ménage a quattro, questo Carnage con contraccettivo, non era ancora pronto a sorreggere qualcosa del genere, tant’è che gli si preferisce la tavola.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.