TITOLO ORIGINALE: Good Luck to You, Leo Grande
USCITA ITALIA: 10 novembre 2022
USCITA USA: 17 giugno 2022
REGIA: Sophie Hyde
SCENEGGIATURA: Katy Brand
GENERE: commedia, drammatico
DURATA: 97 min
Presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2022
Una notte di fuoco tra un'attempata insegnante di religione ed un gigolò provocante diventa una seduta psichiatrica, un fluviale flusso di coscienza a due, un confronto generazionale, sociale, esistenziale, un botta e risposta preciso e accurato nei tempi, nelle pause e nei silenzi. Emma Thompson e Daryl McCormack sono le voci di questo duetto sulla riscoperta di sé attraverso e sulla pelle dell’altro, sulla caduta delle rispettive maschere, sulla rivelazione delle reciproche verità, su un contatto diretto con l’intimità più sentita, vera, autentica, senza colpe o preconcetti. Una commedia strabordante di parole, eppure capace di affidare alla potenza e alla significatività dell'immagine il messaggio più bello ed importante che ha da offrire.
È un testo forse unico nel suo genere, Il piacere è tutto mio. Non tanto per il suo incipit narrativo (che è sostanzialmente un ribaltamento dei ruoli di quello di Pretty Woman), per quello che dice, per i concetti, i pensieri e le verità contenute nei suoi dialoghi, né tantomeno per la singolarità delle conclusioni a cui arriva. Ma piuttosto per come, tutte queste cose, le sa mettere in scena, dando vita ad un vero spettacolo della parola; per la grande classe e l’invidiabile eleganza con cui riesce a trattare temi senz’altro attuali, ma altrettanto spinosi, temi che, se anche solo minimamente sottovalutati, avrebbero potuto trasformarsi in un’affilata arma a doppio taglio; e, ancora, per la delicatezza e la sensibilità con cui riesce sia a non incappare nelle trappole del moralismo, sia ad alleggerire suddette questioni senza però automaticamente essere passibile di superficialità o sensazionalismo.
Un risultato, quest’ultimo, a cui Il piacere è tutto mio ha potuto ambire e che è infine riuscito ad abbracciare, innanzitutto, grazie ad un duo di interpreti capace - tanto singolarmente, quanto in un lavoro di concerto, rifrazione, complicità, dotato di una chimica meravigliosa - di reggere il testo e le sue intenzioni sulle loro spalle. Stiamo parlando, in primis, di una Emma Thompson dalla recitazione sempre raffinatissima, sofisticata e coinvolgente, sulla cui immagine attoriale la regista Sophie Hyde opera un evidente rovesciamento.
Lei, conosciuta principalmente per i suoi personaggi britannici nel senso più stretto del termine, per personaggi che si confanno al suo aspetto così signorile, dunque estremamente rigorosi, meticolosi, algidi, garbati, d’incrollabili valori e inscalfibile moralità; interpreta qui una signora di mezza età, di nome Susan Robinson, che, oltre questa sua esteriorità ed apparenza invulnerabile, contegnosa, autoritaria e risoluta, nasconde, viceversa, una fragilità, un’insicurezza, un irrisolto decretati e nutriti negli anni da un’esistenza ripetitiva, insoddisfacente, programmata fino all’ultimo dettaglio; dalla figura di un neodefunto marito dietro la cui ombra è dovuta celarsi perché così dettava il regolamento sociale del suo tempo; da una carriera professionale di insegnante in cui non ha mai potuto esprimere sé stessa, dovendo sempre attenersi ad una scaletta e ad uno scopo ben precisi; ed infine da una carriera invece materna in cui, nonostante i buoni risultati del figlio maggiore, crede di aver fallito in pieno.
Un giorno, forse colta da “un attimo di follia” (durato, in realtà, “settimane, mesi, forse anni”), Susan, col nome fittizio di Nancy Stokes, decide di rivolgersi ad un’agenzia di escort e prenotare una sera con tal Leo Grande, capace, col suo corpo atletico, quasi dionisiaco, di risvegliare in lei “la sensazione di avere sedici anni”; quel fuoco spentosi lentamente col passare degli anni ed una vita sentimentale di fatto priva di alcun tipo di esperienze sessuale o di un reale appagamento.
Dal canto suo, anche Leo, portato in scena da un favoloso e provocante Daryl McCormack (un nuovo, interessantissimo volto che speriamo di vedere sempre più spesso), prevedibilmente, non si chiama così e nasconde egli stesso un vissuto infelice ed avvilente, dettato da norme religiose e convenzioni sociali anacronistiche - che egli, al contrario di Susan, che ne è diventata parte attiva, tenta di scardinare con questo suo lavoro - e da un rapporto non proprio brillante con la madre.
In tal senso, quella che avrebbe dovuto essere una semplice e banale prestazione sessuale svelta e disinteressata si converte in una vera e propria seduta psichiatrica, un auto mutuo aiuto, durante cui i due si denuderanno più in termini figurativi, che letterali.
Con un atteggiamento all’inizio classista e un po' razzista, Susan - meno brava a mantenere la nuova maschera di sé che fornire agli altri e il suo caratteristico aplomb, quindi palesemente imbarazzata, impacciata, incerta, esitante di fronte alla propria "follia", a disagio per la perfezione estetica del gigolò - cercherà conforto nel vissuto di Leo, per lei suppostamente difficile e travagliato, interessandosene sempre più.
Quest’ultimo, invece - ormai abituatosi a fare della sua vita una recita costante ed irriducibile per fornire (su commissione) piacere alla sua eterogenea pletora di clienti e, così facendo, mettendosi in secondo piano, facendosi mero oggetto, semplice scopo, utile attrezzo erogeno, banale dildo umano -, tenterà, in un primo momento, di rassicurare e far sentire a suo agio Nancy, offrendole sostanzialmente ciò per cui lo ha pagato, ma in seguito, punto e mosso sia dalla storia personale della donna, sia dalla sua insistenza (talora traducibile in invadenza), dal suo reale interessamento, dalla sua premura, prenderà una decisione che difficilmente avrebbe preso altrimenti…
Sono allora la sceneggiatura intelligentissima, brillante, dalla sintesi lucidissima, dal passo prodigioso e dalla verve irripetibile, scritta da Katy Brand, ed una coppia di interpreti in stato di grazia, insostituibili, miracolosamente assemblati, i principali motivi di successo de Il piacere è tutto mio, capace di aderire in pieno alle strutture tipiche dell’indie [è stato presentato al Sundance Film Festival, ndr], ma al contempo di farsi (e darsi) al grande pubblico con grande appeal commerciale.
Eppure, è la messa in scena ritmata da Sophie Hyde l’anello mancante, l’ottimo intermediario di una commedia divertente, penetrante e piacevole (scusate il gioco di parole) come non se ne vedevano da anni sul grande schermo. E proprio di ritmo bisogna parlare in riferimento al lavoro registico, dal momento che ciò a cui assistiamo, per novanta, compattissimi e compiutissimi, minuti, è una danza contagiosa e avvincente di cui non si ha mai abbastanza, un fluviale flusso di coscienza a due, un duetto che, per precisione ed accuratezza nei tempi (comici), nelle pause e nei silenzi e per la coscienza che ha dell’esperienza spettatoriale, sembra quasi l’opera programmatica della stessa, ordinatissima Susan.
Un dramma da camera (da letto) che, almeno potenzialmente, sarebbe potuto apparire fin troppo teatrale, irrigidito, statico, in tutto e per tutto asservito alla parola, insomma, poco cinematografico, ma che invece è pronto a smentire ogni tipo di pregiudizio in merito, affidando alla potenza e alla significatività immediata e limpida delle immagini il messaggio più bello ed importante che ha da offrire.
Infatti, dopo quattro sedute di riscoperta di sé attraverso e sulla pelle dell’altro, di caduta delle rispettive maschere (di cui vediamo traccia fin dal primissimo segmento con montaggio alternato), di rivelazione delle reciproche verità, di contatto diretto con l’intimità più sentita, vera, autentica, senza colpe o preconcetti; Brand e Hyde lasciano spazio anche ad una carnalità e sessualità ridefinite, arricchite, più profonde e sostanziose e, insieme, ad uno dei rapporti sessuali più teneri, naturali e sinceri visti al cinema negli ultimi anni.
Rapporto sessuale, che è poi il passaggio obbligato verso una nuova dimensione di sé, un nuovo sentire, un vivere finalmente libero, che Il piacere è tutto mio sintetizza in un nudo integrale coraggiosissimo e meraviglioso di Emma Thompson e in un sorriso allo specchio che è un raddoppio perfetto e millimetrico col pubblico e la sua condizione emotiva. Un’immagine, quest'ultima, capace da sola di svincolare la pellicola da qualsiasi tipo di guilty pleasure e lanciarla verso l’eccellenza e l’esemplarità della commedia contemporanea, che ha solo bisogno di prodotti e testi del genere.
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