TITOLO ORIGINALE: Il signore delle formiche
USCITA ITALIA: 8 settembre 2022
REGIA: Gianni Amelio
SCENEGGIATURA: Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava
GENERE: drammatico, storico
In concorso alla 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Con Il signore delle formiche, Gianni Amelio torna a raccontare una delle tante storie d'Italia e rifà capolino in concorso al festival del cinema di Venezia. Al centro, vi è il dimenticato caso di accusa (omofoba) per plagio ai danni del professore e filosofo Aldo Braibanti, interpretato da un Luigi Lo Cascio sommariamente convincente. La parte da leoni è però riservata ad Elio Germano e alla rivelazione Leonardo Maltese, impegnati a salvaguardare e donare un pizzico d'emozione ad una pellicola che, nonostante la militanza e l'impegno, sembra non provare e non dimostra alcun impeto, trasporto, vera rabbia ed un reale coinvolgimento in ciò che sta raccontando. Non necessariamente un brutto film, né tantomeno una pellicola inguardabile, quanto piuttosto ingenuamente innocua, blanda, antiquata.
“Nel nostro mestiere, il distacco fa bene” si dice ad un certo punto ne Il signore delle formiche - il nuovo film di un Gianni Amelio che torna in concorso a Venezia dopo avervi vinto il Leone d’oro nel 1998 per Così ridevano. Lo dice il caporedattore del quotidiano comunista L’Unità ad uno dei suoi cronisti, per lui troppo immerso ed immedesimato nella vicenda che sta seguendo, meglio conosciuta come il caso Braibanti. Con queste parole, sembra quasi che Amelio voglia dirci qualcosa, voglia rivelarci quale sia stato il suo approccio nel trattare una delle storie più indegne, infami e riprovevoli della recente e passata storia italiana.
Ciò nonostante, se così fosse (e probabilmente non lo è), questa pseudo-dichiarazione d’intenti sarebbe estremamente contraddittoria. Da un lato, infatti, cozzerebbe con la militanza, le denunce e i parallelismi ostili e le accuse giuste e feroci che la sceneggiatura - scritta dallo stesso cineasta insieme a Edoardo Petti e Federico Fava - muove nei confronti dell’Italia di ieri, la quale, per certi versi, non è poi così diversa da quella di oggi. Dall’altro, invece, si mostrerebbe dissonante e non veritiera rispetto ad un impianto filmico e ad una macchina cinematografica che sembra non provare e anzi non dimostra alcun impeto, trasporto, vera rabbia ed un reale coinvolgimento in ciò che sta raccontando. In ogni caso - e a differenza del recente e lucidissimo Hammamet -, Il signore delle formiche non sembra avere ben chiaro ciò che vuole dire, ma soprattutto come e perché vorrebbe dirlo, al di là di una ragione abbastanza semplicistica e banale di mero confronto con l’attualità.
Un Amelio indolente, stanco e abbastanza apatico guida così un collettivo di attori interpretativamente altalenanti - infatti, se Elio Germano e la rivelazione Leonardo Maltese si rivelano più che convincenti, la prova di Luigi Lo Cascio non risulta sempre credibilissima, per non parlare poi dell’amatorialità disarmante di comprimari e comparse - nella trasposizione, fotograficamente didascalica e ritmicamente fiacca, di un copione che, al di là di qualche metafora interessante, ma estremamente fine a sé stessa, rivela ben presto la propria modestia, fallendo nella resa dell'unico elemento necessario alla buona riuscita emotiva ed affabulatoria del racconto: la rappresentazione dell’Italia.
Avete letto bene, in un film che vuole descrivere e mettere a nudo il perbenismo, l’ipocrisia, i fantasmi, il moralismo e il bigottismo di un paese in pieno boom economico, proiettato invano verso il superamento degli orrori del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, eppure ancora retrivo, campanilistico, maschilista e superstizioso, l’aspetto che si percepisce e fuoriesce meno durante la visione è proprio l’Italia e la sua popolazione, che reagisce, risponde, commenta, cambia, si indigna, si arrabbia di fronte alla giustizia o all’ingiustizia del processo (omofobo) per plagio ai danni del professore, scrittore, filosofo e drammaturgo Aldo Braibanti.
Anche questo decide, in peggio, le sorti di un film sciattissimo, fiacco fino all’inverosimile, orchestrato da una scrittura artificiosa, tipica del cinema italiano più vecchio e borioso, e da una messa in scena abbastanza televisiva. Non necessariamente un brutto prodotto, né tantomeno una pellicola inguardabile, quanto piuttosto ingenuamente innocua, blanda, antiquata. Un'opera imbalsamata ed inutilmente militante, assurdamente convinta di una denuncia che probabilmente verrà dimenticata tra un paio di mesi; più simile ad una commissione da servizio pubblico, che ad un testo con propri criteri e proprie emozioni.
Forse è proprio giunta l’ora che gli allievi "uccidano" i maestri, per citare lo stesso Braibanti. Ma la domanda è e sempre quella rimane: dove sono, questi allievi?
Clicca qui per tutte le recensioni di Venezia 79
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.