TITOLO ORIGINALE: Crimes of the Future
USCITA ITALIA: 24 agosto 2022
USCITA FRANCIA: 25 maggio 2022
REGIA: David Cronenberg
SCENEGGIATURA: David Cronenberg
GENERE: fantascienza, horror
A distanza di otto anni da Maps to the Stars, il maestro e pioniere del body horror David Cronenberg torna ad illuminare il grande schermo con uno degli esemplari più lucidi del proprio cinema epidemico. Crimes of the Future è un mélange concettualmente perspicace ed interessante del canone cronenberghiano, che, a dispetto del titolo, parla di oggi, dei crimini che commettiamo nei confronti delle nuove generazioni, nel tentativo di controllare, regolare, comprendere, sfruttare, significare un mondo e, dunque, un corpo che si evolve, si trasforma, si reinventa più velocemente di quanto vorremmo e a prescindere dalle nostre credenze. Un processo inesorabile, inafferrabile, insospettabile, da alcuni considerato pericoloso e sovversivo, che non comprendiamo, o meglio, che non desideriamo comprendere, ma che noi stessi abbiamo favorito e, per certi versi, creato. Crimes of the Future è La fiera delle illusioni di David Cronenberg. Un'esposizione spoglia e dismessa di residui spettrali del passato, di ritagli sintetici di una poetica ormai arrivata all’atto conclusivo, di un'umanità esangue che corre verso l'inevitabile e finale futuro. Sperando in "un'altra epifania".
Quando si parla di David Cronenberg e del suo cinema epidemico, è matematicamente impossibile non incappare in banalità, concetti ripetuti scolasticamente, cose già sentite in ogni dove o in aggettivi che falliscono nel descrivere, chiarire, classificare, catalogare l’opera di un maestro indiscusso che ha la capacità di essere sempre sé stesso, ma al contempo di essere sempre qualcun altro. Di trasformare la propria filmografia in qualcos’altro, sempre riconoscibile, eppure sempre nuovo.
In tal senso, Crimes of the Future - il suo ritorno sulle scene a distanza di otto anni dal criticato Maps to the Stars - altro non è che la riconferma di questa nostra breve prefazione, oltre che l’esplicitazione più flagrante e palpabile della profonda interconnessione che vige tra ogni singolo innesto della propria filmografia. Una connessione che ha sempre legato i film l’un l’altro, riformulandoli e rileggendoli, mutandoli ed alterandoli, rendendoli quasi parte di un vero e proprio universo condiviso.
Più di tutte le altre quindi, Crimes of the Future è una pellicola che parla attraverso le parole, i design, l’oggettistica (leggasi eXistenZ), gli intrecci, le soluzioni, i riferimenti di tutto il cinema cronenberghiano, addirittura appropriandosi del titolo di una delle proprie antenate, di una della "vecchia nuova carne”, se così vogliamo chiamarle.
Tant’è che, in maniera del tutto profanatrice, potremmo pensare, vedere e ascoltare questo ventiduesimo inserto come una specie di greatest hits dell'opera di David Cronenberg. Un greatest hits che, ciononostante, è tutto fuorché banale, inferiore, ridondante od intorpidito.
Anzi, proprio per questa abilità del suo regista di entrare ed uscire da un corpo-film con estrema scioltezza, mantenendo sempre e comunque una propria identità precisa ed unica, Crimes of the Future è probabilmente uno degli esemplari più lucidi, nonché uno dei migliori del Cronenberg del nuovo millennio, quello allontanatosi dal germinale e prospero body horror; dal corpo e dalla carne come soggetti, ma non come simulacri, prigioni, organizzazioni, idoli, rappresentazioni, rivelazioni di qualcosa che ha sempre a che vedere con la sacra, interscambiabile e sinonimica dualità sesso-violenza, camuffata a sua volta dietro l’apparenza di una diversa espressione estetica, di un diverso territorio narrativo (il psycho-thriller, piuttosto che il dramma in costume o il gangster movie).
Ci troviamo pertanto di fronte ad un mélange concettualmente perspicace ed interessante che definiremmo di fatto impeccabile, se solo non fosse minato, alla base, da una storia produttiva travagliata [il film è stato infatti rifiutato da Netflix, da Amazon e da innumerevoli altri produttore, il che ha portato Cronenberg e la troupe ad un ridimensionamento del progetto e ad ultimare le riprese in Grecia, grazie a fondi fiscali ad hoc] e, di conseguenza, da una pochezza di mezzi - specie nel campo dell’effettistica - che si fa sentire particolarmente nel momento in cui il film è chiamato ad immaginare e costruire, sul e dal nulla, un mondo futuristico e futuribile.
Un mondo che è e può essere tale soltanto nelle atmosfere ispirate dalla meravigliosa colonna sonora del sodale Howard Shore, e nelle parole, nella portata dei concetti e delle provocazioni e in una sceneggiatura che potrebbe apparire a tratti verbosa, ma che in realtà non è altro che la diretta prosecuzione discorsiva del recente A Dangerous Method, del suo tentativo di dire quello che il corpo prova, di fare Verbo dalla Carne, facendoli quasi coincidere (Gianni Canova).
Ciò detto, di cosa parla davvero Crimes of the Future? A dispetto del titolo, è un film che parla di oggi, dei crimini che commettiamo nei confronti delle nuove generazioni, nel tentativo di controllare, regolare, comprendere, sfruttare, significare un mondo e, dunque, un corpo che scivola via, si sviluppa, si evolve, si trasforma, si reinventa più velocemente di quanto vorremmo, a prescindere dalle nostre credenze.
Un processo inesorabile, inafferrabile, insospettabile, da alcuni considerato pericoloso e sovversivo, che non comprendiamo, o meglio, che non desideriamo comprendere, ma che noi stessi abbiamo favorito e, per certi versi, creato, con la nostra hybris positivista, scientifica, tecnologica. Con la nostra supponenza e arroganza nel voler dare significato alla vacuità, ordine al caos degli elementi. In nome di un progresso ipertrofico ed accanito. Di una manipolazione assoluta del fluire naturale delle cose.
Quasi ribaltando dialetticamente La zona morta, i crimini del futuro sono ora, sono qui. Macchiati sulle viscide ed opalescenti membrane di nuovi organi, con tatuaggi profetici (“e le profezie sono luride e sporche”, come sosteneva il feticista-storico-ninfomane di incidenti Vaughan in Crash). Nei geni dei nostri figli, primi esemplari di una nuova specie politica, di una nuova tappa evolutiva, di una nuova umanità, ma anche creature macchiate dell’illusione dell’avanzamento e perfezionamento della civiltà, figli putativi del fallimento icariano di Seth Brundle (La mosca). Nell’assonnato ed ovattato feticismo di un corpo e di una carne che, privati del dolore, del loro aspetto più sensibile, esistono, o meglio, arrancano in balia di intellettualismi fini a sé stessi, di provocazioni senza alcun particolare mordente, di ossessioni parossistiche, di una bellezza vaga ed astratta, di un mondo dismesso e cimiteriale, di una sopravvivenza tombale, di una ribellione prosaica.
Prede (invisibili ed impalpabili se non registrate) di un’artisticità che tutti ostentano, ma che nessuno sembra comprendere davvero, di un’arte performativa che tutti fanno, ma nessuno incarna con vera sostanza, cullata a colpi di slogan pubblicitari da un mercato capitalista autoreferenziale, omertoso ed assassino. Oggetti sessuali e sessualizzati da una chirurgia fredda, consolante, falsamente nuova ed estrema, in realtà stantia e sedativa.
Schiavi del potere, della burocrazia e delle sue cospirazioni. Di un presente in cui tutto è merce quantificabile e vendibile, pure la realtà e il realismo (Videodrome e il già citato eXistenZ insegnano), la propria morte (il corto di un minuto The Death of David Cronenberg è stato messo all’asta come NFT) o le proprie masse tumorali (lo stesso Cronenberg ha venduto una collezione di 18 fotografie dei suoi calcoli renali per finanziare il film). Di un presente in cui ciò che non vende, ciò che non collabora alle esigenze del mercato (come le ultime produzioni del regista) non riceve finanziamenti, viene prodotto a fatica o, più facilmente, non viene addirittura preso in considerazione.
Crimes of the Future diventa pertanto La fiera delle illusioni del cinema di David Cronenberg. Un'esposizione spoglia, dismessa, neppure scenograficamente originale - dato che, come molti hanno fatto notare, la Grecia qui (rap)presentata l'abbiamo già vista in Parthenon di Mantas Kvedaravičius -, di residui spettrali del passato, di ritagli sintetici di una poetica e di un'immaginario ormai arrivati all’atto conclusivo. Lo sguardo asciutto e rarefatto su un mondo (e su un mercato) in cui tutto è sensazionalistico e nulla è sensazionale, nel quale nulla colpisce, turba, fa più male come un tempo, giunto ormai al punto di non ritorno, alla massima saturazione ed asetticità, al superamento di ogni limite artistico e morale. Un corpo esangue che corre verso l’inevitabile futuro, che, come sopra, è già qui, è già adesso.
In tal senso, pochissima è quindi la forza, languido è il fervore, e minimi sono lo stupore e il disorientamento con cui Cronenberg ci fa assistere alla nascita di una nuova arte, un’arte autoptica, che sa immergersi nel profondo di noi stessi, sa ergersi sul precipizio dell’oscurità che abbiamo dentro, sa vedere con i propri occhi per la prima volta (un nuovo Umanesimo?). Un’arte, dunque, (davvero) politica perché si abbandona completamente a quel che è e sarà, espressione del malessere, dell’oppressione, della prostituzione, della soggezione che governano, abitano, uccidono i corpi del nostro tempo.
Un futuro in pace ed equilibrio con il mondo tecnologico che abbiamo creato potrà esistere? La nuova arte potrà parlare, rappresentare, ma anche prevenire la fine della civiltà? Potremmo decantare “lunga vita ad una nuova arte”? Questo, Cronenberg sembra non saperlo. Anzi, egli lascia alla Caprice di Léa Seydoux il compito di registrare ciò che sarà, fermandosi un attimo prima, ad un coito interrotto, e rifugiandosi nell’unico mondo (e concludendo il film nell’unico modo) che conosce bene, a cui può aggrapparsi senza paura di venire risucchiato. Nel cinema del passato. In un primo piano che si rifà esplicitamente a La passione di Giovanna d'Arco di Dreyer. In uno sguardo ermetico, incerto, equivoco, sospeso, perfetta rappresentazione di un’umanità alla ricerca solo di “un’altra epifania” per eludere l'inevitabile. Il proprio finale. Il proprio fine ultimo. La morte.
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