TITOLO ORIGINALE: The Bunker Game
USCITA ITALIA: 2 maggio 2022
REGIA: Roberto Zazzara
SCENEGGIATURA: Francesca Forristal, Davide Orsini, Kt Roberts, Roberto Zazzara
GENERE: thriller, horror
Esordio al lungometraggio dell'italiano Roberto Zazzara, The Bunker Game prende il via da uno dei concept più interessanti ed originali degli ultimi anni per giustificare, purtroppo, l’ennesimo racconto di fantasmi e possessioni demoniache, che si converte, a sua volta, nel solito gioco al massacro di estrazione slasher, senza però alcun estro o gusto per la morte o il sanguinolento. Poco fanno lo sguardo di Zazzara e il senso dello spazio dato dalla sua macchina da presa per ristabilire le sorti di una pellicola di per sé poco avvincente, cattiva, sporca, iperbolica, fantasiosa, che si prende forse fin troppo sul serio rispetto a quelle che sono le sue possibilità, addirittura poco horrorifica.
Inizia con un LARP, acronimo di live-action role play - ovvero, come ci ricorda bene la definizione a schermo, “un gioco di ruolo i cui partecipanti interpretano fisicamente il personaggio assegnatogli con il proprio agire, rappresentando le situazioni fittizie nello spazio reale che li circonda” -, The Bunker Game, esordio al lungometraggio dell’italiano Roberto Zazzara.
Un film che, bisogna ammetterlo, parte già avvantaggiato, grazie ad un concept tra i più interessanti ed originali che chi scrive abbia visto negli ultimi anni. In breve, i protagonisti del gioco del bunker a cui fa riferimento il titolo sono gli organizzatori di questo LARP ambientato all’interno di un vecchio bunker nazi-fascista realmente esistente [vedi Bunker di Soratte], in un’ucronia nella quale sono stati i tedeschi a vincere la seconda guerra mondiale e dove gli americani, di tutta risposta, invece che su Hiroshima e Nagasaki, hanno sganciato le loro bombe atomiche sulla nostra penisola, dando così il via alla terza guerra mondiale. I partecipanti di questo gioco interpretano dunque gli ultimi sopravvissuti di questo devastante attacco, la cui missione è semplicemente quella di generare la stirpe che riporterà in alto la bandiera della Germania nazista e darà vita ad un Quarto Reich.
Una premessa, introdotta con grande stile da Zazzara, che, in mano ad un bravo sceneggiatore, avrebbe potuto trasformarsi in una ghiotta opportunità, anche in chiave horrorifica, per ragionare sulla nostalgia e sul revisionismo, condurre una pungente analisi psicologica sui motivi che potrebbero spingere una persona chiunque a vestire i panni di un fascista (e divertirsi nel farlo) e, ovviamente, costruire l’ennesimo discorso meta cinematografico sui pericoli e le insidie della finzione. Possibilità, quest’ultima, che lo script di Francesca Forristal, Davide Orsini, Kt Roberts e dello stesso Zazzara sembra voler percorrere e saggiare durante le prime fasi di The Bunker Game, ma che, con lo scorrere dei minuti, perde sempre più mordente, venendo infine ridotta ad una linea di dialogo didascalica.
Una parabola simile, d’altronde, è quella tracciata da tutto il film di Zazzara, che, pur avendo ben chiari i propri riferimenti: lo spirito e le caratteristiche di produzione ricordano e si rifanno moltissimo agli horror italiani anni ‘70, mentre, per quanto riguarda le sue componenti più referenziali, sono i puzzle movie e i survival horror - da Saw a Cube, fino ad arrivare ai più recenti Escape Room - i prodotti a cui strizza maggiormente l’occhio; non riesce a fondere tutti questi suoi diversi spunti e a dare forma ad un racconto ben ritmato e uniforme.
L’elemento intrigante del gioco di ruolo viene infatti sviluppato nella maniera più insipida, sbagliata e diluita possibile, tra confusionari tentativi di relazione e momenti incomprensibili, divenendo, a lungo andare, niente più che un pretesto per giustificare ciò che interessa realmente a regista e sceneggiatori. Vale a dire l’ennesimo racconto di fantasmi e possessioni demoniache (con derive, oseremmo dire, quasi alla Last Night in Soho), che si converte, a sua volta, nel solito gioco al massacro, in cui, come in uno slasher o in un giallo di Argento o Bava, morti creative e uccisioni efferate, dirette con estro e gusto, si succedono una dietro l’altra, ai danni di un ensemble di personaggi che rappresentano ciascuno una determinata questione o problematica socio-culturale, in un turbinio di tensione ed emozione.
Il che non sarebbe certo un male, se solo 1. Zazzara fosse il nuovo Argento, il nuovo Bava o, ancora, il nuovo Wes Craven, e 2. non trattasse le morti dei suoi personaggi come un evento qualsiasi, di poco conto. Ciò che però ci porta a definire The Bunker Game un’altra occasione sprecata, soprattutto per il cinema italiano, risiede nella consistenza dello sguardo di Zazzara e nel senso dello spazio che sa ricreare con la sua messa in scena.
Ne derivano un paio di soluzioni visive che, per quanto talora ascrivibili all’autocompiacimento e al didascalismo degli esordi, riescono a risvegliare l’attenzione dello spettatore più navigato e insieme ravvivare, seppur in minima parte, le sorti di una pellicola di per sé poco avvincente, cattiva, sporca, iperbolica, fantasiosa, che si prende forse fin troppo sul serio rispetto a quelle che sono le sue possibilità. Addirittura, poco horrorifica nei modi pigri e proverbiali con cui tenta di spaventare, e nella gestione degli attori, tra cui è d’obbligo citare un Lorenzo Richelmy, che si riconferma attore d’eccezione per la produzione thriller-horror indie nostrana, una Gaia Weiss a metà tra la Franka Potente di Lola corre e Rooney Mara, ed un insulso Mark Ryder.
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