TITOLO ORIGINALE: The Lost City
USCITA ITALIA: 21 aprile 2022
USCITA USA: 25 marzo 2022
REGIA: Aaron e Adam Nee
SCENEGGIATURA: Aaron e Adam Nee, Oren Uziel, Dana Fox
GENERE: azione, commedia, sentimentale, avventura
Sandra Bullock e Channing Tatum sono i protagonisti di The Lost City di Aaron e Adam Nee, un film che, a partire da un breve excursus sulla contemporaneità e sulla confusione di finzione e realtà che la contraddistingue, arriva a ragionare su quanto siano cambiati il concetto di eroismo e gli archetipi del maschile e del femminile nella rappresentazione che, di essi, si propone al cinema e nella serialità. Se non siete soliti “giudicare un libro dalla copertina” e potete accontentarvi della straordinaria chimica che si respira tra due (o tre) attori squisiti, The Lost City potrebbe essere una delle avventure più deliziose che vedrete quest’anno.
Più che come il remake di All'inseguimento della pietra verda (1984) di Robert Zemeckis, The Lost City di Aaron e Adam Nee inizia quasi come un controcampo un po’ falsato di Marry Me di Kat Coiro. Infatti, dopo un preambolo esilarante ed ingegnoso, che parrebbe un’anticipazione di qualcosa che vedremo verso metà film, ma che, in realtà, altro non è la rappresentazione di un processo di scrittura creativa, veniamo introdotti nella vita di tal Loretta Sage (Sandra Bullock), autrice di numerosi romanzi erotici a sfondo avventuroso ed esotico, di grandissimo successo, con protagonisti un suo alter ego più sensuale e intrepido ed un avventuriero col classico capello lungo biondo, (s)vestito sempre e solo di una camicia bianca, tutto muscoli e testosterone, di nome Dash McMahon.
Esattamente come nella rom-com di estrazione michelliana di Kat Coiro, la star è affiancata e supportata da un’editrice/manager/amica che amministra con dovizia ogni minimo dettaglio della sua vita pubblica. E, allo stesso modo del film con JLo, questa presenza permette a The Lost City di compiere un breve excursus su social network, opinione e critica web, tweet, hashtag, trend, e così introdurre l’idea di un mondo in cui tutto è immagine, costruzione, apparenza, narrazione.
Un mondo nel quale spesso artificio e realtà sono chiamati ad allinearsi o, ancora più frequentemente, arrivano a confondersi. In cui, come nel caso della nostra Loretta, l’autrice del libro deve corrispondere e agire come l’eroina di cui racconta, anche quando questa, ancora scossa dalla perdita del marito, si trova nel pieno di una crisi esistenziale e artistica, è insoddisfatta del proprio lavoro, vive di disillusione ed incertezze che la portano a vergognarsi, fin quasi a disconoscere l’appartenenza ad una forma di letteratura in sé redditizia, ma umile e puramente escapista, incapace dunque di appagare a pieno un’indole intellettualistica ed aspirazioni letterarie più alte, colte e nobili che ella tenta, ogni volta invano, di integrare e far emergere nelle trame delle proprie piccanti avventure.
Discorso simile e forse ancor più eclatante riguarda Alan Caprison (Channing Tatum), il modello alle cui fattezze si ispira il personaggio di Dash McMahon, in qualche modo afflitto dalla finzione che ha ispirato (e che è arrivato addirittura a reinterpretare in bizzarri book tour) e sempre tallonato dall’ideale machista, eroico e sensuale che incarna il suo alter ego cartaceo, ma che nulla ha a che vedere con lui, estremamente impacciato, delicato, quasi femmineo.
Nella finzione, inoltre, i due dimostrano una tensione sessuale che infervora un pubblico a maggioranza femminile, interessato più ai momenti pruriginosi o agli addominali di Dash/Alan, che non all’avventura o agli intellettualismi storico-archeologici di Loretta. Al contrario, nella realtà, la relazione tra i due è qualcosa a metà tra un’amicizia ed un approfondito rapporto lavorativo - uno starting point non meglio decodificato dalla sceneggiatura che gli stessi Nee firmano insieme ad Oren Uziel e Dana Fox.
Ciò nonostante, nel momento in cui la scrittrice verrà rapita dal rampollo invidioso e romanzesco di un’importante famiglia (interpretato da un Daniel Radcliffe poco credibile come villain), alla ricerca di un tesoro perduto su un’isola dell’Atlantico, Alan, e Loretta di conseguenza, dovranno trasformare la finzione in realtà, o, in altre parole, improvvisarsi avventurieri ed eroi d’azione, come fossero davvero i personaggi contenuti tra le pagine di quei romanzi che li vedono ideali protagonisti.
E qui entra in gioco l’elemento forse più interessante e peculiare di The Lost City, che, come sopra, più che un rifacimento dell’ironico film d’avventura di Zemeckis con Michael Douglas e Kathleen Turner protagonisti, ne rappresenta un ribaltamento. Il gioco dei ruoli che si innesca, una volta che, alle classiche dinamiche da rom-com, si affiancano quelle da tipica avventura action, offre ad Aaron e Adam Nee un’opportunità per ragionare su quanto siano cambiati, col tempo (e soprattutto negli ultimi anni), il concetto di eroismo e gli archetipi del maschile e del femminile nella rappresentazione che, di essi, si propone al cinema e nella serialità.
Oltre che su un continuo flirt con i luoghi comuni dei film d’avventura, tutto l’intreccio si gioca infatti sull’antinomia tra il corpo di Channing Tatum e il personaggio da lui interpretato, tra la sua immagine divistica (dunque l’artificio, la finzione dello stardom) e la realtà diegetica, che lo vede vestire i panni di un ragazzone fisicamente e sessualmente aitante, ma ciononostante impaurito, schizzinoso, tonto, che parte per salvare la donna a cui deve tutto e di cui forse è innamorato, per poi ritrovarsi lui stesso, e in ben più di un’occasione, nei panni della proverbiale “damigella da salvare”, della fu spalla femminile chiamata anzitutto a spogliarsi e a fungere da principale elemento di attrazione tanto per il pubblico, quanto per il protagonista maschile.
A tal proposito, The Lost City arriva pure ad assumere le fattezze di un divertito gioco meta cinematografico che, a partire dal monumento ad un preciso tipo di mascolinità diegetica e divistica incarnato dal Jack Trainer e dal suo interprete: un Brad Pitt talmente esilarante e carismatico da rubare completamente la scena per il poc(hissim)o tempo in cui vi compare (la sequenza action che lo vede protagonista è senz’altro la più memorabile di tutte); sfrutta l’aspirazione virile del personaggio di Alan, per parlare in realtà di Channing Tatum e di una carriera a cui ha sempre ambito, ma che, volente o nolente, non è mai riuscito a raggiungere.
Peccato soltanto che, andati oltre questo interessante lavoro di percezione, riscrittura ed analisi quasi parodistica, la regia da tipica commedia sentimentale di Aaron e Adam Nee, coadiuvati a loro volta da Jonathan Sela, non riesca a reinventarsi a sufficienza per coprire quasi due ore di racconto, e si adegui, anzi, si adagi in modo via via più (involontariamente) sgangherato e maldestro sulle esigenze del filone action avventuroso a cui si riferisce e che peraltro desidera scimmiottare.
Ciò detto, se non siete soliti “giudicare un libro dalla copertina” (un’eccellente prova di consapevolezza, da parte dello script) e potete accontentarvi della straordinaria chimica che si respira tra una Sandra Bullock più tollerabile del solito ed un Channing Tatum che si reinventa quale squisito volto comico (con una spruzzata di Brad Pitt a gradire - occhio ai titoli di coda!), The Lost City, questa storia che sottolinea l’importanza e il valore delle storie, di ogni storia; potrebbe essere una delle avventure più deliziose che vedrete quest’anno.
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