TITOLO ORIGINALE: Cyrano
USCITA ITALIA: 3 marzo 2022
USCITA USA: 31 dicembre 2021
REGIA: Joe Wright
SCENEGGIATURA: Erica Schmidt
GENERE: musicale, drammatico
Dopo essersi confrontato con giganti della letteratura del calibro di Jane Austen, Ian McEwan e Lev Tolstoj, il britannico Joe Wright traspone sul grande schermo il musical scritto da Erica Schmidt e musicato da Aaron e Bryce Dessner, tratto da Cyrano de Bergerac, celebre commedia di fine Ottocento, firmata da Edmond Rostand. Peter Dinklage e Haley Bennett, già parte del cast della pièce, riprendono così i loro ruoli di Cyrano e Rossana in un film che vuole cogliere e trasporre il lato più attuale ed universale dell’eroe romantico partorito da Rostand, ma che nel farlo pecca di rigidità e di un andamento un po' goffo e claudicante - specie nella gestione e direzione delle parti musicali. Al di fuori delle scenografie, dei meravigliosi costumi e della presenza scenica di una Bennett raggiante, Cyrano di Joe Wright si mostra come una pellicola nella media, abbastanza sgangherata, reticente, fiacca, manchevole inoltre di segmenti musicali all’altezza, di sonorità accattivanti, di testi che possano davvero fare la differenza.
“Parla di cose che conosci intimamente” consiglia Cyrano all’amico panettiere aspirante poeta in una delle sequenze iniziali dell'adattamento, per la regia di Joe Wright, della pièce teatrale scritta da Erica Schmidt e musicata da Aaron e Bryce Dessner, tratta a sua volta dalla celebre commedia di fine Ottocento di Edmond Rostand.
Difatti, Cyrano sembra quasi un passaggio obbligato per e nel cinema eclettico e alterno di Joe Wright, il quale dopo essersi confrontato con giganti della letteratura internazionale come Jane Austen nell’elegantissimo Orgoglio e pregiudizio, Ian McEwan nel magistrale Espiazione, Lev Tolstoj nel più inibito Anna Karenina e J. M. Barrie nello sgangherato Pan - Viaggio sull’isola che non c’è, sceglie appunto di riscoprire qualcosa “che conosce intimamente”. Ovvero uno dei testi più trasposti [la sua prima traduzione cinematografica risale al 1900], ricordati e noti della produzione letteraria francese: l’eterna storia d’amore tra Cyrano, spadaccino scontroso, abile e guascone dal lunghissimo naso, scrittore e poeta dall'irresistibile vitalità e dall’incrollabile amore per intrecci e giochi di parole; e l’incantevole e nobile Rossana. Un amore impossibile ed irraggiungibile, per via dell’orgoglio, della riservatezza, della vergogna che lo schermidore prova nei confronti della sua importante deformazione fisica, fonte di continua derisione e scherno.
Secondo Anthony Burgess, Cyrano de Bergerac “è uno dei rari personaggi della letteratura che sembra vivere al di fuori dell’arco scenico, della copertina del libro” e, aggiungerebbe Wright, del tempo e dello spazio in cui si muove. Come già fatto dal musical teatrale, il cineasta desidera infatti cogliere e trasporre il lato più moderno, attuale ed universale dell’eroe romantico partorito da Rostand e, a tal scopo, sceglie non a caso di scritturare Peter Dinklage, già interprete dello spadaccino in quel musical diretto dalla moglie Erica Smith, nel ruolo principe. Difatti, il casting di Dinklage permette a Wright di rendere meno patetica e frivola, più concreta ed eclatante la natura della malformazione del protagonista e dunque di intercettare alla perfezione lo zeitgeist di un tempo, di una società, ma anche di un’industria ben precise. Quelle dell'oggi.
Il Cyrano di Dinklage - il più inquadrato e sistematico dai tempi di José Ferrer - è allora la rappresentazione più puntuale e azzeccata della rigidità e (perché no) dell’andamento un po’ goffo e claudicante di una macchina cinematografica che non riesce a reggere la dinamicità e complessità scenica, ma anche la passionalità, l’esuberanza e la vivacità viscerale. tipici del musical, e insieme di un mondo che, ad ennesima e continua riprova dell’attualità ed universalità di questa storia, viene del tutto destoricizzato, degeografizzato, “personalmente spersonalizzato”.
La pellicola è ambientata infatti in un tempo e in un luogo; in un passato, in un regno e in una città non meglio specificati [sappiamo comunque che gran parte delle riprese si sono svolte a Noto, nella nostra Sicilia], ma sintesi razionale e decadente di una serie di stimoli, influenze e riferimenti in bilico tra storico, artistico e fantastico, secondo un procedimento simil-garroniano. Stimoli ed influenze che ritrovano, a loro volta, nel suggestivo lavoro di production design ad opera di Sarah Greenwood e Katie Spencer e negli eccelsi costumi dell’italiano Massimo Cantini Parrini e di Jacqueline Durran, un’energia utile a smarcarsi da modelli precedenti e affermare la propria personalità.
Peccato che questa evidente personalità non venga poi adeguatamente corroborata ed introiettata, anzi infiacchita e spossata del tutto da una fotografia sfumata che gioca fin troppo scolasticamente con la profondità di campo e delle quinte immaginarie, dimenticandosi, al contempo, di individuare una propria dimensione estetica precisa, peculiare ed epifanica.
Per ritrovare allora un briciolo di empatia e vitalità in Cyrano, bisogna aspettare i momenti da protagonista di una meravigliosa, sensuale, voluttuosa e raggiante Haley Bennett - anch’essa già parte del cast del musical di Erica Schmidt - nel ruolo di una Rossana finalmente e finemente complessa, divisa tra l’illusione fiabesca dell’amore assoluto e devoto e la disillusione di una figura femminile quanto mai contemporanea ed emancipata, che sa sempre e comunque ciò che vuole.
Non esageriamo dunque dicendo che, laddove la maschera di Dinklage rappresenta la struttura severa, intimorita e raggelata dell’istanza narrante, la Rossana di Haley Bennett incorpora invece l’anima, il movimento emotivo, il calore, il colore, la voce, la luce e lo spirito musicale della pellicola; un rifugio sicuro ed incontaminato di emozioni e vibrazioni, nonché, probabilmente, l’unica nota di vero temperamento di una pellicola in sé abbastanza sgangherata, reticente e fiacca.
Che poi Cyrano è un po' come The Greatest Showman di Michael Gracey. Pensateci, entrambi abbinano ad una trama romantico-artistica molto convenzionale: qui, sul potere e l’importanza della parola, dell’arte e della poesia (senza artifici, dunque semplice, per non dire semplicistica), lì invece, sul perseguimento dei propri sogni, sul combattere i pregiudizi delle persone per vederli infine realizzati; un discorso di grande attualità come quello relativo alla diversità, alla sconfitta musicale dell’anacronistica categoria del “mostro”. Se tutto ciò dovesse però apparirvi fin troppo superficiale o proverbiale, pensate al modo in cui, sia in The Greatest Showman, sia in Cyrano, ad un certo punto, uno o più personaggi comprimari, se non addirittura secondari, richiamano su di sé l’attenzione dello spettatore, addirittura rubando la scena ai protagonisti, spesso con i brani e nelle sequenze migliori, più intense e memorabili di tutto il film.
Del musical di Gracey, per esempio, ricordiamo la celeberrima This is Me cantata da una fenomenale Keala Seattle o l'ancora più celebre Never Enough, recitata da Rebecca Ferguson ma interpretata vocalmente da una potentissima Loren Allred. Nel film di Joe Wright, il riferimento è al segmento ambientato sul campo di battaglia, tra le “trincee” di una guerra non meglio specificata, dove, a prendere parola, sono soldati semplici accomunati dal sentore di morte e dal valore della perdita di ciò e coloro che amano.
Wherever I Fall è (per chi scrive) l’unico vero momento di grande cinema - e di grande musical - in un film medio, generalmente insapore, ma che presenta ciononostante qualche venatura di colore e sapidità. Un racconto che, a differenza proprio di The Greatest Showman, si rivela manchevole di momenti musicali all’altezza, di sonorità accattivanti (nonostante punti tutto su melodie e arrangiamenti orecchiabili e pop), di testi che possano davvero fare la differenza.
A spuntarla è allora la rigidità produttiva (e funerea) di Cyrano, che finisce per soffocare, ammutolire e trattenere lo slancio ardito e passionale di Rossana e, con lei, di una vena musicale che tenta a tutti i costi di irrompere nell’inquadratura.
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