TITOLO ORIGINALE: No Sudden Move
USCITA ITALIA: 25 ottobre 2021
USCITA USA: 1 luglio 2021
REGIA: Steven Soderbergh
SCENEGGIATURA: Ed Solomon
GENERE: poliziesco, drammatico, thriller, gangster
PIATTAFORMA: NOW TV
Così come per Ridley Scott e Chloé Zhao, anche per l'eclettico e sfuggente Steven Soderbergh, il 2021 è stato un anno incredibilmente prolifico, merito, nel suo caso, dell'inaugurazione della piattaforma streaming HBO Max, per cui ha realizzato due degli inserti più ragguardevoli. Dopo il folle e sperimentale Lasciali parlare, è il turno di No Sudden Move, caper movie che si rifà, sotto molti aspetti, al cinema di Tarantino e dei fratelli Coen, mettendo in scena il tentativo di cambiare vita da parte di due delinquentelli della Detroit anni '50. Il risultato finale è una pellicola complessa, stratificata e personalissima che, a partire da una peculiare scelta fotografica, intavola un racconto arzigogolato, cavilloso e volutamente incomprensibile al confine tra finzione e realtà storico-sociale, da cui traspare, in maniera evidente, la cifra ambigua ed evasiva della personalità artistica e del cinema soderberghiani.
Cominciamo col dire che Steven Soderbergh - l’enfant prodige della Hollywood dei primi anni ‘90, il regista più giovane a vincere una Palma d’oro, un vero e proprio pioniere del cinema indipendente moderno, un film maker nel senso più materico e pratico del termine - è forse uno dei cineasti più eclettici e meticolosi che si siano mai posti dietro l’obiettivo. Ma altresì anche uno dei più sfuggenti, indefinibili ed elusivi, al pari della galleria di personaggi che anima il suo cinema incontenibile, anticonvenzionale e poliedrico, scindibile in più di 30 capitoli.
Dalla brillante metafora sul potere delle immagini nel pluri-premiato Sesso, bugie e videotape alla commedia criminale Out of Sight, passando per robusti biopic come Erin Brockovich e il dittico dedicato a Che Guevara, fino ad arrivare all’ombroso mosaico criminale di Traffic, ad heist movie a grossissimo budget e con cast stellari come la trilogia Ocean’s e La truffa dei Logan, a thriller politici quali The Informant, Contagion, Effetti collaterali e Panama Papers, e a pellicole - come il più unico che raro Unsane - che esistono solo ed esclusivamente in funzione di un apparente sfizio: a guidare il cinema di Steven Soderbergh è il visibile bisogno di portare il linguaggio cinematografico ai massimi estremi, piegare e plasmare l’immagine a proprio uso e consumo, e cercare sempre nuove vie per stimolare il proprio sguardo e mantenere vivi e vibranti gli orizzonti espressivi del medium.
Un cinema, quello di (al secolo) Steven Andrew Söderberg (“con la umlaut”), che, ora come ora, costituisce uno degli ultimi sopravvissuti della grande epopea hollywoodiana, a cui non è ancora stato dedicato il giusto spazio critico, e che, malgrado le periodiche avvisaglie di deluso pensionamento del proprio titolare, negli ultimi tempi ha registrato una delle sue fasi più prolifiche. Difatti, esattamente come Chloé Zhao e Ridley Scott, il 2021 è stato un anno attivissimo per la filmografia di Soderbergh e buona parte del merito la si deve all’inaugurazione della piattaforma streaming HBO Max, per la quale questi ha firmato due tra gli inserti di maggior rilievo.
Dopo il folle e avanguardistico Lasciali parlare [un'opera che Soderbergh ha girato in tempo reale, nel corso di una vera crociera e con una sceneggiatura partorita giorno dopo giorno insieme agli interpreti], è oggi il turno di No Sudden Move, caper movie che ricorda, per il suo intreccio complesso e talora inafferrabile e per l’esattezza filologico-cinematografica dei suoi volti attoriali, il sottovalutatissimo Jackie Brown di Quentin Tarantino. Un neo-noir con cui il cineasta torna a fare coppia o, meglio, trio con Don Cheadle e Benicio Del Toro, che qui interpretano rispettivamente Curt Goynes e Ronald Russo, due delinquentelli di mezza tacca della Detroit di metà anni ‘50 - uno scaltro e languido, l’altro più sgangherato - che, durante un incarico all’apparenza semplicissimo, vedono la possibilità di arricchirsi quanto basta per lasciare la città, abbandonare un sottobosco criminale in cui, per motivo o per un altro, stanno ormai stretti ed iniziare una nuova vita.
Peccato che, nel cogliere questa opportunità, i due - in particolare, Goynes/Cheadle - diventino sempre più assetati di ricchezza, di portare a segno un colpo sempre più grande, di estorcere somme di denaro sempre maggiori, arrivando però a pestare i piedi, per sbaglio(?), ad una fitta rete di affari che coinvolge la malavita cittadina, presieduta dai boss Frank Capelli (un Ray Liotta su cui Soderbergh attua un processo simile a quanto fatto da Tarantino con Robert De Niro - emblema eccellente del gangsterismo scorsesiano - nel succitato Jackie Brown) e Aldrick Watkins (un Bill Duke memorabile); e le Big Four dell’industria automobilistica statunitense.
La cifra stilistica fin da subito riconoscibile - e probabilmente anche la più caratteristica - di No Sudden Move è il lavoro fotografico che il regista, sotto il solito pseudonimo di Peter Andrews, confeziona e rivela in maniera evidente sin dai titoli di testa, che, nel loro alternare immagini d’epoca e loghi e font del noir classico ad una messa in scena palesemente artificiosa ed artefatta, riassumono una pellicola che, dietro una finzione così ben evidenziata, nasconde un fondo di realtà storico-sociale.
Tornando però al discorso fotografico, è bene specificare che, per le riprese del film, Soderbergh ha scelto di utilizzare specifiche lenti anamorfiche retrò che esasperano la distorsione laterale dell’immagine. Lo scopo di questa scelta precisa è presto detto, in quanto, così facendo, il regista è riuscito ad ottenere una serie di quadri a cui sembra quasi impossibile sottrarsi: un’evidente figurativizzazione della difficile situazione in cui i nostri protagonisti si ritrovano, ma anche di una macchina (narrativamente parlando) affaristica e (in termini cinematografici) registica da cui non riescono - e neanche possono - nascondersi o divincolarsi.
No Sudden Move è allora uno di quei testi in cui la figura del regista appare ambigua e solo epidermicamente imparziale, alla stregua del punto di vista adottato, insoluto ed indefinito. Infatti, nonostante il racconto ci convinca inizialmente a simpatizzare per il duo criminale zoppicante ed improbabile Goynes/Russo, la scrittura di Ed Solomon [autore meglio conosciuto per i due Now You See Me, che torna a lavorare con Soderbergh dopo Mosaic] intavola un intreccio talmente arzigogolato, cavilloso e talora volutamente incomprensibile, che trovare un appiglio, un qualcosa a cui tenersi ben saldi, che possa portare per mano fino al finale, diventa praticamente infattibile.
Come solito nei film di Steven Soderbergh che mettono in scena individui che si schiantano contro il muro del capitalismo e dei suoi flussi monetari, le somme di denaro (su cui l’istanza narrante pone un’attenzione morbosa), le valigette che le contengono e, qui, le automobili - prodotti per antonomasia di quel capitalismo, che, in modo non dissimile dalla fotografia, ingabbiano i personaggi, concretamente o metaforicamente -, sono allora gli unici elementi di questo mondo inceppato ad avere una propria dinamicità ed un andamento libero e disinvolto.
In poche parole, essi sono gli unici attanti capaci di rispondere ai meccanismi specifici del mezzo e del linguaggio cinematografico. O, in altre, le sole cose che contano veramente, dal momento che “le persone sono soltanto persone” e i personaggi semplicemente personaggi; contrattempi momentanei, ostacoli mortali o, nel caso dei protagonisti interpretati da Don Cheadle e Benicio Del Toro, costrutti in cerca di una loro storia, senza sovrascritture o mitologie precedenti, che si ritrovano a vestire i panni del criminale controvoglia, come si trattasse di un normale impiego (d’altronde, si tratta solo di “un normale lunedì”), costretti però dalla meccanica, inflessibile e soffocante macchina cinematografica ad imbarcarsi in un’impresa senza vie di uscita certe.
A sintetizzare questa essenza subdola, macchinosa e problematica del testo filmico, riassumendo al contempo pure il ruolo extra filmico di Soderbergh (qui impegnato, sotto l’altro pseudonimo di Mary Ann Bernard, anche in un montaggio freddo e rigoroso), ci pensa il personaggio di Mr.Big/Mike Lowen - che, con il cineasta, condivide le origini svedesi ed un cognome di cui è stata soppressa la umlaut -, al quale presta il volto un Matt Damon compito ed impeccabile.
Rappresentazione puntuale della freddezza, dell’imperturbabilità e del sagace cinismo che governano il mondo di No Sudden Move, quest’ultimo è fondamentalmente il burattinaio dell’oscuro piano machiavellico posto in essere dallo script di Solomon. Tuttavia, a differenza però di ciò che si potrebbe pensare, Mr. Big si presenta anch’egli come un funzionario che svolge questo suo mestiere quasi malvolentieri, poiché al servizio di qualcun’altro al di sopra di lui. Dunque, come un personaggio che concentra su di sé la visione di un Soderbergh sempre più disilluso in merito al mestiere del regista e all’industria cinematografica hollywoodiana.
È però qui che si situa la cifra ambigua e sfuggente della personalità artistica e del cinema soderberghiani, perché, nonostante tutto quello che questi dichiara o (di)mostra e malgrado i ripetuti tentativi demistificatori della propria attività e del proprio habitat naturale, in lui si intravede comunque un richiamo insopprimibile nei confronti della macchina da presa, della produzione di immagini e di un cinema che ha da tempo compreso come il domani, per quanto sconfortante o beffardo possa rivelarsi, sia ancora tutto da scrivere. E filmare...
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.