TITOLO ORIGINALE: La Befana vien di notte II - Le origini
USCITA ITALIA: 30 dicembre 2021
REGIA: Paola Randi
SCENEGGIATURA: Nicola Guaglianone, Menotti
GENERE: commedia, fantastico
Assistito da un sostanziale e decisivo cambio in cabina di regia, Nicola "Jeeg Robot" Guaglianone, con l'aiuto del suo sodale collaboratore Menotti, firma il prequel del fortunato, ma orripilante, rigido e sgraziato film con Paola Cortellesi e Stefano Fresi. Memori degli errori commessi, regista e sceneggiatori scelgono pertanto di dar vita ad un film che, nel compiere uno sbalorditivo balzo indietro nel tempo, innalza vertiginosamente i requisiti e le ambizioni produttive, soddisfate poi perfettamente con scenografie e costumi a dir poco ineccepibili ed una scrittura decisamente più dinamica, rocambolesca, euforica, avventurosa, divertita, per non dire demenziale e schizzata. La Befana vien di notte II - Le origini è un film imperfetto, che riesce però a risollevarsi e puntare ad una sommaria riuscita grazie soprattutto ad alcune ottime scelte di casting.
Un inedito Fabio De Luigi nei panni del malvagio barone De Michelis che, ottenuto un oscuro e grande potere, sventola la propria folta e lunga chioma sulle note di The Final Countdown degli Europe.
No, non siamo impazziti tutto d’un colpo. Abbiamo solo descritto una delle scene più anacronistiche, farneticanti, ma puerilmente irresistibili e, di conseguenza, più rappresentative (delle inflessioni) de La Befana vien di notte II - Le origini, prequel del fortunatissimo film di Michele Soavi, scritto da Nicola Guaglianone, con protagonista una fin troppo frigida Paola Cortellesi nei panni della più note fra le figure leggendarie del nostro folclore.
Come tutti sanno, nonostante le eccellenze impegnate - su tutti lo stesso Soavi, l’ultima grande eccellenza horror italiana, figlio della lezione di maestri del calibro di Argento, Bava (Lamberto) e D’Amato, autore inconfondibile di grandiose opere quali Dellamorte Dellamore -, quando uscì, La Befana vien di notte si rivelò essere ed è tuttora il tipico esempio di film “intelligente che non si applica”.
Memorabili rimangono infatti la sequenza del compattatore e quella del cimitero - uniche pennellate di rimando alla presenza del già citato Soavi dietro la macchina da presa - ma non bastano, così come non bastano una fin troppo poco “befanesca” Cortellesi ed uno Stefano Fresi totalmente decontestualizzato, a rinvigorire una pellicola dall’estetica caotica e dallo sviluppo macchinoso che gioca tutto (male) sulla riscoperta del folclore nazionale, mista ad un’avventura stanca alla Goonies. Insomma, un racconto che, pur partendo da ottime premesse e da un incipit stimolante, di minuto in minuto, diventa sempre più perdibile e dimenticabile.
Ebbene, nel caso di questo suo seguito, avviene piuttosto il contrario. La Befana vien di notte II - Le origini è infatti una pellicola che, malgrado qualche segmento meno convincente e prolisso, non fa altro che crescere. Merito anzitutto di un radicale cambio in cabina di regia. A sostituire un Soavi fin troppo costretto, viene chiamata infatti Paola Randi, regista indipendente che, negli ultimi anni, ha lavorato molto bene con la commedia surreale e grottesca, firmando film particolarissimi quali Into paradiso e Tito e gli alieni. Immergersi in un progetto come questo ed esplorare la storia d’origini della strega più famosa di tutte, da parte sua, avrebbe potuto apparire pertanto come un qualcosa di inadeguato, con cui non si sarebbe trovata naturalmente a suo agio.
Invece, come anticipato sopra, la regista dimostra grande spirito di elaborazione e comprensione nella sintesi visiva che fa del soggetto e della sceneggiatura scritti dalla squadra de Lo chiamavano Jeeg Robot di nuovo al completo. Parliamo di Nicola Guaglianone, che qui torna pure in veste di produttore creativo dell’intero progetto, e di Roberto Marchionni in arte Menotti, che, memori degli errori e delle rigidità fin troppo evidenti del primo capitolo, scelgono di dar vita ad un prequel che, nel compiere uno sbalorditivo balzo indietro nel tempo (siamo infatti nell’Italia del ‘700), alza vertiginosamente i requisiti e le ambizioni produttive, che soddisfa perfettamente con scenografie e costumi a dir poco ineccepibili ed una scrittura decisamente (era ora) più dinamica, rocambolesca, euforica, avventurosa, divertita, quando non demenziale e schizzata.
D’altro canto, basti pensare ai personaggi interpretati da De Luigi, da un Herbert Ballerina mattatore assoluto o da un Corrado Guzzanti che si fa ricordare ed amare nel ruolo di papa Benedetto XIV, per comprendere al meglio l’essenza della visione di Guaglianone e Menotti. Oltre a ciò, La Befana vien di notte II trova nella schiettezza quasi estemporanea delle interazioni e dei rapporti tra i vari personaggi il modo per emanciparsi e liberarsi dal greve fardello del predecessore. In questo, aiutano considerevolmente una serie di azzeccate scelte di casting.
Seppur venendo meno al rigore di una continuità editoriale (che dovremmo cominciare a rispettare per giocare lo stesso, fruttuoso gioco degli americani), non riusciamo a farci venire in mente un giovane volto più convincente e credibile di Zoe Massenti per vestire i panni di una versione sbarazzina, ribelle, zozza, molto più sbeccata, petulante e romanaccia della Paola “Befana” Diotallevi, prima o poi interpretata da Paola Cortellesi. Il colpo di genio però sta tutto nella scelta di scritturare e giocare con lo stardom e il bilinguismo - che nel film corrisponde poi ad una forma di bipolarismo repentino e foriero di gag esilaranti - di Monica Bellucci, qui lievemente “nonnificata” ed inaspettatamente a suo agio, ma sempre sontuosa, nel ruolo di Dolores, anziana strega, tanto saggia quanto svampita, che sarà mentore e madre putativa per Paola, nella quale si legge la possibile incarnazione di un’antica profezia che, se compiuta, potrebbe portare speranza e gioia ai bambini di tutto il mondo.
Se nella scrittura dei villain troviamo la perfetta sintesi dell’anima farsesca de La Befana vien di notte II, è però nel rapporto tra Paola e Dolores e nei momenti che coinvolgono la giovane strega e i bambini che Donna Dolores accudisce, che il film di Paola Randi trova i suoi momenti più simpatici ed affettuosi, talora scorretti e tanto schietti da salvare il racconto e l’affabulazione di un’opera che, malgrado l’elevatissimo valore estetico e produttivo - arricchito da una colonna sonora utilitaria di Michele Braga - ed un’attenzione maniacale al dettaglio, così come alla costruzione di una mitologia attorno agli oggetti (fantastica l’idea delle pozioni inserite in cartucciere che rimanda inevitabilmente ad un’iconografia western, per certi versi, quasi leoniana), ricade nuovamente in alcuni dei difetti dell’originale di Soavi.
Ci riferiamo, in particolar modo, ad una disomogeneità di toni, intuizioni e ritmo (mal asservito ad una durata eccessiva di 115 minuti), ma anche ad un’incapacità ancora lampante (ma, d’altronde, sistematica) nella direzione e montaggio dei momenti più prettamente action. Due imperfezioni che, qualora non si riuscisse fin da subito ad entrare e ad essere convinti dal mondo sorretto e concepito dal trio Randi-Guaglianone-Menotti, potrebbero renderne la visione esponenzialmente più sofferta e il giudizio complessivo ben più severo.
Ciò nonostante, prima di tutto questo, ancor prima di riscontrare l’indubbia evoluzione produttiva - in sé, mai pretenziosa o formalista - che questo film rappresenta contestualmente alla recente riscoperta del fantastico da parte del cinema nostrano, bisognerebbe chiedersi se questo tipo di storie e questo tipo di fantastico appunto interessino ancora al grande pubblico italiano. A giudicare dagli incassi (oltretutto, di un periodo importantissimo per il box office nazionale come quello natalizio), purtroppo sembrerebbe di no.
O forse è solo colpa di quel fortunato, ma orripilante film con Paola Cortellesi, che ha lasciato un cattivo sapore in bocca a migliaia di spettatori, disaffezionati già in partenza da questo neonato franchise, se così possiamo definirlo. A fronte di tutto questo, pertanto, non solletica neppure l’idea o l’eventualità che, da La Befana vien di notte II, possa nascere un nostro, primo, vero universo cinematografico. Come direbbe la Paola di Zoe Massenti, “porca pupazza!”.
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