TITOLO ORIGINALE: Nowhere Special
USCITA ITALIA: 8 dicembre 2021
USCITA UK: 16 luglio 2021
REGIA: Uberto Pasolini
SCENEGGIATURA: Uberto Pasolini
GENERE: drammatico
Uberto Pasolini dirige un dramma piccolo ed intimissimo su un papà in fin di vita a causa di una malattia terminale che, nel tempo che gli resta, si mette alla ricerca di una famiglia per il piccolo Michael. In tal senso, il racconto scritto e messo in scena da Pasolini trova in un’eloquente e sincera spontaneità, la chiave di volta di un'opera che, laddove affidata in mani superficiali e meno sensibili, avrebbe potuto essere ridotta ad una compravendita di emozioni intenzionata solo ed esclusivamente a stimolare, quasi supplicando, una reazione patetica ed umida nello spettatore. Un eccezionale lavoro sui volti dialoganti di un James Norton segnato, pallido ed infermo e di un dolcissimo Daniel Lamont accompagna una parabola atea, profondamente spirituale e cinematograficamente deliziosa sull’inestimabilità della vita.
Inizia con una serie di dettagli e particolari della vita di una cittadina dell’entroterra irlandese, visti perlopiù attraverso vetri e finestre, Nowhere Special di Uberto Pasolini. Questo perché John (James Norton), il protagonista di questo piccolo ed intimo dramma “tratto da una storia vera” - che esce nelle sale italiane a distanza di più di un anno dal suo debutto nella sezione Orizzonti della 77ª edizione del festival del cinema di Venezia -, fa il lavavetri di mestiere e, durante le sue ore di lavoro, si diverte a spiare, curiosare o semplicemente ad immedesimarsi ed immaginarsi, anche solo per un istante, una vita oltre la sua, oltre i limiti spazio-temporali.
Una metafora del potere intrinseco del mezzo cinematografico semplice ma efficace, al pari del racconto scritto e messo in scena da Pasolini, che, proprio in un’eloquente e sincera spontaneità, trova la chiave di volta di un'opera che, laddove affidata in mani superficiali e meno sensibili, avrebbe potuto essere ridotta ad una compravendita di emozioni intenzionata solo ed esclusivamente a stimolare, quasi supplicando, una reazione patetica ed umida nello spettatore.
John infatti si distrae nel guardare le case e le vite altrui non tanto per il gusto di farlo, quanto piuttosto per evadere da una situazione tutt’altro che rosea. In altre parole, all’uomo è stato diagnosticato un tumore e presto dovrà dire addio a suo figlio Michael (un Daniel Lamont alla sua prima prova), che egli accudisce da solo, con premura e gioia, da quando la madre-moglie se n’è andata, abbandonandoli. Sfortunatamente, tutto questo suo guardare e fuggire coi pensieri nel mondo del se, del forse e del mai viene di fatto annullato, quando, alla sera, dopo aver messo a letto il piccolo, è costretto a guardarsi allo specchio del bagno e a fare i conti con una malattia che si fa sempre più vivida ed evidente sul suo viso e nei suoi occhi.
Si potrebbe quasi osare che, alla fin fine, la riuscita e l’inaspettata forza di Nowhere Special sta tutta qui: nel modo in cui Pasolini filma i propri attori e sceglie di mettere in scena il proprio discorso, in quella che sembrerebbe una via di mezzo sintetica, spuria e debitrice tra l’irripetibile approccio realistico di De Sica-Zavattini e quella dinamica di sconvolgimento dell’ordinarietà tipica del cinema di Ken Loach. Oppure ancora, nel come sfrutta le potenzialità espressive dell’immagine; di un’esteriorità che qualifica (ma non per questo semplifica!) un'interiorità che, a sua volta, si dà all’obiettivo nello spazio e nella forma di un’intimità che percepiamo fin da subito come qualcosa di raro, prezioso, finanche unico nella sua (ancora) semplicità quasi banale.
D’altronde, Nowhere Special lo mette bene in chiaro sin dal titolo e, in via del tutto eccezionale, dal sottotitolo dell’edizione italiana - Una storia d’amore. Pasolini invero non ha alcuna pretesa di elevare questa storia a rappresentazione universale, comprensibile ed espressa di un sentimento, di un concetto o di un’esperienza in particolare, da cui prendere esempio o imparare qualcosa, ma desidera semplicemente raccontarla nel modo meno svenevole e languido possibile, celebrandone in primis il lato quotidiano, ordinario, umano, ed evidenziando inoltre il fatto che sia una(!) storia ambientata in un posto in cui, in fin dei conti, di speciale, non c’è nulla. I cui personaggi “sono persone. - Pasolini lo spiega così - Non sono speciali, ma vivono una situazione speciale. Il film racconta una storia che potrebbe riguardare noi, i nostri figli, i nostri padri, i nostri amici”.
Subito dopo il modo semplice ma funzionale con cui viene raccontata, è allora la situazione e il modo in cui essa impatta l’ordinarietà dell'esistenza di John, Michael e di coloro che li circondano, accompagnano, accolgono e rifiutano, a costituire l'unicità della pellicola. E, se in alcuni suoi punti, il rifiuto di una drammaticità troppo esasperata ed artificiosa viene meno a favore di allegorie visive dai significati piuttosto didascalici, una colonna sonora tenue ma proverbiale, ed un tentativo elementare di critica sociale(?), bastano uno stimolante discorso sugli oggetti di una vita e sulla loro carica simbolica e valoriale, ma anche e soprattutto il lavoro fatto dal regista, assieme al direttore della fotografia Marius Panduru, sui volti dialoganti di un James Norton segnato, pallido ed infermo e di un dolcissimo Daniel Lamont, a fare di Nowhere Special; di questa ricerca paterna compassata, ma emotivamente traboccante di una famiglia affidabile (prima che affidataria), in un purgatorio di immagini future desiderate, negate o probabili, una parabola atea, profondamente spirituale e cinematograficamente deliziosa sull’inestimabilità di una vita vissuta fino in fondo, per quanto dolorosa od incomprensibile essa possa essere. E non ci riferiamo tanto al tempo - che è inafferrabile come la corrente di un fiumiciattolo -, quanto piuttosto ad una serie di esperienze e momenti di cui niente e nessuno, pure la morte, potrà privarci.
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