TITOLO ORIGINALE: Spiral: From the Book of Saw
USCITA ITALIA: 16 giugno 2021
USCITA USA: 14 maggio 2021
REGIA: Darren Lynn Bousman
SCENEGGIATURA: Pete Goldfinger, Josh Stolberg
GENERE: orrore, thriller, poliziesco
Zeke Banks, esuberante ed integerrimo detective della omicidi, inizia ad indagare su una serie di omicidi ai danni di alcuni colleghi del dipartimento, il cui modus operandi farebbe pensare ad un redivivo Jigsaw o, meglio, ad un suo imitatore.
A 16 anni dall'uscita italiana di Saw - L'enigmista di James Wan, fa la sua comparsa nelle sale Spiral - L'eredità di Saw, nono capitolo della claudicante saga horror, nonché suo reboot, per la regia di Darren Lynn "Saw II, III e IV" Bousman, che, su soggetto di Chris Rock, confeziona un prodotto certamente difettoso, molto più simile ad un compitino derivativo e accondiscendente delle aspettative, che ad un qualcosa di veramente nuovo o innovativo. Una regia ed una messa in scena artificiose ed eccessivamente manieriste (ma non totalmente da buttare) traslano e visualizzano su schermo una sceneggiatura che gioca sicuro, dando vita ad un incrocio tra l'epocale Seven di David Fincher e il testamento di John Kramer, con una leggera spruzzatina di critica socio-politica a gradire, e che, pur risultando prevedibile in molti suoi risvolti, è fautrice di alcuni momenti di grande tensione. Chiamatelo guilty pleasure, so bad it’s so good, film mediocre, ma una cosa è certa: morto (un) Saw se ne fa un altro. E chi ha detto che questo debba per forza essere un male?
Sono passati poco più di 16 anni dall’uscita (italiana) di Saw - L’enigmista, cult low budget che contribuì a lanciare la carriera del regista malese naturalizzato statunitense James Wan - il quale lo ideò e scrisse insieme ad un altrettanto talentuoso Leigh Whannell - e a consacrarlo come nuova promessa dell’horror, introducendo il pubblico ad un nuovo horror maniac tutto da temere.
Ovviamente, stiamo parlando di Jigsaw alias John Kramer, astuto ed efferato maniaco omicida affetto da un cancro al cervello allo stadio terminale, che, stanco di vedere persone che sprecano e disprezzano il dono della vita (forse il più importante che ci è stato concesso), decide di rapire queste stesse persone e porle di fronte ad enigmi mortali, dai quali è possibile uscire solitamente auto-infliggendosi mutilazioni di vario tipo. Il fine di questi giochi sadici? Naturalmente mettere questi uomini e queste donne di fronte ad un bivio che possa portarli a riconsiderare in toto il proprio stile di vita e, di conseguenza, a fare qualcosa per cambiarlo e cambiare in meglio.
Ma, si sa, 16 anni passano in fretta e, mentre James Wan si è allontanato progressivamente da questo suo neonato universo (già nel secondo capitolo figura solamente in veste di produttore), spostando la propria attenzione su nuovi progetti e nuove saghe horror come Insidious e The Conjuring [che, guarda caso, è ora in sala a rivaleggiare con “il ritorno di Saw”]; John Kramer purtroppo ha iniziato a perdere colpi, questa sua interessante, seppur elementare, filosofia ad esser resa sempre meno vitale e centrale e i vari film a diventare niente più che un gioco spettatoriale voyeuristico, sadico e un po’ feticista. Tutto questo, fino al recente Saw Legacy, ossia la goccia che ha fatto letteralmente traboccare il vaso (di noia, ripetitività e disillusione) e disaffezionare via via tanto lo spettatore medio quanto l’amatore fedele.
Purtroppo o per fortuna (sta e starà a voi decidere), John Kramer non è ancora pronto per morire. O almeno, lui è morto, ma il suo mito continua ad aleggiare nell’aria, nelle menti delle persone, in strada, nei vicoli, nei caseggiati industriali abbandonati e ammuffiti. Come sosteneva lo stesso (e defunto) Jigsaw, ma anche dando un’occhiata alla simbologia, la Spiral(e) è un simbolo di cambiamento, di morte e rinascita, di evoluzione. Sì, ma in meglio o in peggio?
Prima però è bene fare qualche passo indietro ed introdurre adeguatamente questo famigerato “ritorno di Saw”. Iniziamo dunque col dirvi che Spiral - L’eredità di Saw (in originale, From the Book of Saw) rappresenta, allo stato attuale, l’unica maniera possibile per rilanciare una mitologia morta, sepolta e tradita come quella dell’Enigmista.
Pertanto, in cabina di regia torna Darren Lynn Bousman (che, proprio con Saw II, III e IV - i meno peggio tra quelli post-Wan -, si è fatto le ossa), si prendono volti attoriali estranei alla saga, nonché più (Chris Rock, anche autore del soggetto, e Max Minghella) o meno (Samuel L. Jackson) improbabili e si ritorna un po’ alle origini, alle atmosfere da detective story del primo film e ad una maggior plausibilità e dunque affabulazione attiva e funzionale dei “giochi” del nostro Enigmista. Quello che si ottiene è un incrocio tra l’epocale Seven di David Fincher e il testamento di John Kramer, con una leggera spruzzatina di critica socio-politica a gradire. E fin qui non ci sarebbe alcun problema. Quello che bisogna capire è come sia il gusto e, soprattutto, il retrogusto di questa ricetta certo salvifica, ma che poi tanto innovativa non è.
In Spiral, Chris Rock è Zeke Banks, esuberante ed integerrimo detective della omicidi - figlio di uno dei poliziotti più dotati e rispettati della città (il Marcus Banks di Sam L. Jackson), divenuto la pecora nera del distretto dopo aver denunciato e fatto arrestare il proprio partner -, che, assistito dal giovane poliziotto William Shank (Minghella), inizia ad indagare su una serie di omicidi ai danni di alcuni colleghi del dipartimento, il cui modus operandi farebbe pensare ad un redivivo Jigsaw o, meglio, ad un suo imitatore. La situazione precipita rovinosamente quando l'investigatore riceve un misterioso pacchetto... E’ da questo esatto punto che Spiral comincia a tessere la propria tela e a cucire una trama che, come ci si aspetterebbe da qualsivoglia capitolo di Saw degno di tale nome, promette fin da subito e punta irrimediabilmente verso un plot twist finale se non sconvolgente, perlomeno degno di nota.
E in questo, bisogna ammetterlo, Spiral fa bene il proprio lavoro, architettando un ultimo atto che, pur non dissuadendoci dal modificare il nostro verdetto finale a suo riguardo, porta l’intreccio e, al contempo, le (quasi certe) propaggini della saga su tutt’altro livello di epica (finalmente ritrovata) e presupposti. Difatti, non sarà certo un epilogo che cita a mani basse il Saw di James Wan - forse convincendoci anche dell’impossibilità, oggi come oggi, di poter replicare un film del genere, soprattutto con la stessa classe e lo stesso ingegno - e presenta, per giunta, gli unici veri momenti di tensione del racconto, a farci sorvolare sulla quantità di difetti, talora insostenibile, che infesta la pellicola. Infatti, in quanto improbabili, non tutti gli attori scelti, in particolare per quanto riguarda i ruoli principali, servono bene il proprio scopo e il proprio personaggio.
E’ questo il caso di Chris Rock che, complice un doppiaggio italiano sempre sopra le righe, non riesce a risultare (quasi) mai del tutto credibile nei panni del detective Banks, seppur stravagante e sui generis. Spesso, potrebbe addirittura essere confuso per un comic relief, visto il numero asfissiante di battute (ovviamente imbarazzanti e proverbiali) con cui tenta invano di strappare una risata. Battute che, come prevedibile, hanno l’unico effetto di sabotare e minare il tasso di “tensione” che si viene a creare. Discorso analogo è da dedicare a Max Minghella, che è il più “fuor d’acqua” di tutti, probabilmente a causa di un volto, ma anche di un’espressività non proprio memorabili. Il che va a ledere pesantemente, ma non del tutto, il colpo di scena che lo riguarda. Per fortuna possiamo contare su un Samuel L. Jackson che - alla stregua del Mark Strong recente - dove metti sta e svolge il suo lavoro in modo più che egregio.
Lavoro che anche solo la sceneggiatura e il racconto filmico in sé non riescono a portare a termine in maniera omogenea, costante e, soprattutto, sufficiente. Lo dimostra il fatto che il film non riesca ad accompagnare ad un incipit ad effetto, oltre che a dir poco ripugnante (in modo buono) - che presenta tutti quanti gli stilemi classici ed orrendamente viscerali della saga e della sua iconografia -, uno sviluppo convincente ed egualmente forte, che quindi non si limiti ad una mera e fiacca alternanza di due/tre tipi di evento, utile soltanto a preparare il terreno alla piega e al twist finali.
Infatti, come affermato sopra, è sul finale che l’opera riacquista un po’ della sua credibilità e di quel suo afflato tensivo, minaccioso e visceralmente nauseabondo. Questa nausea - che avrebbe dovuto essere costante ed opprimente per tutta la durata del film - ben si confà alla scelta di ambientare i crimini e le indagini in un clima di pestilenziale afa, durante cui, come ben sappiamo, gestire una grande città diventa praticamente impossibile.
Un aspetto, quest’ultimo, che avrebbe potuto costituire un ulteriore e facile elemento tensivo di lenta discesa nel caos più totale, ma che la macchina cinematografica (e da presa) di Darren Lynn Bousman accantona e relega fin da subito allo status di mero sfondo, per concentrarsi sul confezionamento di un prodotto che presenta tutte le carte in regola (e tutto quello che ci si aspetterebbe da un film di Saw) per “far tornare a bordo” gli appassionati della prima ora e rapire quelli di primo pelo.
E non solo a livello contenutistico (quindi sangue, splatter e mutilazioni varie), ma anche e soprattutto in termini tecnico-estetici. Via libera quindi alle tipiche inquadrature oblique, ad un montaggio (talora anche esageratamente) nervoso, specie nelle sequenze dei giochi, ad una fotografia che alterna toni e stili completamente diversi ad ogni cambio sequenza e ad una colonna sonora che, se si dimostra efficiente nella riproposizione dei temi classici della saga, dispone di temi e brani originali (prettamente trap/elettronici) che - all’infuori dell’ottima Spiral di 21 Savage ad accompagnamento dei titoli di coda - servono solo a pregiudicare irrimediabilmente la tensione di specifici segmenti.
Andando però oltre “quello che ci si aspetterebbe” e l’"impegno" di Bousman nel dar vita ad un film che si prende ben pochi rischi per accontentare tutti, sarebbe sbagliato da parte nostra non ammettere quanto artificiose ed eccessivamente manierate siano la regia e la messa in scena di Spiral. Una sintassi e composizione visiva, quella coordinata da Bousman, in cui ogni piano sequenza, ogni plongée, ogni movimento di macchina che si discosta da uno stile più classico e funzionale sembra fatto più per dimostrare di poterselo permettere e di poterlo fare, che per una vera e propria ragione semantica o concettuale e dunque funzionale ai fini del senso della pellicola.
Tuttavia, ancor prima di perdersi in vani e vacui estetismi, L’eredità di Saw e, in particolare, la sceneggiatura del duo Pete Goldfinger - Josh Stolberg (quest’ultimo, regista di quell’abominio di Hungover Games e temibile sceneggiatore del già citato Saw Legacy) si fanno sfuggire una vera e propria gallina dalle uova d’oro; forse uno dei discorsi potenzialmente più interessanti e che, se trattato con dovizia, avrebbe potuto distinguere e garantire al film un sapore del tutto diverso, magari migliore.
Infatti, l’idea del killer che uccide soltanto poliziotti corrotti (e nostalgici di un fantomatico “articolo 8”) avrebbe potuto coincidere ed aprire la strada ad una riflessione sulla violenza, sul potere e sugli abusi delle forze dell’ordine quanto mai attuale, specie dopo la primavera del Black Lives Matter.
Ciò nonostante, come detto sopra, Bousman & co. preferiscono puntare sul compitino derivativo e sulla convenienza del greatest hits di una saga che, cinematograficamente, ha smesso di essere interessante tanti anni fa. Spiral sarà il rilancio, parafrasando, che meritiamo, ma di cui non avevamo bisogno? E soprattutto sarà il reboot che riporterà gente in sala? Chissà... Intanto, giudichiamo quello che abbiamo fra le mani. Vale a dire un thriller/horror/splatter che odora di prologo, di anticipazione di un qualcosa di veramente completo ed inedito che (forse) vedremo prossimamente. Chiamatelo guilty pleasure, so bad it’s so good, film mediocre, ma una cosa è certa: morto (un) Saw se ne fa un altro. E chi ha detto che questo debba per forza essere un male? To be continued...
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