TITOLO ORIGINALE: Those Who Wish Me Dead
USCITA ITALIA: 3 giugno 2021
USCITA USA: 14 maggio 2021
REGIA: Taylor Sheridan
SCENEGGIATURA: Michael Koryta, Charles Leavitt, Taylor Sheridan
GENERE: thriller, azione, drammatico
L'ex smokejumper Hannah Faber soccorre un ragazzino inseguito da una coppia di spietati sicari, incaricati di ucciderlo prima che possa divulgare informazioni dannose per un gruppo di membri dell'establishment.
Dopo aver firmato la sceneggiatura del recente (e discreto) Senza rimorso di Stefano Sollima, Taylor Sheridan torna dietro la macchina da presa e confeziona un action thriller con sfumature neo-western che ne conferma in toto l'attuale smarrimento creativo. Un racconto, quello di Quelli che mi vogliono morto, che, quasi sulla falsa riga dell'ultimo film di Sollima, mette in scena lo scontro tra un'America corrotta e traviata, rappresentata da un Aidan Gillen in ottima forma (seppur macchiettistico) e da un Nicholas Hoult più debole, e l'America del futuro, così come proposta da un'Angelina Jolie che funge da solo mezzo pubblicitario, dal momento che, seppur tenti di piegarla in tutti i modi, Sheridan non fa i conti con il suo attuale status di stardom. Pur riuscendo ad immergere lo spettatore nei fatti narrati per tutta la prima mezz’ora, Quelli che mi vogliono morto deve ben presto scontrarsi con una serie di difetti connaturati e con un intreccio che non spicca certo per originalità, ma che al contempo non si adopera mai per palliare tale prevedibilità di eventi e di intenti con un “modus narrandi” accattivante e coinvolgente. A ciò si aggiunge infine una lampante incertezza rispetto alla propria natura politica, una costruzione pretestuosa di rapporti, un finale sciatto ed un comparto tecnico che si limita ad un "compitino" pulito e senza fronzoli. Non ci siamo.
Taylor Sheridan non se la sta certo passando bene in questo ultimo periodo. Specialmente da quando ha iniziato a condividere lo spazio al tavolo della sceneggiatura con colleghi che sono tutto fuorché talentuosi o brillanti e che, pertanto, sembrano quasi pervertirne e corromperne le attestate, oltre che ottime capacità compositive e di scrittura. Infatti, dopo uno splendido esordio alla narrazione cinematografica con lavori del calibro dell’epifanico Sicario ed una prosecuzione ancor più radiosa con opere come il sorprendente ed intimo I segreti di Wind River o il meraviglioso Soldado [sequel di Sicario], Sheridan ha recentemente co-firmato (con Will Staples) lo script di Senza rimorso, (più) action (che) thriller che conferma il sodalizio con l’italiano Stefano Sollima e lascia le porte aperte per una futura saga in cui il texano avrà forse un ruolo di prim’ordine (anche se, vista la performance in scrittura, speriamo proprio di no).
Detto ciò, se nella recensione di Senza rimorso ci siamo dichiarati (forse per l'alta stima nei suoi confronti, forse perché accettare la realtà sarebbe stato troppo doloroso) addirittura scettici rispetto ad un effettivo e diretto coinvolgimento di Sheridan nel progetto [a spuntarla, tra le due, è infatti la penna di Staples], in seguito alla visione di Quelli che mi vogliono morto - suo sesto film da sceneggiatore e terzo da regista - siamo costretti a ricrederci in toto e ad ammettere, non senza un pizzico di amarezza, che: sì, Taylor Sheridan sta ufficialmente attraversando un periodo di vero e proprio smarrimento e morte creativa.
Partendo da premesse del tutto incoraggianti, addentriamoci quindi nei meandri della nostra recensione e analisi della pellicola. Chi sono quelli che mi vogliono morto? E perché? E' presto detto. Il film segue infatti le orme di Connor Casserly (Finn Little), il figlio di un ragioniere forense responsabile di un'indagine che potrebbe portare a fondo alcuni membri illustri dell’establishment. Pertanto, quando i diretti interessati di questa sua inchiesta iniziano a muovere i primi, mortali passi, quest'ultimo fugge insieme al ragazzo e cerca rifugio dal cognato Harrison (Jon Bernthal), poliziotto del Montana sposato con la gestrice di un campo di sopravvivenza. Purtroppo, per la strada padre e figlio vengono attaccati da una coppia di assassini altamente specializzati, Jack e Patrick (rispettivamente Aidan Gillen e Nicholas Hoult).
Se il padre muore crivellato di colpi, il giovane riesce a salvarsi per una serie di coincidenze fortuite e viene soccorso dall’ex smokejumper, ora guardia delle foreste della regione, Hannah (Angelina Jolie), a sua volta, irrimediabilmente segnata da un terribile trauma. Una volta constatata la minaccia alle porte, il neoformato duo dovrà perciò decidere se scappare, cercare aiuto e possibilmente dare (alla stampa o alla polizia) le rivelazioni che il padre di Connor gli ha fornito poco prima della sua morte, oppure scontrarsi con i due killer che, intanto, hanno deciso di appiccare un incendio per distogliere le attenzioni dalla ricerca del ragazzo.
Forte(?) di un soggetto originale come non mai (chi vuol capire, capisca) tratto dall’omonimo romanzo di Michael Koryta (qui impegnato in sceneggiatura, insieme a Charles Leavitt e, ovviamente, allo stesso Sheridan), Quelli che mi vogliono morto mette in scena un racconto action (sul finale) thriller (in gran parte) con sfumature da neo-western che, quasi seguendo le tracce del già citato Senza rimorso, presenta allo spettatore prima un’America e poi un Montana corrotti e traviati, presi d’assalto da “maschi bianchi privilegiati” che “odiano questo posto”: i due killer; l’uno più cattivo dell’altro, talora memori di un passato schiavismo, che se la prendono e sarebbero disposti ad uccidere (e marchiare) donne (incinte e di colore) e bambini per soddisfare il volere di un capo afroamericano.
Il che è piuttosto sorprendente, per non dir fuorviante, politicamente deleterio o semanticamente confuso. Soprattutto considerato che il film si inserisce pienamente in un quadro produttivo, quello hollywoodiano, in cui, mai come adesso, il fattore politico, la rappresentanza e la rappresentazione sono stati tanto vitali e cruciali.
In contrapposizione a questa America marcia e aggressiva, troviamo l’America del futuro composta e proposta da Hannah/Angelina Jolie, Connor/Finn Little e da tutti coloro che li aiuteranno in questa fuga - che, solo in un secondo momento, diventerà una rivalsa -, in cui la natura giocherà un ruolo ambiguo e duplice, sospeso tra la furia e la bellezza, tra l’ostilità e la clemenza.
Questo è quello che chi scrive interpreta e legge tra le righe del testo esposto e sviluppato da Sheridan e soci a seguito di un’analisi più profonda e approfondita (rispetto alla mera patina da action thriller) che rivela una profonda confusione ed incertezza, da parte del film, riguardo alla propria natura e al proprio status politico: talora, conformista e reazionario fino allo sfinimento e alla didascalia, altre invece più superficialmente e limitatamente progressista.
Confusione ed incertezza che sono la naturale conseguenza di quella stessa patina action thriller parimenti caotica e dunque mediocre.
Infatti, pur riuscendo ad immergere lo spettatore nei fatti narrati più o meno per tutta la prima mezz’ora, Quelli che mi vogliono morto e, di conseguenza, il suo pubblico devono ben presto scontrarsi con una serie di difetti connaturati e con un racconto che non spicca certo per originalità, ma che al contempo non si adopera mai per palliare tale prevedibilità di eventi e di intenti con un “modus narrandi” accattivante e coinvolgente.
Ciò che propone Sheridan è invero un intreccio che si conferma trascurabile ed irrilevante in seguito e a causa, innanzitutto, della poca credibilità, a livello teorico e pratico, di gran parte dei personaggi e, quindi, di gran parte del cast. Non ultima la stessa Angelina Jolie, che Sheridan cerca di piegare all’estremo - rendendola una sconfitta amareggiata che intende redimersi, una donna traumatizzata e sola, “cazzuta” ma fragile -, tuttavia non facendo i conti con il suo attuale status di stardom - da eroina talmente indipendente e sempre vincente da divenire una mentore fiera e altera.
D’altro canto, chi invece risulta completamente adatto al personaggio non fa altro che interpretare un ruolo macchiettistico e canonico, assegnatogli soltanto in relazione al proprio passato attoriale. E’ questo il caso di Jon Bernthal che, guarda caso, veste i panni di un agente di polizia e di Aidan “Ditocorto” Gillen nel ruolo del villain principale (ciò nonostante, il suo è forse il personaggio più riuscito del mucchio).
Se a ciò uniamo poi una costruzione pretestuosa, per non dire inesistente di rapporti e relazioni, un finale sciatto e prevedibile che non solo "butta tutto in caciara" (attentando alla sospensione dell’incredulità del pubblico), ma sembra quasi ignorare la grammatica di base della narrazione e dell’affabulazione cinematografica (perché usare il "più debole" Nicholas Hoult e non Gillen?); ed un comparto tecnico che si limita al minimo indispensabile (dicasi anche "compitino"), le speranze di riuscita o di una benché minima inquietudine della macchina tensiva di Sheridan si azzerano definitivamente, sfracellandosi in modo davvero rovinoso. Ma, del resto, cosa ci si potrebbe mai aspettare da un film così poco ispirato e di fatto così notevolmente didascalico da fare del suo stesso titolo una, forse la più grande, didascalia?
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