TITOLO ORIGINALE: Coming 2 America
USCITA ITALIA: 5 marzo 2021
USCITA USA: 7 agosto 2020
REGIA: Craig Brewer
SCENEGGIATURA: Kenya Barris, Barry W. Blaustein, David Sheffield
GENERE: commedia
PIATTAFORMA: Amazon Prime Video
Minacciato dal generale Izzi, despota del regno di Nexdoria, il principe Akeem, ora re di Zamunda, deve ripartire per l’America per trovare il figlio illegittimo, futuro erede al trono. Sequel del cult movie targato John Landis, Il principe cerca figlio di Craig Brewer è un tentativo demotivato, spaesato, prevedibile ed inverosimile di capitalizzare sulla popolarità del ben più riuscito predecessore. Eddie Murphy e Arsenio Hall rivestono i panni di Akeem e Semmi e guidano un cast altalenante, non sempre in forma smagliante e quasi mai convinto di ciò che sta recitando, in una commedia sconclusionata e ancor più agée e antiquata del film a cui fa riferimento. Salvo una serie di cameo, piacevoli ritorni, riferimenti inaspettati e un paio di momenti di particolare ispirazione attoriale, Il principe cerca figlio è svuotato di tutto l’apparato argomentativo del film del ‘88 e raramente induce alla risata o al benché minimo sogghigno.
“(Il cinema americano è) Il migliore? E’ la cosa più blasfema che abbia mai sentito. Cosa abbiamo a parte i supereroi, i remake e i sequel di vecchi film che nessuno ha chiesto? Se un film va bene, perché rovinarlo?! Ma ci sono delle eccezioni”. La pseudo riflessione - estremamente generica, vaga e vacua - che avete appena letto è del principe Lavelle Junson, uno dei protagonisti de Il principe cerca figlio (o, in originale, Coming 2 America), seguito diretto del cult movie di fine anni ‘80, Il principe cerca moglie. Seguito, quello per la regia di Craig Brewer, che - con riferimento alla riflessione posta in incipit - non rappresenta tanto l’eccezione quanto “la mediocrità che conferma la regola” (rafforzando dunque quell’idea di inutilità e superficialità di sequel e rifacimenti vari).
Prodotto e distribuito - in Italia, su Amazon Prime Video - poco più di 30 anni dopo il classico firmato John Landis [che è del 1988], Il principe cerca figlio avrebbe potuto essere una reunion come tante altre; una reunion che prendesse il via e ispirazione dai gloriosi fasti e dalle qualità e peculiarità del capitolo originale, per dare respiro ad un'avventura nuova di zecca. Purtroppo, non è questo il caso di Coming 2 America, che si presenta più che altro come una rimpatriata tra vecchi amici con annessa riproposizione - perlopiù pedissequa - del film culto in un recital rigido, impersonale ed insipido. Il teatrino parrocchiale, ma con un cast stellare e potenzialmente irresistibile ed un budget non certo risicato - tanto per capirci. Il che non sarebbe poi un gran delitto, se solo ci stessimo riferendo ad un B- o Z-movie creato ad hoc ed ex novo da qualche regista mestierante o aspirante tale.
Peccato che Il principe cerca moglie fosse tutt’altro che una pellicola di bassa lega o mal riuscita (quanto più il cult anni ‘80/’90 per antonomasia), che il team produttivo dietro questo sequel non sia proprio quello di un qualsiasi film fan made [la Eddie Murphy Productions e la Paramount sono tra i principali attori, in tal senso] e che, pure quando si impegna a copiare spudoratamente il predecessore, la scrittura de Il principe cerca figlio sia il perfetto esempio di ciò che gli anglo-americani definiscono “lazy writing”.
Questo tipo di narrazione, così svogliata e pretestuosa, si palesa e fa largo fin dallo stesso soggetto del film.
Alla morte del padre (James Earl Jones), Akeem Joffer (Eddie Murphy) diventa sovrano di Zamunda. Questi ha avuto tre figlie dalla regina Lisa (Shari Headley), quella “moglie” che ha cercato e trovato nel Queens 30 anni prima, ma - purtroppo per lui e il conservatorismo degli usi e costumi zamundiani - nessun figlio che possa ereditare il trono quando anche lui passerà a miglior vita.
Minacciato dal generale Izzi (Wesley Snipes) - despota vanesio e apparentemente sanguinario del regno confinante di Nexdoria, ancora furioso dopo che questi si è rifiutato di sposare la sorella Imani (Vanessa Bell Calloway): la pretendente a cui, nel primo film, il fu principe aveva chiesto di saltare su una gamba, facendo il verso dell’orango -, Akeem parte nuovamente per l’America, dove spera di ritrovare il figlio Lavelle (Jermaine Fowler), di cui Semmi (Arsenio Hall) gli rivela l’esistenza, concepito illegittimamente con una donna (Leslie Jones) conosciuta in un bar del Queens durante il suo primo viaggio - evento di cui il regnante non ha memoria, dal momento che era stato drogato dalla stessa.
Partendo dunque da questo incipit narrativo che sembra quasi il parto di un gruppo di amici al tavolo di un bar, Craig Brewer dietro la macchina da presa e il trio sceneggiativo Barris-Blaustein-Sheffield [questi ultimi due già autori dello script del primo] sviluppano una classica e consueta commedia dell’equivoco (come la pellicola originale, del resto) che, tolti una serie di cammeo, piacevoli ritorni, riferimenti inaspettati [anche a Una poltrona per due] e un paio di momenti di particolare ispirazione attoriale, raramente induce alla risata o al benché minimo sogghigno. Un’ilarità timida e sporadica - quella che accompagna le vicende di Akeem & co. - che si spegne definitivamente quando Il principe cerca figlio tenta di scimmiottare, per non dire plagiare quanto prodotto da John Landis trent’anni or sono.
Scopiazzature ed emulazioni che non possono essere nemmeno lette come un accorato e affettuoso omaggio alle origini e alle proprie radici, viste la complessiva assenza di una vera e propria temperatura umoristica e le distanze concettuali prese da questo sequel nei confronti del predecessore.
Difatti, Il principe cerca moglie raccontava la storia di un principe (quindi di un riccone) che si immergeva dalla testa ai piedi nella miseria e nella realtà disagiata ed indigente, quasi ghettizzata, del Queens, dando adito, di conseguenza, ad un incontro/scontro (socio-morale) tanto insolito quanto efficace, e facendosi beffe del desiderio di conquista della dimensione sociale da parte delle comunità afroamericane. Ma è anche vero che il film del ‘88 vedeva all'obiettivo una figura come John Landis - il perfetto esempio di artigiano della regia, che riesce a dotare il film di una propria autorialità non tanto per la tecnica impiegata, bensì per il lavoro che questi conduce su dettagli, pieghe del racconto e scenografie, le quali diventano un unicum con i personaggi, arrivando a muoversi, interagire e respirare con loro - e disponeva, per giunta, di un’idea forte e chiara e di una sceneggiatura solida ed incorruttibile.
Viceversa, ne Il principe cerca figlio è praticamente impossibile individuare un argomento cardine o il benché minimo oggetto verso cui si vorrebbe muovere una potenziale critica, parodia o satira. Gentrificazione, transgendering, razzismo, trumpismo, femminismo, #metoo, politically correct: molte sono le questioni portate sul piatto da Brewer e soci, altrettante le occasioni in cui la pellicola avrebbe potuto condurre una riflessione lucida ma beffarda sull’attualità dell’industria cinematografica [il fallimento di tali intenzioni lo trovate proprio in apertura d’articolo]. Questioni e riflessioni, queste ultime, che tuttavia non si allontanano più di tanto dal mero status di frecciatina pepata e scorretta, ma inconcludente e superficiale ai fini dell’intreccio, o pretesto propulsivo per l’incedere della vicenda.
Tale contraddizione è estendibile al processo di caratterizzazione dei personaggi - vecchi e nuovi, soprattutto - che, a livello di rapporti, problematiche e contesto (e con riferimento proprio ad una battuta del film), sembra quasi opera degli autori di Keeping Up with the Kardashians. A tal riguardo, dove il cult di Landis faceva sprofondare Akeem e Semmi in un mondo a loro estraneo (e perciò promotore di gag entrate nel patrimonio collettivo), Il principe cerca figlio ci presenta una combriccola di poveri (Lavelle & co.) che scoprono di essere ricchi da un giorno all’altro. E le cui titubanze, incertezze e acrimonie nei confronti dell’uomo che li ha abbandonati (Akeem) vengono fugate dalla semplice ed accidentale apertura di una valigetta. Tutto ciò a beneficio di un racconto che - ancora una volta -, a differenza dell’antenato, non sa prendersi tempi e spazi per costruire un intreccio ragionato e razionale ma, ciononostante, naturale. Come minimo.
Pur contenendo qualche (anche se rara) volgarità, Il principe cerca moglie non aveva certo bisogno di battute sul pene di Eddie Murphy et similia, di particolari gimmick o di personaggi demenziali (vedi il generale Izzi) per far ridere lo spettatore. Infatti, già di per sé, il contesto e il contatto con questo da parte dei due zamundiani riuscivano a dar vita a chiasmi e prime volte sì ingenui, ma anche profondamente esilaranti. Purtroppo, questo aspetto chiave non sembra esser stato recepito né dal cast originale (Murphy in primis) né tantomeno dal duo originale di sceneggiatori, che preferisce orientarsi verso una comicità - oltremodo fallimentare - a là Il professore matto (1996) e sequel, due dei loro (e di Murphy protagonista) peggiori lavori.
A questa scrittura indolente ed accidiosa, si somma successivamente una regia statica ed impersonale, quando non è impegnata ad emulare i movimenti di macchina di Landis, un comparto estetico barocco e sfarzoso, che però guarda di buon occhio il lavoro svolto da Ryan Coogler nel ben più riuscito Black Panther (in particolare, per quanto riguarda trucco e costumi), una CGI inquietante - utilizzata anche per ringiovanire Murphy e Hall - ed un cast discordante, non sempre in forma smagliante e quasi mai convinto di ciò che sta recitando - emblematico, a proposito, il senso di implausibilità concernente il rapporto padre-figlio tra Akeem e Lavelle. Ed è davvero un crimine che il risultato finale sia questo, perché si percepisce che, nel girarlo, troupe e attori si siano divertiti un mondo [per ciò aiuta un classico, ma anche estremamente desueto, montaggio delle "papere" sul set, coevo ai titoli di coda].
Sfortunatamente, cotanto entusiasmo non si è impresso così a fondo nel prodotto fatto e finito e bisogna dunque valutare quanto disponibile alla visione e quello che è. Vale a dire una pellicola congelata nel 1988, forse fin troppo, che campa di rendita e di immagini precostituite. Ma che, al contempo, tenta di attualizzare le proprie prospettive di racconto, capitombolando rovinosamente. Una commedia ancor più agée e antiquata del film a cui fa riferimento - tuttora stimolante e umoristicamente valido - che, tanto per non farsi mancare nulla, decide di chiudere sulle note (poco poco abusate) di un We Are Family rimaneggiato per l’occasione.
Certo, non ci si poteva aspettare un prodotto qualitativamente al pari di Landis, ma nemmeno una pellicola copia carbone, accessoria, demotivata, spaesata, prevedibile ed inverosimile non tanto per il cosa, quanto per il come. Che, salvo i momenti in cui non è impegnata ad essere un gigantesco "spottone" di marchi vari, sembra quasi prendersi in giro e psicanalizzarsi senza volerlo.
“Sembri stanco, padre”. Queste le parole con cui una delle figlie di Akeem punzecchia il genitore in una delle prime sequenze. "Touché" è quello che si dice in casi come questo.
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