TITOLO ORIGINALE: Fantasia
USCITA ITALIA: 12 aprile 1946
USCITA USA: 13 novembre 1940
REGIA: vari
SCENEGGIATURA: vari
GENERE: animazione, musicale
PREMI: PREMIO OSCAR alla CARRIERA a Leopold Stokowski, Walt Disney, William E. Garity e J.N.A. Hawkins
Sette anime diverse per setti corti che hanno fatto la storia dell'animazione, nel film Disney più coraggioso e atipico di tutti. Astrazione sonoro-visiva, un balletto delle stagioni, un apprendista stregone forse un po' troppo esuberante, un viaggio all'origine della Terra, una giornata degli dei olimpici, una rappresentazione antropomorfa delle ore del giorno e un rito satanico che si trasforma in benedizione visiva sono Fantasia. Inizialmente inteso come cortometraggio di Topolino, il terzo classico Disney è un concentrato di tecnica, contenuti, temi, simboli, spunti visivo-rappresentativi e musica, mai così importante prima d'ora. Fantasia è uno dei punti più alti dell'animazione occidentale; un'opera complessa e profonda che va oltre le apparenze infantili, per sfociare nell'arte più pura e accecante. Ciò che si dice un capolavoro.
1. Capacità mentale di inventare situazioni e figure che non esistono realmente o di elaborare quelle reali; 2. Pensiero o immagine che non ha riscontro nella realtà; [..] 4. In musica, composizione strumentale caratterizzata da libertà tematica e formale.
il Sabatini Coletti
Per quanto riguarda il cinema, una definizione possibile potrebbe essere questa: terzo classico Disney, datato 1940, scritto e diretto da un team composito di creativi e mestieranti; progetto dalle dimensioni ciclopiche e dall’importanza storico-cinematografica ancor più imponente, nato per fini commerciali e d’immaginario, inteso poi secondo principi virtuosi e filantropici; pellicola in origine snobbata e disdegnata da pubblico e critica, rivalutata col tempo e grazie alle sue molteplici riedizioni; fautore di parodie, spin-off, addirittura di un sequel. In una parola, Fantasia!
Ma facciamo qualche passo indietro nel tempo e torniamo al lontano 1936. Walt Disney riteneva che Topolino - niente meno che il simbolo della sua casa di produzione - stesse perdendo un po’ di smalto e popolarità tra gli spettatori - che lo vedevano come un personaggio ormai fin troppo mite e serio, preferendo a lui figure più spensierate e sventurate come Paperino e Pippo - e perciò necessitasse di una ventata d’aria fresca. A tal proposito, questi decise dunque di renderlo il protagonista assoluto di un corto, dal titolo L’apprendista stregone, ispirato alla ballata di Goethe, con, come colonna sonora, il poema sinfonico di Paul Dukas - a sua volta, influenzato dal racconto del tedesco. Egli voleva produrre un corto diverso e innovativo, dove “la pura fantasia si rivela… l’azione controllata da un motivo musicale ha grande fascino nel regno dell’irrealtà”. Fantasia e irrealtà che motivarono l’adesione al progetto di Leopold Stokowski, l’allora direttore dell’orchestra di Filadelfia, il quale, dopo aver stretto un accordo con Disney, mise insieme un’orchestra sinfonica completa da utilizzare per il commento musicale del corto. Cortometraggio che, da lì a qualche tempo, si sarebbe trasformato in qualcosa di totalmente diverso e contemporaneamente ancor più coraggioso e impegnativo. Infatti, l’idea di un feature film si fece largo nella mente di Walt e Roy, il fratello, una volta stimato che un semplice corto non avrebbe certamente riparato agli ingenti costi di produzione - che già allora ammontavano ad un totale di 125.000 dollari. Nacque così l’idea dietro la creazione di Fantasia, per Walt “un nuovo concetto, un gruppo di numeri separati messi insieme in una singola presentazione [...] un concerto, qualcosa di nuovo e di alta qualità”. Un progetto estremamente pericoloso per l’integrità economica e commerciale della Disney che, a causa della sua natura sperimentale e senza precedenti, lasciava tutti interrogati e dubbiosi. Ma, come si dice, “la fortuna aiuta gli audaci” e proprio l’audacia aiutò fortunatamente la realizzazione di Fantasia, ad oggi uno dei concept Disney più singolari, ma, per questo, eccezionalmente riusciti.
Lo scrittore Lewis Carroll diceva: “Certe volte ho creduto fino a sei cose impossibili prima di colazione”. Bene, in Fantasia queste “cose” (o corti) non sono sei, ma sette. La pellicola [il primo vero e proprio esempio disneyano di commistione e integrazione di elementi animati e live action] è concepita infatti come un concerto/spettacolo vero e proprio - con apertura del sipario, entrata dell’orchestra e del suo direttore, introduzione di quanto suonato e “immaginato”, intermezzo e chiusura del sipario -, durante cui il pubblico vedrà, prendendo in prestito le parole del conduttore Deems Taylor, “le immagini, i disegni e le storie che la musica ha ispirato alla mente di un gruppo di artisti”. Immagini, disegni e storie suddivisi in tre generi principali: sempre Taylor, “il genere che racconta una storia precisa, quello che, pur non avendo una trama specifica, dipinge una serie di immagini più o meno definite e, infine, la musica che esiste come fine a sé stessa”, detta anche “musica assoluta”. E’ con questa terza categoria che inizia il nostro viaggio in Fantasia. Buon ascolto!
Astrazione, suggestione e colore sono le tre parole che, più di tutte, definiscono alla perfezione questo primo “corto” di Fantasia - il quale vede la luce, in seguito ad una dissolvenza incrociata che sembra fondere animazione e realtà. Una creazione totalmente utopistica del suono che diventa forma e visione [automatico il collegamento al lontanamente futuro Pink Floyd - The Wall di Alan Parker, 1982], confacendosi perfettamente e coerentemente con una presentazione precedente dell’orchestra reale e tangibile, i cui strumenti - in base alla gravità o leggerezza del proprio suono - vengono tinteggiati con il semplice uso di contrasto e luci colorate. Chiudere gli occhi durante un concerto e lasciare che la propria mente vaghi e dia vita a immagini e figure astratte: questo lo spunto inventivo dietro un'ouverture che - tra archi che appaiono prima come note in un cielo trasformato in infinito pentagramma, poi come squarci di luce che fendono l’oscurità, prime e seconde voci, riverberi, fontane di musica e cascate di suono - è il riassunto esemplare di un’opera presentatasi, fin da subito, come “sinfonia visiva”.
Un’opera odiata, definita noiosa all’infuori di sinuosità ed eleganza dal suo stesso compositore, Lo schiaccianoci di Pëtr Il'ič Čajkovskij del 1891-1892 è uno dei balletti più famosi di sempre. Basato sulla versione edulcorata di Alexandre Dumas dell’originale Schiaccianoci e il re dei topi di Hoffmann, la composizione di Čajkovskij e la sua suite trovano in Fantasia una delle loro trasposizioni cinematografiche più riuscite (a differenza, invece, del recente e sempre disneyano Lo schiaccianoci e i quattro regni, 2018), nonostante il metraggio in questione gli sia formalmente distante e infedele. Sei scenari per sei sezioni - ognuna illustrante una coreografia del balletto originale - è la struttura di un corto, inizialmente pensato come semplice sinfonia allegra [una tipologia di cortometraggi che la casa del Topo utilizzava per sperimentare nuove tecniche, nuovi personaggi e nuove storie allo scopo di perfezionare l’arte dell’animazione, dove si dava più importanza alla musica che all’azione e in cui fecero la loro prima apparizione personaggi del calibro di Paperino], che, ciò nonostante, man mano che si sviluppa, si tramuta in un vero e proprio spettacolo di tonalità, movimenti, simbologie e allegorie visive. Fatine che, deponendo rugiada su piante, ragnatele e fiori, risvegliano la foresta; funghi che eseguono una danza buffamente ipnotica; pesci che, accortisi della presenza di una macchina da presa e di uno spettatore, si fanno rincorrere, per poi pavoneggiarsi vanitosamente sono solo alcuni degli “attori” di un’autentica opera d’arte animata che esplode in un tripudio colorato e cangiante, raffigurante le stagioni e i loro colori, in cui, malgrado i soggetti, il rimando alle origini ottocentesche della suite sono ben evidenti.
E arriviamo dunque al corto più memorabile e verso cui la mente di ognuno di noi vaga, quando ripensiamo a Fantasia. La storia di un Topolino - apprendista, intraprendente e ansioso di imparare il mestiere, dell’arcigno e minaccioso stregone Yen Sid - che, stanco di riempire e vuotare secchi d’acqua, decide di sottrarre il cappello magico del maestro e dare vita ad una scopa-servo che faccia le faccende al posto suo è ormai entrata a far parte dell’immaginario collettivo. Ispirato ad un racconto risalente “ad almeno 2.000 anni fa” (sempre Taylor), L’apprendista stregone [in cui, appare per la prima volta la versione attuale (con le pupille) e maggiormente riconoscibile del personaggio di Topolino] è il corto che più si avvicina al canone disneyano dell’epoca, in materia di narrazione e stile. Comicità slapstick, dramma stemperato da qualche elemento stravagante e insolito e contesto fantasy - che è e sarà fil rouge di gran parte della produzione cinematografica della casa del Topo - si fondono per dare vita ad una vicenda dalla morale molto semplice e che diverte prodigiosamente. Discorso a parte è da riservare al comparto tecnico-visivo che, se per buona parte del metraggio sembra rispettare un modello d’animazione innocente e candido, è fautore di alcuni momenti veramente arditi, soprattutto per un pubblico di bambini (come vedremo poi in La sagra della primavera e in Una notte sul Monte Calvo). Mi riferisco, in particolare, alla scena in cui Topolino, con l’intento di fermare la scopa da lui incantata, la fracassa a colpi di accetta. Infatti, nonostante questa azione venga vista servendosi delle ombre di entrambi, essa viene corredata da un rosso e blu vividi e violenti che sfociano, per contro, in un bianco e nero spenti e contrastanti con la vivacità cromatica anteriore e in un commento musicale molto simile ad un respiro affannato e morente. Il corto impone pertanto un parallelismo poetico tra ciò che accade alla scopa (rappresentante l’elemento che deve il suo movimento proprio alla cadenza della colonna sonora, nonché alla magia dell’apprendista) e la morte di musica e colore - il che porterebbe involontariamente all’annientamento artistico della stessa “sinfonia visiva”.
Abbandonato il mondo degli incantesimi e delle scope incantate, nella traslazione visiva de La sagra della primavera - balletto che Stravinskij compose per esprimere la vita primitiva -, Fantasia compie una brusca deviazione di tema e contenuti. Dopo averci abituato ad astrazioni di suoni e musica, balletti naturalistici e un topo apprendista stregone, il corto in questione riporta lo spettatore “con i piedi per terra”, raccontando, da un punto di vista prettamente scientifico, l’origine del nostro pianeta e il racconto degli anni di vita dei suoi primi veri abitanti, i dinosauri [secondo i piani, inizialmente il corto doveva narrare la genesi dell’uomo, ma la Disney decise di cambiare rotta per evitare polemiche da parte dei creazionisti]. Come afferma lo stesso Taylor, “una storia, quella che state per vedere, che non è frutto dell’immaginazione, bensì un’accurata rappresentazione di ciò che la scienza pensa” sia accaduto. La storia, dalla forma quasi documentaristica, di una genesi che vede come scintilla di creazione e forma filmica d’espressione tanto la musica di Stravinskij quanto le illustrazioni - in particolare quelle dei dinosauri, scientificamente accertate e realistiche. Un progressivo zoom, che si apre su un’inquadratura larghissima della Via Lattea nella sua vastità, solitudine e misteriosità e ha, come punto d’attrazione e arrivo, uno stadio primordiale del nostro pianeta - tra eruzioni vulcaniche, venti impetuosi, mari di lava e piogge di meteoriti - battezza una focalizzazione, a livello di messa in scena, dal generale al particolare. Questa viene poi riproposta nella sequenza successiva che, registrando un’ulteriore riduzione focale, è volta al racconto delle prime forme di vita subacquee che, circa un miliardo di anni più tardi, usciranno in superficie, ove si stanzieranno definitivamente. Inizia così l’era dei dinosauri, narrata e rappresentata dal corto in tutta la sua ferocia e brutalità [vedasi la sequenza di lotta tra il tyrannosaurus rex e lo stegosauro, per cui vale lo stesso discorso de L’apprendista stregone] e secondo il principio del cerchio della vita - “dove c’è una preda ci sarà sempre un predatore”. In definitiva, un’opera forse leggermente dilatata, ma che, ciò nonostante, si afferma con forza e carattere all’interno del mosaico Fantasia.
Dopo un breve intermezzo, in cui il presentatore ricorda allo spettatore l’importanza della colonna sonora - la quale si concretizza nella forma di un timida linea retta che subisce dei mutamenti in base allo strumento suonato - nell’economia di un film in generis [prima di allora, ritenuta un elemento marginale e secondario], il classico Disney ci riporta su dimensioni più idilliache e fantastiche. E’ questo il caso de La sesta sinfonia di Beethoven, La Pastorale che, composta ispirandosi a luoghi campestri e bucolici a lui familiari, viene qui reinterpretata in ottica ellenico-mitologica, dando vita al racconto di una giornata tra gli dei dell’Olimpo. Ci ritroveremo dunque ad empatizzare quando uno dei figli di Pegaso riuscirà a spiccare il volo per la prima volta, insieme ai suoi fratelli; ad emozionarci durante il corteggiamento (abbastanza erotico, a livello di raffigurazione e animazione) di un gruppo di centauri e centaurette; a ridere gioiosamente insieme ad un Bacco alticcio ed esuberante in uno dei suoi tipici Baccanali; a spaventarci, per poi divertirci di gusto, all’arrivo di un Giove che inizia a scagliare fulmini, forgiati da Vulcano; e a rimanere estasiati dall’ambientazione tutta, simboleggiata dagli dei Iris, Apollo, Notte e Diana. Oltre ad uno stile d’animazione maturo e ricco, il corto colpisce per il suo valore artistico, soprattutto poiché calderone comprensivo di tecniche, stili, avanguardie e poetiche artistico-pittoriche: lo studioso Robin Allan riconosce, in questo frammento soltanto, un repertorio d’immagini che rimanda a correnti quali simbolismo, art nouveau ed espressionismo, per citarne alcune.
Cotanta ricchezza e pregio artistico-visivo precedono un corto certamente significativo ai fini del film, tuttavia forse fin troppo duraturo e proverbiale. Un omaggio alle comiche anni ‘20 [alla Charlie Chaplin o Buster Keaton per intenderci] è la trasposizione visivo-immaginifica disneyana de La danza delle ore, celebre balletto tratto dall’opera di Ponchielli, La Gioconda del 1876. Una lode, quella dei creativi Disney, impostata come un vero e proprio spettacolo teatrale, tutta basata sul corpo e sulla sua pesantezza, animati ed interpretati, a loro volta, da quattro tipi di animali, raffiguranti ognuno un periodo della giornata. Un balletto leggiadro e garbato di un gruppo di struzzi fa da risveglio e introduzione ad una sezione centrale, contraddistinta da una coreografia impacciata e fisicamente comica da parte di ippopotami ed elefanti (rispettivamente pomeriggio e sera), che si chiude infine su note prima spaventose, poi frenetiche e disorganiche, con l'apparizione di tenebrosi coccodrilli (rappresentanti, in modo fin troppo didascalico, le tenebre della notte, con tanto di mantello vampiresco). Nonostante il corto abbia il grande merito di ribadire ancora una volta le potenzialità immaginifiche infinite della tecnica d’animazione, questo appare niente più che un semplice e simpatico frammento di distensione.
La Disney è una major che, in fatto di corti e film animati, ha sempre sperimentato e innovato. Esempio lampante di tale sperimentazione, oltre allo stesso Fantasia, è quest’ultimo corto che, accoppiando due melodie completamente antitetiche - una rappresenta l’oscurità, il male e la morte; l’altra la vita, la bellezza e la speranza -, dà vita ad una delle creazioni più memorabili e inquietanti dell’intero parco animato disneyano. Una notte sul Monte Calvo è forse uno dei primi esempi di cinema che entra in contatto con il tema spiritico - che prenderà poi il via e farà la sua fortuna qualche decennio dopo con L’esorcista (1973). Lo schermo viene invaso interamente dalla figura del demone Chernobog - rappresentato sempre dal basso verso l’alto per valorizzarne imponenza e malvagità - che, nella notte di Valpurga, richiama a sé i suoi seguaci. Fantasmi di cavalieri, ballerine nude gettate nel fuoco, piccoli demoni che vengono trasformati in lupi, maiali e caproni sotto lo sguardo compiaciuto del loro padrone: il corto è forse uno dei picchi più alti - se non l'unico -, in fatto di orrore e turbamento, mai raggiunti dalla casa di Topolino. Ad un certo punto, però tale profluvio di corpi e riti satanici viene interrotto e zittito da alcuni rintocchi di campana che hanno, come obiettivo principale, l'introduzione dell’ultimo frammento del film, ossia quello dedicato all'Ave Maria di Schubert. In questa seconda sezione, un corteo di monaci sfila in una foresta paludosa, per arrivare ad chiesa arroccata e gotica [alla Caspar David Friedrich] persa tra gli alberi, la quale si presenta sia come parte integrante del paesaggio circostante (di cui adotta sinuosità e altezza), sia come spiraglio che, con l’aiuto di una carrellata lenta e riflessiva, concede allo spettatore la visione più incantevole e paradisiaca dell’intero lungometraggio: un panorama dal completo idillio naturalistico rappresentante, secondo la logica rappresentativa e narrativa, la summa e poetica dell'ecosistema Fantasia.
La commovente cartolina d’addio (l’Ave Maria di Schubert) di una delle opere assolute dell’animazione occidentale. Fantasia è un film rivoluzionario, complesso e profondo che va oltre l’apparenza bambinesca e infantile, rivelandosi anticipatore di moltissimi leitmotiv narrativi futuri della major. Abbiamo, per esempio, il cerchio della vita in pieno stile Bambi (1942) o Il re leone (1994), l’ambientazione e il contesto greco che si sprigionerà a piena potenza in Hercules (1997), i dinosauri che saranno al centro del 38esimo classico omonimo (2000) e l’influenza gotica, così preponderante ne Il gobbo di Notre Dame (1996). Purtroppo, nonostante alcuni commenti entusiastici da parte di critici cinematografici e musicali e il forte intento pedagogico, allora, la pellicola risentì fortemente dello scoppio della seconda guerra mondiale che ne impedì un rilascio sul suolo europeo. A ciò si sommarono gli elevatissimi costi di proiezione [il film fu proiettato originariamente in pochissimi teatri, poiché richiedeva un sistema di riproduzione audio estremamente all’avanguardia, sviluppato per l’occasione dagli stessi tecnici Disney e denominato proprio Fantasound], la durata ostica di due ore - contro la classica ora e mezza - e qualche controversia e mal interpretazione di alcuni messaggi - soprattutto dell’ultimo frammento -, per decretare un mezzo flop commerciale del progetto. Fortunatamente, grazie alle numerose riedizioni e ridistribuzioni al cinema e in home video, questo coraggio formato pellicola (peccato che la Disney presente, al di fuori della Pixar, non sia più così) è riuscito ad ottenere il successo e clamore meritati. A prescindere da ciò, tuttavia, anche solo la qualità e il pregio di corti come Lo schiaccianoci, L’apprendista stregone e Monte Calvo/Ave Maria, ci costringono, ben volentieri e consapevolmente, a definire il terzo classico Disney un capolavoro e pietra miliare della storia. Tuttavia, abbandonando per un attimo tali epiteti altisonanti, una cosa è certa: Fantasia è, di certo, il più bel suono che avrete mai la possibilità di vedere.