TITOLO ORIGINALE: The Witches
USCITA ITALIA: 28 ottobre 2020
USCITA USA: 22 ottobre 2020
REGIA: JRobert Zemeckis
SCENEGGIATURA: Robert Zemeckis, Kenya Barris, Guillermo del Toro
GENERE: avventura, commedia, fantastico, orrore
Una nonna e suo nipote si rifugiano in un hotel di lusso nel profondo Sud per sfuggire alla maledizione di una strega. Peccato per loro, l'hotel è stato scelto dalla Strega Suprema come luogo di ritrovo dell'annuale riunione della congrega stregonesca. Robert Zemeckis e Guillermo Del Toro sono le menti dietro la creazione del secondo adattamento cinematografico del romanzo per bambini di Roald Dahl. Un blackwashing dei protagonisti, un salto indietro nel tempo e un cambio radicale di ambientazione sono solo alcuni dei cambiamenti ingiustificati che l'opera apporta alla materia originale - di cui viene però conservata (sfortunatamente) struttura ed essenza letteraria. Storia di formazione sull'accettazione di sé stessi, ma anche gigantesco prologo semplicistico e concettualmente povero, la pellicola può contare su un comparto tecnico di tutto rispetto e interpretazioni convincenti, che riabilitano in parte una sceneggiatura accondiscendente e pretestuosa ed una messa in scena fin troppo tradizionale. In breve, l'opera minore e difettosa di un autore rivoluzionario che ha vissuto e sta vivendo tuttora un periodo di semi-caduta nel dimenticatoio.
Chi ha paura delle streghe? Una domanda a cui soltanto nonna (Octavia Spencer), suo nipote e i suoi amichetti potrebbero rispondere. Posto ciò, ancor prima che una domanda, Chi ha paura delle streghe? è anzitutto il titolo della commedia fantasy, datata 1990, del britannico Nicolas Roeg, nonché primo adattamento del romanzo per bambini di Roald Dahl, Le streghe. Opera, quella di Dahl, che recentemente ha ispirato quei due geniacci di Robert Zemeckis (regista pluripremiato di successi come Ritorno al futuro, 1985, Chi ha incastrato Roger Rabbit?, 1988, Forrest Gump, 1994, Cast Away, 2000, e tanti altri) e Guillermo Del Toro (cineasta premio Oscar di pellicole come Hellboy, 2004, Il labirinto del fauno, 2006, e La forma dell’acqua, 2017) nella produzione di un ennesimo adattamento - attualizzato e “americanizzato” -, dal titolo omonimo.
Anne Hathaway e Octavia Spencer sono le protagoniste incontrastate di questa moderna trasposizione del libro di Dahl, ambientata in un mondo in cui la magia nera esiste e ha, come scopo principale, la “topificazione” di qualsiasi bambino presente sulla faccia della Terra. La trama sarà nota ai più: dopo la morte dei genitori in un incidente automobilistico, il piccolo eroe protagonista, rimasto orfano, viene adottato e si trasferisce dalla nonna. Vecchietta cordiale e apprensiva di giorno, sacerdotessa voodoo di notte, sarà proprio lei a guidare il nipote nel riconoscimento delle streghe e nella protezione dalle loro perfide maledizioni e, sempre lei - in seguito all’incontro proprio con uno di questi esseri malefici e al fine di scampare da qualsiasi tipo di incantesimo o cattiveria - a decidere di trasferirsi (ovviamente, con il piccolo nipote), per un breve lasso di tempo, in un lussuoso hotel del profondo Sud. Coincidenza vuole però che proprio suddetto albergo sia stato scelto dalla Strega Suprema (Anne Hathaway) come luogo di ritrovo dell’annuale riunione stregonesca della congrega.
Tuttavia, quando parlo di streghe, limitate il vostro immaginario popolato da vecchie spaventose che regalano mele avvelenate a fanciulle perse nel bosco o maledicono bambine per non essere state invitate alla loro festa di battesimo. Le streghe del libro di Dahl e del lungometraggio di Zemeckis sono donne di bell’aspetto ed apparentemente incantevoli che nascondono la loro crudeltà e spaventosità sotto quintali di make-up, parrucche e piccoli ritocchi estetici: esse sono in realtà calve, non hanno mani e piedi normali, bocca e narici, per contro, sono enormi. Non spaventatevi, il tutto è perfettamente child-friendly, così come child-friendly è lo Zemeckis dei primi anni 2000, ossia quello che si rese conto delle potenzialità espressive e creative dell’animazione, confezionando lavori visivamente strabilianti come Polar Express (2004), La leggenda di Beowulf (2007), e A Christmas Carol (2009). Ed è proprio questa esperienza animata ad aver influenzato la direzione del precedente ed ingiustamente disdegnato Benvenuti a Marwen (2018) e di questo Le streghe. Piani sequenza magistralmente costruiti ed inquadrature composite e consapevoli dietro cui si percepisce la mano e l’occhio del cineasta sono la base fondante scene e sequenze interamente votate all’azione più frenetica e rocambolesca, vibrante e strutturata, dinamica ed intrattenente - uno dei tratti essenziali dell’animazione -, sebbene abbastanza classica (forse in maniera eccessiva) nella mise-en-scène. In certi casi, inoltre, si ha come l’impressione che Zemeckis si sia approcciato alla macchina da presa, in vista di una possibile e futura resa 3D del film (purtroppo impossibile, dal momento che quest'ultimo ha saltato le sale).
Chiudono il cerchio pregevole e memorabile del lato tecnico, una fotografia dorata e idealizzata, talvolta quasi color pastello, che ben si conforma al clima e ai colori dell’Alabama ed un’estetica che potrebbe far invidia al miglior Burton - soprattutto nella resa visiva e nel look delle streghe e di tutto l’immaginario loro legato. Discorso a parte è da dedicare, viceversa, alla colonna sonora tremendamente generica e ordinaria di Alan Silvestri, ad ambientazioni scarsamente caratterizzate e lasciate trasparire ancora meno dalla macchina da presa, e ad una CGI che, se da un lato, con i tre topi protagonisti e gli effetti facciali delle streghe, riesce a compiere dei veri e propri miracoli; dall’altro, alle volte, appare come posticcia e mal renderizzata, cozzando pertanto con il contorno reale e tangibile.
Eppure questi difetti non sono che piccole crepe nell’affresco più bello e magnifico di tutti, se comparati anche solo con il mezzo disastro che è la sceneggiatura del trio Zemeckis-Barris-Del Toro. Mi domando ancora come abbiano fatto due personalità dalla mente così vivida ed immaginativa come Zemeckis e Del Toro - di cui non si nota minimamente l’apporto - a dar vita ad una tale scarsezza e banalità di contenuti ed intenti. Un miscuglio composto da personaggi caratterizzati e memorabili soltanto grazie e per la bravura ed eloquenza espressiva degli interpreti - Anne Hathaway su tutti -, da dialoghi che, traslando su schermo le radici letterarie della materia originale senza alcuna rielaborazione, si convertono ben presto in spiegoni che rovinano qualsiasi sorpresa, fascinazione o spavento, e da messaggi moralizzanti così abusati e stanchi, cinematograficamente parlando, da risultare retorici; si fonde con una critica a razzismo e xenofobia piuttosto pretestuosa e futile ai fini del racconto, inquadrata perfettamente nel blackwashing dei protagonisti e nel cambio radicale di ambientazione. Difatti, tanto l’opera di Dahl quanto il film di Roeg vedevano, come location principali, la Norvegia e l’Inghilterra, contribuendo enormemente alla costruzione di un’atmosfera fredda e nebbiosa che ben si mescolava con l’enigma e la minaccia delle streghe. Al contrario, nella pellicola di Zemeckis, lo scenario è un Alabama afosa e splendente che ricorda, per certi versi, quella del succitato Forrest Gump. Così come mitigato è il clima delle scenografie, simmetricamente lo sono anche il rischio e la pericolosità delle fattucchiere, penalizzate, a loro volta, da uno scioglimento dei nodi narrativi eccessivamente semplicistico. Qualcuno potrebbe avanzare l’idea che questa progressione, così banale e agevole, fosse presente già tra le pagine di Dahl e che Zemeckis non abbia fatto altro che trasporre il tutto nella maniera più pedissequa e fedele possibile. In tal caso, sorge dunque spontaneo chiedersi il motivo di certe modifiche ad ambientazioni e personaggi, se poi ci si basa lo stesso su uno scritto di metà anni ‘80 - letterariamente ancora valido e potente, ma che, rispetto al testo filmico, si rivela essere tutt’altro che efficace e fresco.
Il risultato? Un film che, contando principalmente su una comicità a metà tra lo slapstick duro e puro e un’ironia più matura e paradossale, intrattiene, diverte e terrorizza i più piccoli e allieta gli adulti con un’azione scanzonata e spesso surreale. Tutto ciò non basta però a fare de Le streghe una pellicola complessivamente soddisfacente o quantomeno riuscita. In definitiva, la creatura di Zemeckis potrà risultarvi utile se cercate un qualcosa con cui passare un pomeriggio o una serata in compagnia di familiari o amici. Tuttavia, se analizzato e valutato sotto il profilo artistico e cinematografico, Le streghe si configura come un prologo invariabile dal finale inutilmente aperto; come una pellicola nata vecchia e profondamente antiquata, sotto diversi aspetti; come l’opera minore di un autore che, dopo aver rivoluzionato e portato una ventata di aria fresca nel campo dell’animazione, ha vissuto e sta vivendo tuttora un periodo di semi-caduta nel dimenticatoio. Una delusione lieve e indolore se preso come film in sé; una frustrazione e scoraggiamento enormi (viste le potenzialità) se inserito in una filmografia che conta piccoli gioielli come Ritorno al futuro, Forrest Gump e A Christmas Carol.