TITOLO ORIGINALE: Non odiare
USCITA ITALIA: 10 settembre 2020
REGIA: Mauro Mancini
SCENEGGIATURA: Davide Lisino, Mauro Mancini
GENERE: drammatico
PREMI: Premio Pasinetti per la miglior interpretazione maschile, Premio NuovoImaie Talent Award per il miglior attore esordiente
Simone Segre, stimato chirurgo di origine ebraica, si rifiuta di soccorrere un uomo vittima di un incidente stradale, dopo aver visto il tatuaggio di una svastica sul petto di quest’ultimo. Presentato durante la Settimana internazionale della critica, Non odiare rappresenta l’opera prima di Mauro Mancini, il quale dimostra un’abilità sorprendente nell’uso e nell’arte della macchina da presa. Questa maestria e bravura - estesa al restante comparto tecnico -, un soggetto accattivante ed un tris di interpretazioni magistrali non riescono però a compensare una sceneggiatura divisa tra sinteticità e superficialità, sia nel racconto degli eventi sia nella trattazione tematico-concettuale. Un tentativo lodevole di utilizzare la potenza del cinema per sensibilizzare ed instaurare un dibattito su una dimensione sociale, purtroppo, sempre più attuale.
Chiusesi le porte della 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è giunto il momento di scoprire le pellicole che hanno colpito, positivamente o negativamente, la platea del Lido. Pellicole come Non odiare, opera prima di Mauro Mancini, oltre che unico film italiano presentato nell’ambito della Settimana internazionale della critica (sezione parallela al festival, dedicata ad autori emergenti). Liberamente ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto in Germania, il lungometraggio narra una storia di senso di colpa, di odio, di padri violenti, ma, anche e soprattutto, di razzismo e neonazismo - argomenti, purtroppo, ancora e sempre più attuali. Protagonista di questo mosaico tematicamente ragguardevole e rilevante, Simone Segre (Alessandro Gassmann), stimato chirurgo di origine ebraica, che, un giorno, si trova a soccorrere un uomo vittima di un incidente stradale. Tuttavia, il salvataggio non va come sperato e l’uomo muore. Il fallimento non è però decretato da un errore o incapacità del medico, bensì dal fatto che quest’ultimo, dopo aver visto sul petto del ferito il tatuaggio di una svastica, si rifiuti di aiutarlo. Consumato dal senso di colpa, Simone deciderà così di aiutare la famiglia dell’uomo, composta dalla ventisettenne Marica (Sara Serraiocco), dal piccolo Paolo e dal diciassettenne Marcello (Luka Zunic), convinto e violento naziskin.
Per la prima volta dietro la macchina da presa di un lungometraggio, Mauro Mancini dà prova di una consapevolezza tecnico-stilistica veramente sbalorditiva. Una costruzione registica solida ed integerrima, senza alcuna lacuna o imperfezione degna di nota, accompagna i personaggi in un viaggio che, al contrario, umanamente è tutto fuorché perfetto ed inattaccabile. Imperfezione e fragilità sono i due leit motiv principali su cui si estende e sviluppa tutto il racconto di Non odiare. Nell’espressione e resa filmica di questa vicenda difettosa e manchevole, la cinepresa di Mancini ricopre un ruolo fondamentale, dando origine ad un processo di “despettacolarizzazione” delle sequenze. Mediante primi piani eloquenti, immagini simbolicamente angoscianti - basate su un costante contrasto di significati - e movimenti di macchina lucidi e stabili, quasi impercettibili, il cineasta va delineando l’interiorità dei personaggi, mettendone in risalto debolezze e pecche caratteriali e rendendoli pertanto fragili e stanchi scheletri che vestono una pelle umana che sembra appartenergli per caso o disgrazia. Ogni silenzio, urlo di rabbia, dialogo è tratteggiato e ritmato, in modo discreto e subdolo, da una direzione e un montaggio accurati e precisi. Ciò nonostante, questa anima vulnerabile e sensibile - rispettata e propugnata da un comparto tecnico sostanzialmente ineccepibile - viene in parte sacrificata da una fotografia che, se per quasi tutta la durata della pellicola si muove tra toni ed realistici e concreti, con l’avvicinarsi del finale, compie un repentino cambio di rotta, corredando le varie inquadrature con un’illuminazione talmente accesa e patinata da risultare quasi fuori luogo.
Scaraventando fin da subito lo spettatore nel vivo dell’azione, la sceneggiatura di Non odiare si configura come l’elemento più importante (ma anche, paradossalmente, più debole) della produzione. Tra i suoi pregi troviamo certamente un’essenzialità che, almeno inizialmente, colpisce e giunge allo spettatore in modo palpabile e schietto. Tuttavia, con il passare del tempo, questa stessa sinteticità si converte in una delle più grandi lacune della pellicola e delle sue volontà argomentative. Infatti, la narrazione prende il via con un’idea precisa che, a metà del secondo atto, inizia a sfaldarsi per poi cadere nell’anonimato in un finale che, volendo accontentare tutti e nessuno, non lascia alcuna impronta identitaria nella mente del pubblico.
Lavori da un giudeo di merda!
Marcello (Luka Zunic)
Volendo trattare il razzismo e la realtà dei naziskin (o skinhead) nel modo più oggettivo ed efficace possibile - privando dunque il proprio racconto di qualsiasi tipo di sentimentalismo o luogo comune -, la sceneggiatura di Non odiare finisce per abbracciare proprio quegli aspetti che avrebbe voluto disconoscere. Nello specifico, una sottotrama romantica abbastanza inutile, un’esplorazione ed approfondimento risicato della dimensione sociale a cui appartiene Marcello - coprotagonista a tutti gli effetti -, salti temporali non specificati tra una scena e l’altra ed un ritmo progressivamente cedevole. Una volta raggiunto il momento sobillato e tanto atteso - ossia l’incontro diretto, che si tramuta in convivenza, di Simone con Marcello -, Non odiare sceglie di chiudere il sipario, lasciando il pubblico con un insoddisfatto amaro in bocca e privando la storia di una piena realizzazione narrativo-concettuale. Quegli stessi silenzi intimisti citati poco sopra, utili certamente a tracciare il carattere riflessivo dell’opera, lasciano però allo spettatore forse troppa libertà e autonomia. A tal proposito, durante la visione, è tangibile la mancanza di un punto fisso, di un riferimento - rappresentabile da un confronto tra due ideali o una trattazione tematica convincente, purtroppo mancanti - a cui appellarsi in questa storia di imperfezione e difetto.
Il risultato? Un film che, seppur costruito attorno ad un soggetto accattivante e teoricamente forte, si trasforma nel suo contrario, limitandosi e vergognandosi nell’abbracciare svolte o turning point troppo drastici o scioccanti. Personaggi ben scritti ed analizzati - sia registicamente che narrativamente -, un incipit di grande impatto, un fil rouge, fatto di colpe (paterne) rigide ed avvilenti e d’eredità (filiali) disprezzate o seguite ciecamente, che stabilisce un parallelismo interessante, ma appena accennato, tra la figura di Simone e quella di Marcello ed un tris di grandissime interpretazioni sono gli elementi che avrebbero potuto condurre all’eccellenza l’opera prima di Mauro Mancini. Questi devono però pagare pegno di fronte a storture e scivoloni tematico-narrativi debilitanti che fanno di Non odiare un tentativo lodevole e visivamente soddisfacente - ma tutt’altro che perfetto - di utilizzare il potere del mezzo cinematografico al fine di instaurare una discussione e portare alla coscienza del pubblico un fenomeno socio-culturale che molti ritengono legato ad una coscienza storica, ma che, in realtà, è più attuale e “vicino a noi” di quanto non sembri.