TITOLO ORIGINALE: I'm Thinking of Ending Things
USCITA ITALIA: 4 settembre 2020
REGIA: Charlie Kaufman
SCENEGGIATURA: Charlie Kaufman
GENERE: drammatico, orrore, grottesco
PIATTAFORMA: Netflix
Una giovane ragazza viene invitata dal suo fidanzato a conoscere i suoi genitori, che abitano in una fattoria isolata e dispersa nel nulla. Al suo terzo lungometraggio da regista, Charlie Kaufman - sceneggiatore premio Oscar di Se mi lasci ti cancello - firma un dramma/thriller/horror, che racchiude la summa di tutta la propria poetica, tanto atipico e multigenerico quanto narrativamente complesso e destrutturato. Un ritmo a cui adattarsi rigorosamente, una regia che ricerca la massima espressività degli interpreti, ambientazioni vibranti e magnifiche prove attoriali sono gli aspetti fondanti una visione avvilente ed alienante sul rimpianto e sul delirio generato dal costante vivere nel “se”. Un’opera sbalorditiva, stupefacente ed inusuale da vedere e rivedere.
«C’è stato un tempo nel quale (…)/ la Terra e ogni comune visione / a me parevan / rivestite di luce celeste (…) / Ma quel che vidi, ora non lo scorgo più». Questi che avete appena letto sono soltanto alcuni versi della celebre ode Indizi di immortalità di William Wordsworth, poeta inglese, nonché padre fondatore del romanticismo e naturalismo anglosassone. Un'ode, quella di Wordsworth, che, in un certo senso, rappresenta una specie di indagine analitica ed “interiormente” intima del proprio viaggio su questa Terra. Tra rimpianti, dispiaceri e dolori, il poeta indaga un tempo che è stato ma che, in qualche modo, non esiste più. Questo ritorno ad un’infanzia innocente, ingenua e raggiante - forse migliore -, da parte del poeta inglese, oltre ad essere il fondamento del componimento sopraindicato, è anche il perno attorno a cui si costruisce Sto pensando di finirla qui, ultima fatica di Charlie Kaufman (regista di Synecdoche, New York, 2008 e Anomalisa, 2015 e sceneggiatore premio Oscar per Se mi lasci ti cancello, 2004). Il film segue le orme di Lucy, giovane ragazza appassionata di pittura e fisica, che, un giorno, viene invitata dal suo ragazzo, Jake, a conoscere i genitori di lui. Questi vivono in una fattoria isolata e dispersa nel nulla e i due devono intraprendere così un lunghissimo viaggio in auto per raggiungerla. Durante il tragitto, Lucy, mentre intrattiene una lunga e dispersiva conversazione con il fidanzato, formula singolari pensieri suicidi, pensieri sul “finirla qui”. E le stranezze non sono ancora finite. Infatti, una volta arrivati alla tenuta, la conoscenza e conversazione con i genitori di Jake (così come il luogo stesso) è pervasa e impregnata da un clima sgradevole e agghiacciante che, dietro di sé, nasconde angoscianti e sorprendenti verità.
Al suo terzo lungometraggio da regista, Charlie Kaufman confeziona un’opera che racchiude la summa di tutta la propria poetica, facendo, come sempre, del disorientamento e dell’incertezza, i punti cardinali del proprio racconto e visione registica. Pescando a piene mani dalla filmografia ed eredità lynchiana, questi dà vita ad un dramma/thriller/horror atipico, proprio perché lo stesso orrore di cui si serve è fuori dal comune, o, per meglio dire, fin troppo “vicino a noi”. Kaufman decora e correda questo viaggio in macchina con conseguente visita ai suoceri con dettagli ed elementi inquieti ed inquietanti, costruendo fin da subito un’atmosfera insistentemente minacciosa. Mediante dialoghi prolissi e di natura fortemente letteraria - pieni di citazioni e riferimenti a opere letterarie, poesie, film, musical -, sequenze surreali, disturbanti e bizzarre, fondate su una continua e sconcertante mise en abyme, ed un ritmo personalissimo a cui ci si deve obbligatoriamente adattare, il cineasta riesce a confondere e ingannare lo spettatore, facendogli credere invano di aver compreso realmente volontà e fini dell’intreccio, per poi contraddirlo nel giro di un paio di scene.
La molteplicità di generi e stili - così come suggerito dalla multi-genericità della trama stessa -, il ritorno ciclico di elementi e situazioni, una voce fuori campo tenace ed un focus narrativo decentrato sono marmoree fondamenta su cui si erige l’alienante, ma magnetico rebus/flusso di coscienza che è Sto pensando di finirla qui. Questa impossibilità, da parte dell’audience, di fuga o sottrazione rispetto alla vicenda e alla ricerca del suo significato intrinseco - oltre che dalla cripticità ed intrigo della narrazione -, è ulteriormente sostenuta da una regia che ricerca la massima espressività dei propri, grandissimi, interpreti (avente effetto anche sulla resa delle ambientazioni) e da un 4:3 soffocante che non lascia alcun libero arbitrio. Noi spettatori siamo dunque costretti ad assistere e partecipare mentalmente, mentre questo enigma si srotola e svela di fronte a noi.
Dietro fiumi stordenti e tremolanti di parole, la sceneggiatura sperimentale e decostruttiva di Sto pensando di finirla qui nasconde una ricchezza tematica ed argomentativa che emerge sempre più con il proseguire del racconto, attraverso cose non dette e situazioni improbabili. Una banalissima e stereotipata visita ai genitori di lui, inframmezzata a sequenze incentrate sulla quotidiana routinaria di un bidello, diventa un’opportunità per introdurre, in maniera sfuggente ed imperscrutabile, i differenti noccioli narrativi che torneranno ciclicamente per tutta la durata del lungometraggio. L’intreccio di Kaufman, prima di prendere realmente forma e mostrarsi per ciò che è veramente, affronta infatti numerosi discorsi e sottotesti socio-politici, culturali e psicologici. Si passa da una riflessione esistenziale sui vantaggi e svantaggi di un - tanto desiderato - suicidio, a discussioni filosofiche metaletterarie e meta-cinematografiche; da discorsi sul ruolo della figura femminile e materna in una società che la mette sotto accusa per ogni nevrosi o stortura psicologica, a deliri visionari, surreali e onirici su ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere; realtà dei fatti e rimpianti laceranti.
Il carattere discontinuo e frammentato della sceneggiatura aiuta e incentiva questa indole sfuggente ed elusiva - tipica di ogni creatura partorita dalla mente di Kaufman. Un’iniziale pseudo-normalità narrativa e procedurale accentua e contrasta ancor più con un secondo e terzo atto grotteschi, inverosimili e completamente incentrati su una falsificazione eclatante e manifesta della realtà. Così come la struttura narrativa, anche la dichiarazione d’intenti e il messaggio della pellicola vengono sottoposti allo spettatore in modo graduale ed ambiguo. Tuttavia, una volta sovvertita ogni singola certezza, questi si delineano in tutta la loro follia allucinata e fanno breccia, spigolosi e acuminati, nella mente e nel cuore del pubblico, scioccandolo e svuotandolo di qualsiasi emozione. La vita accade solo una volta sola: questa l’idea di Kaufman, perfettamente inquadrata in ogni singolo frammento di Sto pensando di finirla qui; questo l’orrore fin troppo vicino a noi citato precedentemente. Non importa quante volte pensiamo a cosa potrebbe essere successo, se avessimo fatto o meno quella determinata azione, se avessimo preso o meno quella particolare decisione. I rimorsi, le delusioni, le frustrazioni, pure lo stesso ritorno all’infanzia compiuto da Wordsworth: niente cambierà o sortirà gli effetti e risultati desiderati.
Una vita fatta di allucinazioni ed illusioni è equiparabile ad una recita falsa e contraffatta (riferendosi al film), la cui unica risoluzione è, per l’appunto, il suicidio, uno spegnersi “rivestito di una luce celeste”, per citare il finale della pellicola e, nuovamente, l’ode del poeta inglese. Questo è Sto pensando di finirla qui. Un’arthouse sbalorditivo, stupefacente ed inusuale da vedere e rivedere per essere apprezzato in tutti i suoi piccoli dettagli e sfumature. Il racconto di una persona che, nel suo vivere una vita parallela - che, con il tempo, inizia a sembrare quella di un’altro -, si converte nel perfetto riflesso dello spettatore. Un individuo che, guardando troppi film, si riempie la testa di bugie per passare il tempo in un batter d’occhio. “In un batter d’occhio, dolorosamente al rallentatore”.