TITOLO ORIGINALE: La migliore offerta
USCITA ITALIA: 1 gennaio 2013
REGIA: Giuseppe Tornatore
SCENEGGIATURA: Giuseppe Tornatore
GENERE: thriller, drammatico, sentimentale
PREMI: 6 DAVID di DONATELLO tra cui MIGLIOR FILM e MIGLIOR REGIA
Il ricco e schivo battitore d’aste Virgil Oldman riceve, la mattina del suo compleanno, una telefonata da una giovane e misteriosa ereditiera. Tornatore torna al thriller con una pellicola abile e insidiosa - caratterizzata da una regia scrupolosa, un montaggio ritmato, una colonna sonora nervosa, una fotografia dinamica, una grande interpretazione principale ed una sceneggiatura lenta ed annichilente - che tratta la dicotomia falsità/realtà in modo magistrale ed equilibrato.
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Queste le parole del noto scrittore e drammaturgo italiano Luigi Pirandello all’interno del suo Uno, nessuno e centomila. Romanzo del 1926 tra i più famosi dell’autore - quest’ultimo affronta, in particolare, il tema della disgregazione dell’io e il pensiero secondo cui la realtà non sia propriamente oggettiva, quanto più costituita da una moltitudine di rapporti tra differenti tipologie di maschere riconducibili ad una o più persone. Il concetto di maschera e di occultamento della propria vera identità e interiorità è il leit motiv alla base de La migliore offerta, pellicola del 2013 scritta e diretta dall'italianissimo Giuseppe Tornatore, nonché vincitrice di ben sei David di Donatello e sei Nastri d’Argento. Il film segue le orme di Virgil Oldman, schivo, ma ricchissimo battitore d’aste che, la mattina del suo compleanno, riceve una telefonata insolita da parte di Claire, giovane ereditiera che vorrebbe affidargli la valutazione dell’antica e preziosa villa di proprietà dei genitori - recentemente venuti a mancare. Se, da un punto di vista strettamente professionale, Virgil è senza dubbio uno dei più competenti, socialmente parlando e soprattutto nella relazione col sesso opposto, è invece un po’ arrugginito. Questo è il frutto di una vita riservata e limitata ai rapporti lavorativi e di cortesia, in cui l’unico affetto è rappresentato dai numerosi quadri su cui lavora e che arredano casa sua (Virgil custodisce gelosamente una collezione di soli ritratti femminili che ama osservare quotidianamente). Ciò nonostante, la chiamata della donna lo interessa a tal punto che questi decide di scoprirne di più. Purtroppo per lui, tale conoscenza lo porterà su un sentiero oscuro, da cui difficilmente riuscirà a tornare indietro.
Dietro la macchina da presa, un Giuseppe Tornatore che, per il suo undicesimo lungometraggio, torna al genere thriller dopo una breve pausa melodrammatica con Baaria. Nella direzione e trasposizione visiva della propria sceneggiatura, il cineasta mette in gioco una regia scrupolosa e attenta ad ogni minimo e singolo dettaglio che si impegna nel rappresentare, in maniera sottile ma evidente, l’evoluzione (o decadimento) psicologico del nostro Virgil, in seguito alla conoscenza con Claire. La narrazione e svelamento progressivo e crescente dell’intreccio vengono sostenuti, in primis, da una visione e costruzione registica geometricamente raffinata, concettualmente robusta e ritmicamente pacata. Questa impalcatura - così placida ed equilibrata - viene successivamente scandita e sostenuta da un montaggio astuto, ben cadenzato e completamente votato alla creazione di una tensione silenziosa, quasi impercettibile, ma visceralmente presente; e da una soundtrack, firmata Ennio Morricone, nervosa e travolgente. Il comparto tecnico è completato infine da una fotografia contrastante e dinamica che, in accordo con la condizione interiore del protagonista, abbraccia toni sempre più scuri e spenti, e da ambientazioni tanto labirintiche e sfarzose, quanto claustrofobiche e soffocanti - tutti i setting, anche quelli in esterna, vengono trattati come fossero interni.
La vera colonna portante della pellicola è però la sceneggiatura che, dietro un velo da dramma sentimentale, nasconde pieghe e derive da thriller psicologico che, per raffinatezza e potenza, si configurano come un vero e proprio elisir per il filone. Al centro di tutto vi è sicuramente l’intreccio che, lento e vigile, si smaschera (neanche a farlo apposta) agli occhi dello spettatore, ma anche dello stesso Virgil. Tutto ciò conduce il primo all'interiorizzazione di un’indelebile e crescente curiosità - che permea ininterrottamente la visione dell’opera -, pienamente e perfettamente soddisfatta soltanto dopo aver compreso appieno l’essenza e il carattere del protagonista di questa tela narrativa - Virgil Oldman, per l’appunto. Una solitudine convertita in interesse, che, a sua volta, si trasforma in ossessione e, più tardi, in dissoluzione della persona sono i cardini caratteriali di questo personaggio, discutibile ma intimo, attraverso cui il pubblico accede e si immedesima con gli eventi narrati. Questa sua evoluzione/involuzione viene resa limpidamente da un Geoffrey Rush in una delle sue migliori prove attoriali. Malgrado questa chiarezza interpretativa, il racconto del film conserva comunque un certo velo di mistero, forse per la riservatezza e avidità con cui si mostra e si lascia analizzare dal pubblico, forse a causa di un finale emblematico e profondamente simbolico che abbandona lo spettatore al proprio destino e fascinazione, forse proprio per il fatto che quasi ci si dimentica di star guardando un film. Attraverso dialoghi naturali, ma profondamente subdoli e sfuggenti, Tornatore conduce per mano lo spettatore nell'esplorazione del racconto, presentandone liberamente elementi e chiavi di svolta e costruendo - sulla scia della scoperta dei molteplici pezzi e della costruzione di un automata - un climax crescente che dirompe in un coup de théâtre finale prevedibile, ma assolutamente magistrale e annichilente.
La migliore offerta è un film incredibilmente consapevole e conscio delle proprie potenzialità e suggestioni. Una pellicola che racconta la storia di un uomo tanto asociale da riservare il contatto prezioso dei propri polpastrelli solamente all’esame e rapporto intimo e diretto con le opere d’arte studiate. Questa sua gelosia corporea o, per meglio dire, il completo annullamento e abbandono di questa sua nevrosi, durante il corso del lungometraggio, rispecchia una transizione e rivoluzione di abitudini e priorità da parte dello stesso - sostituita, a sua volta, da un’ulteriore ossessione, ancor più deleteria da un punto di vista psicologico. La migliore offerta è un thriller abile e insidioso che riesce nell'arduo compito di non risultare esagerato o tirato per i capelli, in cui ogni pedina è ben posizionata e ha una propria utilità all'interno del mosaico dell’opera. Un racconto che, pur trattando la classica dicotomia trucco-falsità/verità-realtà, trova un giusto compromesso tra realismo e surrealismo, dando così vita ad un intricato labirinto d’arte e bellezza, di cui è impossibile trovare la via d’uscita.