TITOLO ORIGINALE: Profondo rosso
USCITA ITALIA: 7 marzo 1975
REGIA: Dario Argento
SCENEGGIATURA: Dario Argento
GENERE: thriller, giallo
Mark, un pianista vanitoso e maschilista, assiste impotente all'omicidio di una vicina di casa. Il ragazzo decide di iniziare a indagare per conto proprio, ma si accorge che tutte le persone che potrebbero aiutarlo vengono assassinate. Con Profondo rosso, il maestro della suspence italiano Dario Argento confeziona l'apoteosi coerente e sperimentale del genere, quello del giallo all'italiana, che lo ha reso famoso. Tra elementi thriller ed aspetti che anticipano la piega sovrannaturale delle sue future produzioni, Profondo rosso è uno dei brividi più riusciti e sensazionali di Argento, anche a più di quarant'anni dall'uscita originale.
Alcuni bambolotti, una serie di biglie di vario colore, spilli, disegni inquietanti, fili di lana, un paio di coltelli, una mano guantata e una musica convulsa e minacciosa: questi gli ingredienti principali di uno dei momenti più memorabili e riusciti del cinema italiano di genere. Questi, gli elementi essenziali di una delle sequenze d’apertura del mitico Profondo rosso di Dario Argento, maestro italiano della suspense, nonché uno dei maggiori capostipiti del giallo all’italiana - genere che vede proprio in questo film, datato 1975, la sua summa creativa. Qualche anno prima di stravolgere la sua intera filmografia, virando irreversibilmente verso tinte ed atmosfere da horror sovrannaturale, il regista capitolino firma l’opera che molti considerano, insieme al successivo Suspiria, il suo capolavoro assoluto.
A metà tra giallo, thriller e slasher movie, la pellicola segue le orme di Marcus Daly, pianista britannico egocentrico e vanitoso che si trova a Roma in qualità di insegnante conservatoriale. Durante il suo soggiorno, questi stringe amicizia con Carlo, pianista pure lui, anche se di umili origini ed alcolizzato, costretto a suonare in locali notturni per saziare i bisogni di una vita dissoluta e problematica. Una sera, di ritorno a casa, Marcus sente un urlo provenire dal suo palazzo e, pochi istanti dopo, vede alla finestra il corpo inerme di una giovane ragazza. Nel tentativo di soccorrerla, Mark si precipita nell'appartamento, ma arriva troppo tardi: la vittima, Helga Ulmann, è una sensitiva tedesca, recatasi in Italia per una conferenza sul paranormale. Marcus viene subito interrogato dalla polizia come fosse un sospettato e fa la conoscenza della giornalista Gianna Brezzi, a cui rivela di aver notato l’assenza, sulla scena del crimine, di un quadro che potrebbe essere rilevante ai fini del caso. Travolto sensibilmente dall'accaduto e curioso di scoprire l’identità dell’assassino, Mark dà così il via ad un’indagine, rischiosa e parallela a quella della - caotica e disorganizzata - polizia, che farà luce su una verità oscura e malata che affonda le proprie radici nei meandri del tempo.
Con Profondo rosso, Dario Argento raggiunge uno dei massimi apici della propria filmografia e tecnica registica - affinata e perfezionata con pellicole come L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. La pellicola rappresenta inoltre il punto d’arrivo, coerente e innovatore, del filone - quello del giallo all'italiana - che, in qualche modo, lo ha formato e reso celebre. Nella direzione del film e fin dagli stessi titoli di testa, Argento dimostra una destrezza sbalorditiva nella costruzione della suspense, che, in certi punti, raggiunge vette di pura maestria ed estro tecnico-creativo. Zoom vertiginosi, piani sequenza anticipatori e claustrofobici, alternanza fulminea di soggettive ed oggettive, dettagli e particolari; primi e primissimi piani espressivamente terrificanti, movimenti di macchina lenti e climatici: le soluzioni visive e la scelta delle inquadrature e dei punti di macchina denotano una conoscenza ampia e dettagliata, da parte di Argento, sia dello strumento di ripresa sia delle sue potenzialità emotivamente turbanti ed angoscianti. A questa lucidità registica disarmante si sommano, in secondo luogo, un montaggio costruito interamente in funzione della tensione narrativa, una colonna sonora instant cult inconsueta per il tipo di film ed una fotografia dalle spiccate volontà teatrali.
Sono entrata in contatto con una mente perversa! I suoi pensieri sono pensieri di morte! Via! Via! Tu hai già ucciso e sento che ucciderai ancora.
Helga Ulmann (Macha Méril)
Tuttavia, oltre ad essere un’opera di grande cinema di genere - completata da un’estetica ancora acerba ma premonitrice delle produzione successive del regista -, Profondo Rosso è anche una dichiarazione di poetica di Argento stesso. Infatti, quest’ultimo, facendo sua la primissima linea di dialogo del personaggio di Mark, esprime un completo abbandono dei formalismi da giallo/thriller classico - alla Hitchcock, per intenderci -, in favore di una messa in scena molto più sporca, sgraziata ed imperfetta (citando Mark, “buttata via”), ma, non per questo, meno autoriale o riuscita. Da questa proclamazione di intenti prende così il via uno dei film più sperimentali del cinema argentiano non solo dal punto di vista tecnico - soprattutto per quanto riguarda la scelta delle musiche da accompagnare alle varie sequenze -, ma, in particolare, da quello artistico, con ambientazioni embrionali di quelle del futuro Suspiria, e narrativo, con una sceneggiatura che fa del rovesciamento dei canoni del poliziesco/thriller classico il suo fulcro principale.
Partendo dal protagonista - un borghesotto annoiato, raffinato, pensoso, schivo; tutto fuorché un uomo d’azione, un personaggio con cui il pubblico difficilmente arriverà ad empatizzare completamente - fino ad arrivare all’identità dell’assassino o, dovrei dire, assassina, la scrittura di Profondo rosso presenta tutti gli elementi rivoluzionari che hanno permesso al film di diventare un vero e proprio cult. Basando l’intera costruzione narrativa su un intreccio essenziale, asciutto e tagliente - pieno di colpi di scena mai scontati e mai banali ed espedienti geniali -, Dario Argento, insieme a Bernardino Zapponi, dà quindi origine ad un racconto che, pur nella convenzionalità della sua struttura e sviluppo, si mostra al pubblico come un qualcosa di assolutamente anticonvenzionale. Configurandosi come una sorta di via di mezzo tra le prime produzioni del cineasta e la deriva soprannaturale (medium, fantasmi, svolgimento e dinamiche degli omicidi) verso cui verterà la seconda fase della sua filmografia, la sceneggiatura di Profondo rosso fonda la propria riuscita su un continuo gioco di specchi (neanche a farlo apposta) tra apparenza e realtà, esistente ed inesistente, che ha, come unico sbocco, il sangue - il profondo rosso, per l'appunto. Tutto ciò viene unito, in ultima battuta, ad un sottotesto di critica e denuncia caricata della società italiana del tempo - caotica, apatica, disillusa, annoiata - abbastanza marginale e fin troppo superficiale per essere riuscita, e ad un cast, capitanato da un ottimo David Hemmings, da una Daria Nicolodi in parte ed una Clara Calamai semplicemente indelebile, che si attesta su buoni livelli generali - doppiaggio permettendo.
Leggere reminiscenze hitchcockiane, sequenze iconiche e memorabili, un ritmo ed una tensione sostenuti e ben cadenzati, un racconto intrigante e coinvolgente, effetti speciali sanguinolenti e raccapriccianti ed una colonna sonora immortale fanno di Profondo rosso un autentico capolavoro che, ancora oggi, spaventa ed impressiona lo spettatore, facendolo saltare sulla poltrona e lasciandolo sbigottito in più di un’occasione. Il passaggio fondamentale tra le due fasi principali del cinema argentiano; un film che, già nel 1975, guardava al futuro; una pellicola indimenticabile di cui tutti continuano a parlare, anche a più di quarant’anni dall’uscita originale. L’opera magna di un regista che, purtroppo, negli ultimi tempi ha perso quell’occhio e quel genio che, specialmente in Profondo rosso, pullulano ogni singola inquadratura.