TITOLO ORIGINALE: After the Wedding
USCITA ITALIA: estate 2020
USCITA USA: 9 agosto 2019
REGIA: Bart Freundlich
SCENEGGIATURA: Bart Freundlich
GENERE: drammatico
La co-fondatrice di un orfanotrofio indiano si reca a New York per incontrare la direttrice di una nota impresa pubblicitaria statunitense e scopre una verità dolorosa legata al proprio passato. Caratterizzato da una regia statica e monotona, una messa in scena insipida, una sceneggiatura prevedibile ed abbozzata ed interpretazioni abbastanza piatte, eccezion fatta per Julianne Moore, Dopo il matrimonio si configura come un remake stanco, scialbo e borioso che testimonia l’attuale crisi delle idee hollywoodiana.
Il binomio Hollywood-remake di film esteri non è mai stato una coppia vincente. Solo citando titoli come Il segreto dei suoi occhi - rifacimento del film argentino premio Oscar -, Brick Mansion, The Wicker Man, Old Boy o Nine - omaggio americano a 8½ di Federico Fellini -, un brivido percorre la schiena di ogni cinefilo o appassionato di cinema che si rispetti. A questa lunga lista, ora è possibile aggiungere anche Dopo il matrimonio, dramma, per la regia di Bart Freundlich, ispirato all’omonimo film danese di Susanne Bier con Mads Mikkelsen protagonista. Tuttavia, a differenza dell’originale, il regista decide di cambiare sesso al protagonista, Jacob, che, in questo remake, prende il nome in Isabel - a cui presta il volto Michelle Williams -, missionaria e co-fondatrice di un orfanotrofio in India. Quest’ultima si reca a New York per incontrare Theresa, direttrice di una nota compagnia pubblicitaria statunitense che vorrebbe devolvere una grossa cifra al suo progetto umanitario. Purtroppo, l’arrivo di Isabel coincide con i preparativi delle nozze della figliastra di Theresa che, presa dall’evento, riesce a dedicarle pochissimo tempo, invitandola però a rimanere per il weekend e partecipare al matrimonio. Giunta controvoglia alla cerimonia, ben presto questa scopre però una verità dolorosa strettamente legata al proprio passato che lega indissolubilmente la sua vita con quella di Theresa.
Dietro la macchina da presa, il sopracitato e semisconosciuto Bart Freundlich in una performance appena sufficiente. La sua regia - completamente votata a far risaltare e sottolineare le sommariamente discrete interpretazioni - appare infatti fin troppo statica e monotona, abbassando notevolmente l’interesse e l’immedesimazione dello spettatore nella vicenda ed appiattendo personaggi che, già sulla carta, appaiono bidimensionali. A questo potpourri di prevedibilità e convenzionalità si aggiungono, in secondo luogo, sequenze e costruzioni senza capo né coda, una messa in scena stanca e fin troppo tradizionale, frammenti dalla retorica spicciola ed una tensione emotiva che - pur regalando inizialmente qualche momento alto -, con il proseguire degli eventi e la loro rispettiva prevedibilità visiva e narrativa, va sempre più afflosciandosi, sfociando infine in un epilogo estremamente anonimo. Pure a livello di fotografia, montaggio e colonna sonora, il tutto ondeggia tra banalità e grigiore in un “compitino” tedioso che, in certi punti, assomiglia quasi al classico film barocco e gonfio in programmazione pomeridiana su Rete 4.
Detto ciò, il vero problema di Dopo il matrimonio è però tutto ciò che circonda ritmo e tono. Pur configurandosi come dramma, difatti, il film di Freundlich - e questo fin dal trailer -, in certi momenti, pare strabordare in lidi thriller, da cui, tuttavia, ripiega fulmineamente. La scrittura dei dialoghi, la resa visiva delle interpretazioni e le modalità con cui vengono introdotte certe sequenze sembrano voler far crescere nello spettatore una carica di tensione che poco si addice a ciò che sta avvenendo su schermo. Dopo un inizio abbastanza tempestivo, in cui non vengono esplorati per niente ideali e interiorità di Isabel, il pubblico viene dunque catapultato in un racconto che, al principio, non si capisce dove voglia andare a parare. Tuttavia, una volta compresi i fini narrativi principali, lo spettatore farà un salto (o, meglio, una dormita) di fronte al grado di prevedibilità e mediocrità dimostrato dalla sceneggiatura. Un mix di dialoghi a volte inespressivi e prosaici, altre volte fin troppo enfatici, caratterizzazioni abbozzate, un ritmo altalenante, buchi logici e forzature di sorta confluiscono in una struttura narrativa tipicamente “a cerchio”, di cui, non a caso, il concetto indiano di karma è la base costitutiva principale. Questo livello precario di scrittura dei personaggi è ulteriormente afflitto da interpretazioni spente e pesanti (eccezion fatta per Julianne Moore che, nonostante tutto, tenta di salvare la baracca), a loro volta peggiorate da un doppiaggio italiano non proprio performante.
Meglio l’originale. Lo so, a sentirlo tante volte, sembra quasi scontato ripeterlo, ma, purtroppo, anche in questo caso rispecchia precisamente la realtà dei fatti. Dopo il matrimonio è un remake stanco, borioso e fin troppo abbozzato che, copiando pedissequamente il racconto dal film danese, fonda gran parte della propria riuscita sulle interpretazioni delle due protagoniste femminili. Purtroppo, una messa in scena e comparto tecnico banali ed insipidi distruggono tutto ciò che di positivo e memorabile poteva mai esserci. Una Michelle Williams irritante e mono-espressiva soccombe davanti ad una magnifica Julianne Moore in una pellicola da cui è possibile trarre tre conclusioni: 1. Dopo il matrimonio non aveva alcun senso di esistere; 2. Dopo il matrimonio è l’ennesima dimostrazione della problematica ed attuale crisi delle idee hollywoodiana; 3. Dopo il matrimonio mi ha fatto solo perdere del tempo.