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I SETTE SAMURAI, ELEGANZA ED EQUILIBRIO

SCHEDA

TITOLO ORIGINALE: 七人の侍 - Shichinin no Samurai
USCITA ITALIA: 19 agosto 1955
USCITA GIAPPONE: 26 aprile 1954
REGIA: Akira Kurosawa
SCENEGGIATURA: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto, Hideo Oguni
GENERE: drammatico, azione, storico
PREMI: LEONE D'ARGENTO al FESTIVAL di VENEZIA

VOTO: 9.5

RECENSIONE:

Un villaggio di contadini ingaggia sette ronin per sventare la minaccia di alcuni banditi che mirano a saccheggiare tutti i loro averi. Con I sette samurai, Akira Kurosawa firma la sua opera massima, nonché uno degli esempi più elevati della Settima Arte. Una regia completamente divisa tra riconnessione con il primordiale e la natura e volontà espressive ed iconografiche ben precise porta sullo schermo una sceneggiatura che fa di equilibrio e precisione i propri requisiti primari ed interpretazioni a dir poco favolose. Una pellicola che ha avuto innumerevoli influenze sul cinema occidentale, soprattutto western; un assoluto cult indimenticabile da vedere e rivedere nonostante la durata.

Giappone. Era Sengoku. Alcuni banditi, sullo sfondo di un cielo pesto e carico di cattivi presagi, si avvicinano a cavallo ad un villaggio di contadini, posto al centro di quattro montagne. Notando di essere arrivati in anticipo rispetto al periodo del raccolto, questi decidono di rimandare l’incursione. I contadini, accortisi del pericolo imminente, spaventati, chiedono consiglio all’anziano, il quale invia quattro esponenti della comunità alla ricerca di un manipolo di samurai che possano difenderli dall'incombente e, probabilmente, fatale attacco. Con I sette samurai, Akira Kurosawa (regista di altri cult come Rashomon, Il trono di sangue e La sfida del samurai) firma la sua opera omnia, nonché il suo film più noto - anche e soprattutto per l’influenza che ebbe sul cinema occidentale.

Improntando la pre-produzione della pellicola sulla completa ricerca di un realismo quanto mai fedele alle fonti storiografiche e alle radici della sua terra, Kurosawa dà vita ad un racconto corale con forti reminiscenze ai romances de picaro - filone letterario molto diffuso nella Spagna del XVII-XVII secolo - ed un sottotesto socio-politico non indifferente. Dal punto di vista registico, I sette samurai si configura come una delle prove registiche migliori del cineasta. Divisa tra un tentativo di riconnessione con la natura, il primordiale e il rudimentale e volontà espressive ed iconografiche ben precise, la direzione di Kurosawa mostra i muscoli a più riprese, elaborando e costruendo inquadrature simboliche e ricche di particolari che, interconnesse tra loro, donano respiro a sequenze entrate immediatamente nella storia del cinema mondiale. Primi piani ricercati ed incisivi e movimenti di macchina coordinati e bilanciati vanno a comporre il fondamento su cui viene costruita, successivamente, gran parte della tensione emotiva e narrativa del racconto - celeberrimo il monologo di Kikuchiyo sulla condizione dei contadini.

Se registicamente parlando, I sette samurai si attesta su ottimi e solidi, ma totalmente nelle corde di Kurosawa, standard produttivi e creativi, al contrario, dal punto di vista narrativo e strutturale, vengono apportate molteplici e sostanziali innovazioni. Infatti, la pellicola è una delle prime a basare le proprie vicende sul reclutamento di uomini fuori dal comune, straordinari e distinti tra loro a livello visivo e di abilità. Ed è proprio in questo reclutamento - colonna portante della sceneggiatura - che risiede il sottotesto socio-politico menzionato poco sopra. Infatti, a difendere questo villaggio di poveri contadini - posti in fondo ad un’ipoteca piramide sociale -, vengono in soccorso dei veri e propri outsiders, cavalieri legati ad un passato remoto, pre-capitalistico e pre-industriale e ad una storia su cui, da tempo, è calato il sipario. Nella frenesia della società moderna, questi samurai riconducono ad un’idea di equilibrio, sono figure mitiche, iconiche ed inamovibili, come pietre in mezzo alla corrente di un fiume.

Noi samurai siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini.

Kambei Shimada (Takashi Shimura)

Questo ideale di equilibrio e stabilità - incarnato perfettamente nell’arte, calcolata ed elegante, della katana - viene ripreso e interiorizzato dalla sceneggiatura: nessun elemento è fuori posto, ad ogni azione corrisponde una propria conseguenza, non vi è mai una parola di troppo, si comunica sempre lo stretto indispensabile e molte interpretazioni vengono lasciate alla riflessione dello spettatore. In più, la cura nella caratterizzazione ed evoluzione dei protagonisti denota uno studio e lavoro pre-produttivi accordati e misurati. Nessuno dei sette samurai prevarica l’altro, nessuno è meno esplorato, a tutti è concesso lo stesso grado di introspezione e sviluppo all’interno dell’epico racconto del film. Tutto ciò è merito innanzitutto del livello attoriale elevato e credibile di quasi tutto il cast. Tuttavia, come sempre accade, qualcuno spicca maggiormente - per esempio, il già citato Kikuchiyo, fool e cuore irrazionale ed emotivo della pellicola -, ma ciò avviene sempre in piena coerenza con il proseguire della narrazione. A questo calderone di elementi e aspetti pregevoli si aggiungono una fotografia tecnicamente perfetta ed una colonna sonora solenne e rapsodica che elevano l’opera alla nomea di cult e capolavoro della cinematografia mondiale.

Tale importanza è suggerita, in primis, dall'influenza che l’opera di Kurosawa ebbe sul pubblico e sul cinema occidentale, all'epoca della sua uscita. La struttura ad arruolamento, citata poco prima, verrà infatti ripresa da registi come Robert Aldrich in Quella sporca dozzina e John Sturges che, folgorato dalla pellicola, deciderà di produrne un remake western, conosciuto con il titolo de I magnifici sette, somigliante in tutto e per tutto all'originale giapponese. Queste informazioni sono, però, soltanto una piccolissima parte dell’impatto culturale che l’opera di A.K. ebbe e ha ancora oggi su ambiti come cinema, letteratura, fumetto e videogiochi. Ciò nonostante, a prescindere dalla sua eredità spirituale, sarebbe illecito e a dir poco immorale non definire e ricordare I sette samurai come uno dei più grandi esponenti della Settima Arte.

PRO:

  • Una delle prove registiche migliori di Kurosawa
  • Sceneggiatura che fa dell’equilibrio e della precisione i suoi precetti principali
  • Personaggi equamente esplorati e sviscerati
  • Fotografia perfetta
  • Colonna sonora rapsodica
  • Interpretazioni di gran livello
  • Sottotesto socio-politico non indifferente
  • Influenza sul cinema occidentale ed importanza storica

CONTRO:

  • Durata forse eccessiva e controproducente e progressione narrativa basata su una distensione figlia del suo tempo
Pubblicato da Nicolò Baraccani il 15 Luglio 2020
Categorie
  • Cinema
Tag
  • 1954
  • Akira Kurosawa
  • AZIONE
  • CULT
  • DRAMMATICO
  • STORICO
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