TITOLO ORIGINALE: 365 Dni
USCITA ITALIA: 14 giugno 2020
USCITA POLONIA: 7 febbraio 2020
REGIA: Barbara Białowąs, Tomasz Mandes
SCENEGGIATURA: Tomasz Klimala, Barbara Białowąs, Tomasz Mandes, Blanka Lipińska
GENERE: erotico, sentimentale, drammatico
PIATTAFORMA: Netflix
E’ disponibile su Netflix l’ultimo esemplare della lunga serie di mediocrità che, da un po’ di tempo a questa parte, infestano la piattaforma streaming più famosa di tutte. Coproduzione Italia-Polonia, la pellicola di Barbara Białowąs e Tomasz Mandes riesce a riabilitare disastri indifendibili come Cinquanta sfumature e After, presentando un comparto tecnico lacunoso, una sceneggiatura latitante che vacilla tra l’imbarazzante, il diseducativo e il trash puro ed intrattenente ed interpretazioni autoparodiche. Un disastro che si cancella automaticamente dalla mente dello spettatore finita la visione. Vera e propria spazzatura fatta a film.
Una polacca, un americano e un italiano salgono su uno yacht. Sembrerebbe l’inizio di una barzelletta, invece - sfortunatamente - non lo è. Sto parlando infatti di una delle sequenze cardine di 365 giorni, coproduzione Italia-Polonia, distribuita, in suolo “italico”, dalla piattaforma che, ultimamente ma non solo, sta aggiornando il proprio catalogo con prodotti dall’elevato tasso qualitativo. Mi riferisco, come intuibile, della sempreverde Netflix che, ancor prima di deliziare i suoi abbonati con una rivisitazione della tipica commedia all’italiana, ha reso disponibile alla visione uno dei peggiori film non soltanto dell’anno, ma del secolo corrente.
La pellicola segue le orme di Laura, una giovane ed affascinante ragazza di origine polacca che, un giorno, senza alcun apparente motivo, viene rapita da don Massimo, spietato leader di un clan mafioso siciliano. Laura era la ragazza che il giovane boss stava osservando (o meglio, spiando con un binocolo) il giorno dell’omicidio del padre, cinque anni prima, e, ridotto quasi in fin di vita dal proiettile destinato al padre, questi non riusciva a pensare che a lei. Ossessionato dal ritrovarla, Massimo decide così di rapirla e tenerla prigioniera per 365 giorni, durante cui questa si dovrà innamorare di lui. Se tutto ciò non accadesse, verrà immediatamente liberata. Adottando, come soggetto principale - verosimilmente - lo scopo del reality americano 90 giorni per innamorarsi e trasponendo su schermo il primo romanzo dell’omonima trilogia di Blanka Lipińska, già a partire dall’incipit 365 giorni suggerisce il proprio essere mediocre - successivamente comprovato dalla dura realtà dei fatti.
A consolidare questa sussurrata parvenza di mediocrità, un comparto tecnico estremamente cheap che fa acqua da tutte le parti, composto, in primis, da una regia e fotografia che oscillano costantemente tra uno spot di Dolce&Gabbana, un video musicale e un porno che sembra non partire mai… fino a che non parte, dando inizio ai veri problemi della produzione. Tra questi, troviamo sicuramente le varie e molteplici sequenze di sesso - alcune delle più imbarazzanti della storia del cinema, con primi piani e zoom estenuanti ed una perenne e confusionaria camera a mano che, più che alzare la temperatura, la congela definitivamente. Ciò nonostante, rispetto anche soltanto ad esponenti del genere erotico come il più famoso Cinquanta sfumature, le scene hot risultano leggermente più spinte e, se girate con perizia di causa, avrebbero fatto anche il loro dovere. Queste potenzialità sono però annientate dalle dinamiche attuative e dalle interpretazioni che, malgrado la fisicità appropriata degli attori, si convertono ben presto nella caricatura di sé stesse - soprattutto da un punto di vista espressivo. Il tutto è ultimato, in seconda battuta, da un montaggio sbozzato, caratterizzato da evidenti disconnessioni e illogicità, e da una colonna sonora ripetitiva e, alla lunga, irritante.
Il reale confronto con il già citato Cinquanta sfumature - da cui, per stessa ammissione dell’autrice, la stessa serie di libri prende ispirazione - si pone soltanto una volta venuti a contatto con i lidi pericolosi e sadisti della sceneggiatura. Difatti, don Massimo assomiglia, in molte indoli ed atteggiamenti, al ben più noto Christian Grey: entrambi sono dei bambini capricciosi, megalomani e pieni di sé con una peculiare indole al sadismo e alla perversione sessuale. C’è soltanto una differenza: Massimo è il leader di un clan mafioso siciliano. Questo suo lato criminale, oltre a dare il via all’intreccio vero e proprio, è il perno attorno a cui ruotano alcune delle lacune e mediocrità di scrittura principali. Partendo dal soggetto, dalla rapidità con cui Laura si abitua al rapimento e dalle reazioni dei vari personaggi, passando per la superficialità nella trattazione di certe tematiche e discorsi, arrivando fino alle varie incoerenze, esagerazioni e perplessità nei riguardi di - praticamente - tutte le sequenze che compongono questo aborto cinematografico, la sceneggiatura di 365 giorni è definibile con un solo aggettivo: latitante.
Come se non bastasse, quest’ultima e, di conseguenza, l’intera pellicola si fondano su un’idea - basata su una legittimazione e sessualizzazione di aspetti come sequestro, possessione, sadismo, amore tossico e sesso come mercificazione - sbagliata e diseducativa sotto ogni punto di vista. Tutto ciò - unito ad una caratterizzazione problematica di tutti i personaggi, dialoghi che toccano vette di puro trash e situazioni che si ripetono instancabilmente e ad oltranza - portano la visione da un intrattenimento quasi a sfottò del film alla noia e ridondanza più assolute, mettendo a dura prova la sanità mentale dello spettatore.
Un film che riabilita ciofeche indifendibili come la trilogia di Cinquanta sfumature e After. Un’opera di rara bruttezza, sbagliata e deleteria già sulla carta. Il primo capitolo di una papabile trilogia che ci auguriamo (ma forse sarà proprio così) non veda mai la luce. La prova tangibile che esiste sempre di peggio. Un disastro produttivo così tanto incisivo da cancellarsi automaticamente dalla mente dello spettatore, una volta finito. Un clone orripilante, enfatico e ampolloso che spero di impiegare meno di 365 giorni per dimenticare.