TITOLO ORIGINALE: Da 5 Bloods
USCITA ITALIA: 12 giugno 2020
USCITA USA: 12 giugno 2020
REGIA: Spike Lee
SCENEGGIATURA: Danny Bilson, Paul De Meo, Kevin Willmott, Spike Lee
GENERE: drammatico, guerra
PIATTAFORMA: Netflix
Satira e critica dell’amministrazione trumpiana, celebrazione dell’America nera e della sua eredità, omaggio dalle tinte documentaristiche, denuncia al capitalismo, road-movie goliardico ed elegiaco. Tutto e niente. Corredato da un ottimo comparto tecnico, l’ultima opera di Spike Lee non riesce tuttavia a splendere, travolta da una sceneggiatura forzatamente politica e dai toni propagandistici ed una totale assenza di equilibrio tra generi ed influenze. Un film che, aspirando ad essere manifesto, si trasforma nel suo contrario.
La guerra del Vietnam è sempre stata sinonimo di grandi successi - artistici e commerciali - per le case di produzione hollywoodiane. Numerosi sono stati e sono tuttora i film che trattano il conflitto, chi in forma più celebrativa, chi invece con il principale intento di demonizzare gli intenti e le motivazioni dietro lo scoppio del conflitto. Questo topos narrativo, che vide nella seconda metà degli anni settanta il suo picco di massima popolarità, ha partorito, tanto capolavori e cult della cinematografia mondiale, quanto film dalle volontà puramente goliardiche ed intrattenenti. Dunque, è quasi d’obbligo citare opere del calibro di Berretti Verdi, Taxi Driver (a riguardo del reinserimento sociale dei veterani), Apocalypse Now e Full Metal Jacket, e celebri successi commerciali come Rambo e Rombo di tuono. Nel 2020, a seguito di un processo produttivo travagliato, approda, in streaming su Netflix, l’ultima opera di Spike Lee, Da 5 Bloods - Come fratelli - nient’altro che l’ultimo esemplare del filone dei cosiddetti Viet-movie.
Il film segue le orme di Paul, Otis, Eddie e Melvin, quattro veterani afroamericani che, a distanza di quasi 50 anni, tornano in Vietnam per ritrovare un tesoro andato perduto durante il conflitto e recuperare la salma di Norman “Stornim’ Norman” Halloway, loro caposquadra e guida spirituale. Ciò nonostante, questo incipit - così interessante e dal grande potenziale rappresentativo - viene sfruttato da Spike Lee per dare origine ad una pellicola dai tratti profondamente politici e autocelebrativi. Al contrario di opere precedenti come Malcolm X o il recente BlacKKKlansman, Da 5 Bloods ci mette poco infatti a fare il passo più lungo della gamba, convertendo il tema dello sfruttamento e partecipazione degli afroamericani nel conflitto vietnamita in una pretestuosa e pilotata glorificazione dell’America nera e della sua eredità. Veramente peccato perché, da un punto di vista registico e tecnico, non c’è assolutamente nulla da ridire: in ogni singola inquadratura si respirano le atmosfere tipiche del cinema di Lee, così come pregevoli sono anche alcune scelte estetiche - veramente inaspettate e dinamiche. Ne è un esempio lampante il cambio di formato che intercorre nel passaggio da una temporalità all’altra del racconto.
Come precedentemente anticipato, i veri problemi della pellicola iniziano a presentarsi una volta entrati nel territorio di sceneggiatura e conseguente attuazione narrativa, stilistica e tematica. Da 5 Bloods non riesce infatti a sviluppare un dialogo e discorso che coinvolga attivamente ed emotivamente l’interiorità e il pensiero individuale ed intimo dello spettatore; non suscita alcun interrogativo o riflessione nei riguardi dell’argomentazione principale della pellicola. In questo, non aiutano certo la forma documentaristica - composta da inserti extra-diegetici come foto, filmati d’epoca e testimonianze dirette - con cui Spike Lee arricchisce e correda alcune sequenze e la totale assenza di un equilibrio funzionale tra i vari generi ed influenze che compongono il racconto. Oltre a provocare una mancanza controproducente di empatia nei confronti dei personaggi e delle loro vicende, questi due aspetti rendono dunque la pellicola un mix borioso e presuntuoso che, non riuscendo a sviscerare correttamente quasi nessuno dei temi preposti, si trasforma ben presto in noia ed apatia.
Una satira e critica all’amministrazione trumpiana, un in memoriam del sacrificio di tutti gli afroamericani che, nella speranza di un cambiamento sociale in patria, si arruolarono per poi essere sacrificati in prima linea, un omaggio dalle tinte documentaristiche alla storia ed eredità dell’America nera, una denuncia al capitalismo, un road-movie goliardico ed elegiaco, un manifesto del movimento Black Lives Matter: Da 5 Bloods finisce per ridursi ad un’accozzaglia frammentata e discontinua di idee, fatta di dialoghi dimenticabili e dai toni ostentatamente e forzatamente propagandistici ed una costruzione stereotipata e poco approfondita dei personaggi. Il cast, dal canto suo, tenta di riabilitare una scrittura trascurabile con prove attoriali pregevoli - destinate tuttavia ad essere sommerse da un racconto enfatizzato e svogliato nella sua piena interezza. A ciò, si aggiungono, in ultima battuta, una messa in scena che, seppur originale ed inattesa in molte sue scelte, si perde nella retorica più semplicistica e conveniente, una durata che si fa sentire ed una colonna sonora spesso incoerente e mal integrata con la rappresentazione.
Ponendosi non solo come naturale successore e discendente del ramo più impegnato e critico nei confronti di quello più commerciale dei sopracitati Viet-movie, ma anche come commemorazione e rievocazione di ciò che fu ed è la lotta contro la discriminazione degli afroamericani, Da 5 Bloods tradisce completamente i propri intenti, convertendosi in un film che, aspirando allo status di manifesto, verrà relegato invece alla quarta di copertina.