TITOLO ORIGINALE: The VVitch: A New-England Folktale
USCITA ITALIA: 18 agosto 2016
USCITA USA: 19 febbraio 2016
REGIA: Robert Eggers
SCENEGGIATURA: Robert Eggers
GENERE: orrore
Vero e proprio approdo al mondo della regia cinematografica da parte di Robert Eggers, The VVitch è uno dei migliori film horror degli ultimi anni. Una regia claustrofobica, statica ed angosciante, una sceneggiatura attenta e crudissima, un’estetica sporca e fatata, interpretazioni esasperate e perfettamente dirette ed una colonna sonora opprimente completano un soggetto originale ed insperato nello stantio panorama horrorifico contemporaneo.
E’ quanto meno evidente che Robert Eggers sia un profondo conoscitore ed amante del cinema russo anni ‘70-‘80 e di registi come Elem Klimov e Andrei Tarkovsky. Basti soltanto pensare alle inquadrature d’apertura di The VVitch - senza inutili giri di parole, uno dei migliori film horror degli ultimi anni. Ispirandosi a giornali, dicerie, diari e resoconti giudiziari del XVII secolo, ma anche a cult del cinema britannico di genere come The Wicker Man di R. Hardy, Eggers dà vita ad una pellicola quanto mai originale e benvoluta nel panorama horrorifico attuale - costituito principalmente da presenze e spiriti burloni e spaventosamente scontati e dai tanto blasonati quanto sdoganati jumpscares. Ambientato nel New England del 1630, The VVitch segue le orme di una famiglia puritana allontanata dalla comunità di appartenenza per il proprio estremismo nella comprensione della parola di Dio, trasferendosi in una piccola fattoria vicino al bosco. Questa esasperazione, superstizione e fanatismo religiosi, da parte del padre William e della moglie Katherine, vengono naturalmente interiorizzati e diventano pane quotidiano anche per i cinque figli della coppia. Un giorno, però, mentre Thomasin - la figlia maggiore - sta badando al neonato Samuel, questi scompare misteriosamente nel bosco, non venendo più ritrovato. Questa scomparsa sarà la scintilla di innesco di un vero e proprio circolo vizioso fatto di odio, pregiudizio, bugie e morte.
Alla regia del suo primo lungometraggio, Robert Eggers dimostra un’inaudita caratura e consapevolezza tecnica, mettendo in campo una direzione efficace ed estremamente angosciante: inquadrature statiche ed equilibrate nella geometria dell’immagine - veri e propri quadri dipinti dalla cinepresa -, sequenze composte da rari e lentissimi movimenti di macchina e zoom tanto graduali quanto irrequieti. Suddetta staticità non fa che generare una tensione ed un turbamento crescenti nello spettatore, il quale inizia a temere anche soltanto un raccordo sonoro o un taglio di montaggio. In più, la macchina da presa di Eggers compie una letterale esplorazione e ricerca espressiva ed ossessiva sui volti dei propri attori - che piega e modella a proprio piacimento. Questo studio e lavoro registico, combinato a potenza, immedesimazione ed esasperazione delle interpretazioni, dà origine ad un mix coinvolgente, disturbante e doloroso. Ad un certo punto, ci si dimentica quasi di star vedendo un film e non una testimonianza di fatti realmente accaduti (come se fosse un found-footage riscoperto secoli dopo gli avvenimenti, seppur storicamente inverosimile).
Questa immedesimazione e compartecipazione negli eventi da parte del pubblico è suscitata, in primo luogo, dall’estetica - sporca e magica -, dalla colonna sonora oppressiva e dal contesto storico perfettamente ricostruito - validato, in primis, da una fotografia autentica, basata esclusivamente su illuminazione naturale, e da un’ambientazione dark al limite del suggestivo. Il fanatismo religioso, il timore del demonio e della dannazione eterna - temi principali dell’opera - sono percepibili e palpabili e vengono ribaditi così tanto - come una specie di litania maledetta - da rendere lo spettatore partecipe e complice di questa famigliare caccia alle streghe.
Come nella miglior tradizione thriller/horror, anche la sceneggiatura di Eggers gioca moltissimo sulle anticipazioni e sui rimandi a dialoghi, azioni o abitudini dei personaggi che concorreranno nella futura evoluzione del proprio arco narrativo. Numerosi sono, inoltre, i riferimenti visivi e dialogici alla dimensione del bosco - da sempre, sinonimo di magia oscura, pericoli, creature fantastiche o, banalmente, morte. Un altro tema preponderante in The VVitch, oltre ai già citati pregiudizio, fanatismo - che si converte poi in ipocrisia - , stregoneria e superstizione, è la piccolezza e fragilità dell’uomo di fronte alla grandezza ed energia della natura, presente e determinante ogni singola inquadratura, nonché i destini e le vite dei vari personaggi. Da un lato, troviamo pertanto una fede relativamente moderna, ma, alla lunga disonesta; dall'altro, un qualcosa di molto più oscuro, occulto ed esoterico che fa della natura la propria mano e il proprio habitat principale.
Infine, per quanto riguarda, invece la componente horrorifica, The VVitch colpisce innanzitutto per la suddetta originalità del setting storico-temporale, per l’immedesimazione rispetto agli incubi sperimentati dai personaggi e per la frequente reazione di shock che la pellicola provoca nel pubblico. Al contrario, creativamente parlando, non è tutto rose e fiori. L’opera pecca infatti di qualche risvolto prevedibile e di un’innovazione mancante per quanto riguarda alcuni aspetti, simboli ed elementi tipici dell’horror satanico, rituale e spiritico. Malgrado ciò, questi minimi scivoloni non vanno comunque a minare l’integrità e la riuscita finale di The VVitch, prima opera a dir poco inaspettata ed insperata, primo fortunato e prestigioso passo, di uno dei volti autoriali più promettenti dell’horror contemporaneo.