TITOLO ORIGINALE: Unforgiven
USCITA ITALIA: 19 febbraio 1993
USCITA USA: 7 agosto 1992
REGIA: Clint Eastwood
SCENEGGIATURA: David Webb Peoples
GENERE: western, drammatico
PREMI: 4 PREMI OSCAR tra cui MIGLIOR FILM e MIGLIOR REGIA
Clint Eastwood dirige, interpreta e produce ciò che da molti è considerato come l’addio personale dell’attore al genere che lo ha lanciato, nonché come l’ultimo grande western classico. Una regia precisa, tradizionale ed iconografica, una sceneggiatura dal ritmo lento e sofferto, interpretazioni da Oscar, una fotografia naturale e povera ed una colonna sonora intima sono la base per uno dei primi capolavori di Eastwood regista, un western diviso tra classicità e modernità da vedere e rivedere.
Nel mondo del cinema, se si cita il nome Clint, nel 99% dei casi ci si sta riferendo al grandissimo Clint Eastwood. Il pistolero solitario anonimo ed inespressivo nella Trilogia del dollaro di Sergio Leone, oggi come oggi, oltre ad essere una delle icone immortali di Hollywood, è pure sinonimo di crescita artistica. Partendo da Sergio Leone, passando per i war movie alla Dove osano le aquile, arrivando fino ai thriller e ai drammi recenti, come l’ultimo Richard Jewell (con Eastwood dietro la macchina da presa), la sua carriera è indubbiamente una delle più grandi e blasonate della cinematografia occidentale. Nel 1992, Eastwood compie simultaneamente un ritorno (il suo primo ruolo da protagonista lo ottenne con lo show Gli uomini della prateria) ed un addio alle proprie radici western, dirigendo e producendo Gli spietati.
Vincitore di ben 4 premi Oscar, Gli spietati vede l’attore nel ruolo dell’ex-pistolero Will Munny, il quale si mette sulle tracce, insieme al suo vecchio partner ed ad un giovane pistolero, di alcuni uomini accusati di aver sfregiato una prostituta. Questa caccia all’uomo - che permetterebbe al pistolero di garantire un futuro roseo ai suoi due figli - si convertirà ben presto in un viaggio intimista e spirituale che, incrociandosi con lo sceriffo Little Bill, metterà a dura prova Munny e compagni. Con Gli spietati, Eastwood, sia dietro che di fronte alla macchina da presa, dà vita ad un western tra novità e classicità. Nella direzione della pellicola, il regista adotta una tecnica interamente tradizionale sia nella scelta dei piani che dei movimenti di macchina, ma potente da un punto di vista visivo ed iconografico. Le figure e i paesaggi diventano un tutt'uno su schermo e si influenzano a vicenda in un continuo gioco di prevaricazioni e dominio dell’inquadratura.
Sono presenti tutti gli stilemi tipici del western tuttora mitizzato: il pistolero, lo sceriffo, i banditi, le prostitute, i cavalli, le armi. La classicità si recupera anche da un punto di vista registico, soprattutto nella costruzione di sequenze come quella della sparatoria nel saloon. Tuttavia, questo modello western tipico viene ribaltato e demitizzato fin da subito, rendendo il tutto molto più sofferto, scoraggiato e realistico. Suddetto rovesciamento è palese fin dalla presentazione del protagonista che, a differenza di un Uomo senza nome o di un Ringo Kid, viene introdotto in modo anti-eroico ed atipico (sopraffatto da un paio di scrofe e immerso nel fango e negli escrementi) e prosegue fino all’epilogo - tremendamente intimo e privato.
Adottando un’esemplare struttura a cerchio, la pellicola è pervasa da un ritmo pacato, afflitto, sofferto, ma anche progressivamente e lentamente crescente. Questa lentezza generale non risulta però monotona, anzi ben si amalgama con il racconto e la componente emotiva del film. Will e compagni si imbarcano dunque in una specie di ultima missione, attraverso l’inferno della vecchiaia, dell’inettitudine e della pochezza d’animo, per guadagnarsi forse una simil-vita eterna. Ciò nonostante, la vita da pistolero ormai non appartiene più a Munny, il quale trova ostico e difficoltoso anche solo montare a cavallo e sparare con una colt. Si procede perciò mediante una costruzione climatica legata più al genere del dramma riflessivo, presentando al contrario un contesto western avvilito, agli sgoccioli e senza alcuna speranza. Pur presentando pochissime sequenze prettamente action, l’opera mantiene una tensione narrativa costante: lo spettatore viene costretto, da regia e montaggio - solido e preciso -, a stare sempre in allerta, aspettandosi inutilmente che, da un momento all'altro, la situazione precipiti.
Nel mondo de Gli spietati inoltre non esistono buoni, brutti o cattivi, ma soltanto esseri umani, nessuno è perfetto o un eroe senza macchia e senza paura. Tutti, dal primo all'ultimo, risultano fallaci e mancanti. Questa fragilità viene restituita perfettamente dagli attori coinvolti (tra cui si contano anche il premio Oscar Gene Hackman e Morgan Freeman), dalla fotografia naturale e povera di Jack N. Green e dalla colonna sonora di Lennie Niehaus - priva di temi smaccatamente epici e solenni.
Con Gli spietati, Clint Eastwood imbastisce una visione estremamente lucida e matura di un western stanco sul finire del secolo. Tutto ciò porta ad uno scontro con la dura realtà dei fatti, alimentando un discorso meta-cinematografico sullo status del western e sull'importanza di figure come Eastwood per una venerazione moderna del genere. In un cinema come quello degli anni ‘90, infatti, i film di cowboy di stampo classico ormai non hanno nulla di nuovo da aggiungere e necessitano di una rivoluzione di poetica per garantirgli una futura sopravvivenza. Gli spietati può essere quindi vista come un’opera di passaggio tra una vecchia ed una nuova scuola western, composta da cult come Non è un paese per vecchi, ma anche, infine, come uno dei primi veri capolavori di Eastwood regista, come l’ultimo grande western di stampo classico.