TITOLO ORIGINALE: Christiane F. - Noi, ragazzi dello zoo di Berlino
USCITA ITALIA: giugno 1981
USCITA GERMANIA OVEST: 2 aprile 1981
REGIA: Uli Edel
SCENEGGIATURA: Herman Weigel
GENERE: drammatico
Uli Edel dirige la trasposizione del romanzo autobiografico di Christiane F. rendendo lo spettatore testimone di una verità a lungo taciuta, ma di fronte a cui nessuno deve rimanere passivo. Una regia inserita negli eventi, ma anche fredda e diretta, una sceneggiatura profonda e tagliente che sacrifica alcuni pezzi del libro ed una colonna sonora iconica completano un film che ha fatto la storia
Anni ‘70. Berlino Ovest. Christiane è una ragazza quattordicenne normalissima, come tante altre della sua età: genitori divorziati, un rapporto abbastanza complicato con la madre, la passione per la musica di David Bowie, la vita ed il futuro davanti a sé. Questo è ciò che un estraneo vedrebbe se incrociasse Christiane per strada, per esempio. Purtroppo, la realtà dei fatti è ben diversa. Christiane infatti è una tossicodipendente ed eroinomane che arriverebbe a prostituirsi e rubare pur di procurarsi una dose. Ispirandosi liberamente all’omonimo romanzo autobiografico di Christiane F., K. Hermann e H. Rieck, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel racconta la realtà preoccupante di droga e prostituzione minorile nella Germania dell’epoca, dando vita ad un film iconico che ha fatto storia.
Edel prende la materia letteraria originale e non fa che potenziarla ulteriormente, rendendola quanto mai graffiante ed incisiva. Mediante una regia calata profondamente nel dramma di Christiane, ma, allo stesso tempo, tagliente, fredda e realistica, il cineasta apre gli occhi al mondo intero, rendendolo conscio di una guerra che ancora oggi semina morte e distruzione. Una guerra praticamente invisibile, ma ugualmente dolorosa e letale, quasi quanto un conflitto armato vero e proprio. Questo dolore, angoscia e sofferenza - presentati allo spettatore sempre attraverso gli occhi della protagonista - vengono drasticamente sottolineati da una rappresentazione palese ed incensurata che non si astiene dal mostrare anche i dettagli più sudici e scabrosi. Primi piani amari e profondamente espressivi di figure distrutte si alternano a carrellate e totali che illustrano egregiamente il degrado e l’abbandono di molte aree della capitale tedesca, come quella del Bahnhof Zoo. Ogni singola inquadratura costruita dalla macchina da presa di Uli Edel è un quadro indimenticabile, testimoniante il problema imperante e dilagante dell’eroina tra la gioventù berlinese.
Questa inquietudine generale e pervasiva è infine irrobustita da ambientazioni squallide, grigie e claustrofobiche, una fotografia fredda e cinica ed un ritmo inarrestabile e soffocante. Come deducibile, il fulcro dell’intero racconto è rappresentato dagli stessi personaggi che, con l’evolversi delle vicende, si tramutano in veri e propri scheletri vaganti, scavati e segnati da una vita dissoluta e straziante.
La sceneggiatura della pellicola, scritta da Herman Weigel, si focalizza particolarmente sulla ricerca costante ed ininterrotta di una dose per passare il tempo e sopportare la pesantezza del vivere quotidiano. Tuttavia, nella trasposizione dell’opera letteraria sulla vita e sull’esperienza con la droga di Christiane, Weigel taglia interi segmenti del romanzo originario - riguardanti sia l’infanzia di Christiane che i suoi vari tentativi di disintossicazione -, permettendo allo spettatore di entrare subito nel vivo della vicenda e rendendo il racconto in sé molto più fluido e scorrevole. Parallelamente però questa resa e sintesi semplicistica dell’intreccio porta alla conseguente e parziale mancanza di un approfondimento ed introspezione valida dell'interiorità e delle motivazioni dei personaggi e del problema sociale rappresentato e denunciato.
Ciò nonostante questa lenta discesa nel tunnel della droga da parte di Christiane e del suo gruppo (accomunati soltanto dal proprio attaccamento all’eroina e dalle false speranze di uscirne, prima o poi), rappresentata in maniera realistica, concreta ed oggettiva dalla visione registica di Edel, viene resa incredibilmente irrazionale ed empatizzabile dalla costruzione dei personaggi operata da Weigel. Credibili, umane, fallaci, ingenue per non dire illuse, perdute - il prodotto di una forte assenza genitoriale e delle istituzioni -, le figure che compongono il racconto e la vita di C. sono il veicolo attraverso cui si esprimono la critica e denuncia sociale della pellicola.
Questa costruzione - così complessa e sofferente - dei personaggi è sensibilmente intensificata dalle diverse ed ottime interpretazioni, affiancate, in ultima battuta, ad una colonna sonora iconica, martellante, caratterizzante la scena musicale del tempo e composta principalmente da numerosi successi del grande David Bowie - che compie anche un piccolo cameo all’interno del film.
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è uno dei pochissimi film che riescono letteralmente a fare breccia, in maniera impetuosa e brutale, nell’animo dello spettatore, rendendolo testimone di una verità scomoda, per anni taciuta e trascurata da parte dell’opinione pubblica. Per quasi 2 ore e trenta, lo spettatore viene così inglobato e travolto dal dramma angosciante e tormentato di Christiane e del Bahnhof Zoo, uscendone completamente e profondamente trasformato. La visione del film di Uli Edel è un’esperienza a dir poco unica ed irripetibile, ma anche terribilmente necessaria, poiché racconto indelebile di una realtà di fronte a cui nessuno deve e dovrà rimanere passivo.