TITOLO ORIGINALE: Il traditore
USCITA ITALIA: 24 ottobre 2019
REGIA: Marco Bellocchio
SCENEGGIATURA: Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo
GENERE: drammatico, biografico, gangster
PREMI: 6 DAVID di DONATELLO tra cui MIGLIOR FILM e MIGLIOR REGISTA
Il pluripremiato regista Marco Bellocchio dirige un Pierfrancesco Favino mastodontico e camaleontico in questo biopic solidissimo e colossale sulla vita e la storia di Tommaso Buscetta, il primo pentito. Una regia stabile e potente, un montaggio sbalorditivo, una colonna sonora coerente e prove attoriali magnifiche arricchiscono una sceneggiatura complessa, profonda, consapevole e ricca di tensione. Grande arte e grandi emozioni in un film importantissimo per il cinema italiano
Fresco di sei premi agli ultimi David di Donatello, Il Traditore di Marco Bellocchio è senza ombra di dubbio una delle pellicole migliori del cinema italiano degli ultimi anni. Produzione mastodontica di 4 paesi (Italia, Germania, Francia e Brasile), l’opera di Bellocchio racconta la storia e la vita di Tommaso Buscetta, prima mafioso ed affiliato di Cosa Nostra, poi collaboratore di giustizia. La sua testimonianza ha portato all’arresto, tra gli anni ‘80 e ‘90, di centinaia di latitanti e membri del clan e contribuito ad aprire gli occhi dello Stato italiano sulla potenza dell’associazione criminale non solo in patria, ma anche all’estero. Con Il traditore, Bellocchio non vuole omaggiare e rendere Buscetta un’icona cinematografica e biografica, bensì narrare un pezzo di storia italiana non sempre rispolverato a dovere ed immerso tra luce e ombra.
Pluripremiato regista di film come La Cina è vicina, il cineasta emiliano dimostra, con questo film, tutta la sua abilità tecnica e nella costruzione di inquadrature e sequenze memorabili. La macchina da presa accompagna, in maniera solida, ferma e decisa, la biografia di un individuo diviso tra fedeltà e senso di colpa, tra famiglia e dovere morale, tra passato e presente. Più che su sequenze adrenaliniche e costruite su tensione ansiogena e colpi di scena (presenti, ma minime se considerate nel complesso), la pellicola si fonda principalmente su dialoghi, confronti e sulla ricostruzione pedissequa e precisa di famigerati maxiprocessi come quello di Palermo. Ed è proprio in questi frangenti - prettamente narrativi e basati sull’efficacia e sulla chimica tra sceneggiatura ed interpretazioni - che la regia di Bellocchio dà il meglio di sé, conferendo ritmo e mordente a frammenti filmici che, se trattati con incoscienza e leggerezza, rischierebbero di convertirsi in un qualcosa di noioso e sofferto da parte dello spettatore.
Quindi, semplicemente con il proprio occhio ed abilità registici, Bellocchio cadenza e rende interessante e tesissima una semplice discussione tra due ex-mafiosi. In questi momenti, la direzione esalta e valorizza soprattutto la gestualità, gli sguardi e la mimica, ma anche il tono e l’intensità degli interpreti, che arrivano ad essere praticamente il fulcro di ogni singolo piano. Di conseguenza, anche soltanto attraverso la gestione e la resa dei dialoghi che compongono la sceneggiatura, la tensione risulta crescente e costante per tutta la durata della pellicola: nonostante si veda e si mostri pochissimo, la mafia e la sua pericolosità sono sempre in scena e percepibili, oltre che imperanti sul capo dei personaggi.
Tutto ciò è riconducibile - oltre che al prestigio e stabilità della regia di Bellocchio - principalmente al montaggio fenomenale (che non molla mai la presa ed arricchito dall’inserimento di frammenti non diegetici e metaforici) di Francesca Calvelli, alla fotografia multiforme rispetto alla dimensione temporale del film di Vladan Radovic, alla colonna sonora coerente ed accordata perfettamente con l’impalcatura filmica di Nicola Piovani e dalla sceneggiatura - ricchissima, complessa e caratterizzata da uno studio e ricerca pre-produttivi sbalorditivi. Facendo una cernita dei momenti più importanti e significativi, nell’economia del racconto, della vita di Buscetta, la sceneggiatura scritta a dieci mani de Il traditore narra, con perizia di dettagli ed introspezione psicologica ed interiore, l’ascesa e la caduta di un fedele e fervente credente degli ideali di Cosa Nostra, che, con l’arrivo dei Corleonesi, non riconosce più.
I dialoghi - narrativamente fluidi, intelligenti, astuti e realistici - non rappresentano che la base ed il pilastro costitutivo di una vicenda colossale ed introspettiva costruita su nomi, personalità e figure rinomate che qui vengono rese umane e mortali e basata sulla trattazione di temi come la colpa, il pentimento e la giustizia. Pedine di questo machiavellico e brutale domino di causa ed effetto, i meravigliosi interpreti - fusi completamente con il proprio ruolo e fisionomicamente identici alle proprie controparti reali. Su tutto il cast, i tre che spiccano maggiormente sono sicuramente un Pierfrancesco Favino (vincitore del suo terzo David) maestoso e così immedesimato nel personaggio di Buscetta da annullare completamente il confine tra personaggio e attore; un Luigi Lo Cascio in una delle sue prove migliori ed un Fabrizio Ferracane sorprendente.
Nonostante le sue due ore e trenta di durata, Il traditore scivola come fossero pochi minuti - certo non senza qualche piccolo scivolone -, ricordando e dimostrando che nel Bel Paese sono ancora presenti registi e personalità artistiche forti e in grado di far discutere del nostro cinema anche a livello internazionale. Il traditore di Marco Bellocchio è un biopic fenomenale che, da un punto di vista tecnico e narrativo, non ha nulla da invidiare a produzioni americane ben più blasonate. Un’opera semplicemente marmorea ed immensa di cui si continuerà a parlare per molto tempo.