TITOLO ORIGINALE: I am not okay with this
USCITA ITALIA: 26 febbraio 2020
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
GENERE: commedia drammatica, dramma adolescenziale
N. EPISODI: 7
DURATA MEDIA: 19-28 min
Dai produttori di Stranger Things e dalla mente distorta di Jonathan Entwistle, creatore di The End of the F***ing World, nasce I am not okay with this, serie Netflix a metà tra comedy e paranormale. Sophia Lillis e Wyatt Oleff magistrali nei ruoli principali di Sydney e Stanley. Menzioni e rimandi a Carrie di S. King, la stessa Stranger Things e alla comicità di The End fanno di questa stagione un buon trampolino di lancio per promettenti lidi narrativi
The End of the F***ing World è stata, senza ombra di dubbio, una delle più grandi rivelazioni e sorprese del panorama televisivo odierno. Una comedy nera, tagliente, graffiante, così vera e così umana non si vedeva da un po’ di tempo sul piccolo schermo. Nonostante la sua anima da commedia nera, dissacrante e leggermente no-sense, The End contiene alcune delle scene e degli intrecci più disturbanti, a livello emotivo e sentimentale, che io abbia mai visto in una serie televisiva. Notevole nella prima stagione, questa caratteristica del serial è stata mantenuta ed alimentata dalla serie di episodi successiva – rilasciata da Netflix sul finire dello scorso anno. Conclusa l’avventura con i fuggitivi ed, apparentemente, apatici Alyssa e James; Jonathan Entwistle, creatore e mente dietro la realizzazione della serie, tenta di recuperare, almeno leggermente, quell’umanità più vivace e spensierata che aveva perso con le due stagioni di The End. Infatti, se in quest’ultima, il genere umano e il pianeta intero erano visti come un qualcosa destinato a perire, sotto la propria generale e persistente incomunicabilità ed apatia; in I am not okay with this, si prova a costruire una serie dalle premesse più rosee e spensierate. Ma, perfettamente nello stile di Entwisle, questa quiete durerà e si manterrà per poco tempo, pronta ad essere spazzata via da un’ondata di avvenimenti misteriosi e paranormali. Come per The End, l’idea e la storia che compongono quest’ultima serie originale Netflix non sono interamente frutto di Entwisle, bensì essi sono la base dell’omonima graphic novel di Charles Forsman – autore anche del fumetto con Alyssa e James. Il creatore di The End non ha fatto altro che approcciarsi, con il proprio stile comico e la propria visione di prodotto televisivo, alla materia originale, plasmandola e facendola sua, rendendola conforme al suo stile. Ma di preciso, di cosa parla questa I am not okay with this?
La serie segue le orme di Sydney, giovane diciassettenne (come si definisce lei, <<una noiosa diciassettenne bianca>>), appena trasferitasi con la famiglia nella piccola cittadina di Brownsville, Pennsylvania. Alle prese con il difficile ed ovviamente disastroso – per la sua famiglia – suicidio del padre, la giovane Syd sta ancora cercando il suo posto, sta ancora tentando di acclimatarsi nel liceo che frequenta, la Westinghouse Arts Academy Charter School, con scarsi risultati. Syd sembra star bene e andare d’accordo solamente con Dina, sua coetanea e, ben presto, migliore amica. Le due, così diverse e agli antipodi, sono accomunate dal fatto che entrambe sono state soggetto di un recente trasloco e dai rispettivi sforzi per stringere nuove amicizie e fare conoscenza con i compagni. A quanto pare, Dina ci sa fare, sicuramente di più dell’introversa Syd, e si fa notare subito dal corpo studentesco, fidanzandosi con Brad Lewis, il capitano della squadra di football, il ragazzo più popolare della scuola. Il fidanzamento di Dina porta quest’ultima a passare sempre meno tempo con Sydney che, intanto, stringe un rapporto molto intimo, personale e particolare con il suo vicino di casa, Stanley Barber, ragazzo dai gusti e modi anomali, ma altrettanto curiosi ed interessanti. Chi crede che tutto ciò non sia altro che una tipica situazione ed un classico contesto adolescenziale, già visto e stravisto in altri prodotti simili, rimarrà stupito da I am not okay with this e dalla peculiare svolta che caratterizza la serie.
Difatti, Syd, in un momento di stress, abbastanza complesso e concitato, da un punto di vista interiore e sensazionale, inizia a pensare e nota, di tutto punto, di avere qualcosa che non va, di essere diversa dal resto dei suoi coetanei, di possedere degli strani, ma potenti e pericolosi poteri. Poteri che potrebbero cambiare completamente la sua vita, svelandole un passato a lungo taciuto ed omesso. Jonathan Entwistle torna, con questo I am not okay with this, dietro la macchina da presa, dando vita ed animando, da un punto di vista registico, un racconto di per sé convincente ed intrigante, sin dall’incipit. Egli mette in campo una direzione abbastanza rigorosa, nei confronti della grammatica e della costruzione dell’inquadratura e dell’immagine, estremamente geometrica e formale, creando, così, una sorta di distacco tra regista e pro-filmico. Nella rappresentazione delle stranezze che circondano la vita della giovane ed impassibile Syd, Entwistle dimostra una simmetria incredibile, quasi statuaria ed immobile, dando vita ad un contrasto visibile tra ciò che viene raccontato e il modo con cui questo viene mostrato allo spettatore. Ad ogni modo, il tutto, come spesso accade in serie del genere, viene pensato e progettato in funzione di una valorizzazione e considerazione centrale del personaggio, nell’economia del rettangolo televisivo, senza, di conseguenza, spingersi in movimenti di macchina arditi, pensando la regia, quasi esclusivamente, in vista della trasposizione pedissequa e centrale della sceneggiatura.
Nonostante la presenza e l’utilizzo di una struttura estremamente lineare e tradizionale, la serie, fin dai primi minuti della prima puntata, si diverte a coinvolgere lo spettatore e a lasciare che la sua immaginazione corra, pensando a come si sia potuti arrivare a quella determinata situazione. Di fatto, la prima sequenza dell’episodio iniziale di I am not okay with this introduce la nostra Syd, ma lo fa in un modo abbastanza strano, ma significativo ed evocatore, per chi conosce o ha letto Carrie di Stephen King. La nostra Sophia Lillis viene mostrata in fuga, dalla polizia si presume, e ricoperta di sangue dalla testa ai piedi. Il riferimento a King e all’immaginario, che il pubblico si è creato attorno al personaggio di Carrie White, è abbastanza evidente. Ma, su questo aspetto tornerò in seguito. Perciò, pur mantenendosi su standard e su una struttura della storyline abbastanza lineare e consequenziale, I am not okay with this utilizza, in maniera del tutto efficace, la tecnica e lo strumento dell’anticipazione, andando a costruire, così, un racconto che si apre e si conclude in modo perfettamente circolare. Lo spettatore scoprirà come abbia fatto Syd a ridursi così, ma lo scoprirà soltanto sulle battute finali dell’ultima puntata. Intanto, c’è, comunque, questo presagio che sovrasta tutta quanta la vicenda della serie ed impera ed attanaglia la mente dello spettatore. Tuttavia, anche se l’apertura si muove su toni abbastanza horrorifici, direi quasi splatter, la sequenza successiva cambia drasticamente le atmosfere e la tensione causata da questi primi istanti. I am not okay with this, come intuibile da qualsiasi trailer o anche solo dalle menti coinvolte nella sua produzione, non appartiene ad un genere in particolare, bensì, per essere più precisi, a due, forse tre filoni narrativi. Abbiamo, appunto, la comedy, il racconto di formazione ed un mix di horror, splatter e paranormale. In questa prima stagione, le componenti che prevalgono sono, in ogni caso, il genere comico e quello del racconto di formazione – essendo i protagonisti adolescenti ed ambientando la vicenda in una scuola. Ed è proprio nelle sequenze prettamente comiche e divertenti che si scatena lo stile di Entwistle – aiutato, nella scrittura della serie, dall’esordiente Christy Hall e da Liz Elverenli, Tripper Clancy e Jenna Westover. In questi segmenti, si nota e ritorna moltissimo il lavoro fatto su The End, con la riproposizione, forse fin troppo pedissequa, del tipo di umorismo – tagliente, affilato e lievemente no-sense -, di certe situazioni e momenti imbarazzanti e della costruzione abbastanza apatica e distaccata, apparentemente, del personaggio principale.
Ed è, qui, che si pone la questione, centrale per il giudizio dell’intera serie, su citazionismo o riproposizione e ripetizione spudorata? Difatti, Alyssa di The End e la nostra Syd in svariati atteggiamenti ed in certi momenti, si assomigliano. Nonostante, comunque, la costruzione dei personaggi sia uno dei pregi maggiori di questa serie e di questa prima stagione, la stessa, a volte, appare fin troppo debitrice dallo stile e dalle caratteristiche principali della precedente fatica televisiva di Entwistle. Anche qui, noi spettatori, veniamo a conoscenza ed entriamo nella psicologia della nostra giovane protagonista, attraverso riflessioni interiori e pensieri vari. Si aggiunge soltanto la componente del diario, decisiva ai fini del racconto e dell’evoluzione della protagonista e punto d’inizio di ogni episodio. Questa aggiunta, tuttavia, è minima, considerando il resto del quadro, caratterizzato dalla riproposizione di situazioni e di una comicità identica a quella di The End. E’ vero, come affermato sopra, in I am not okay with this, non si respira la stessa atmosfera di perdizione e di distruzione dell’umanità, ma questo senso di mistero, di scomparsa di ogni valore buono o positivo è persistente per tutti e sette gli episodi della serie, rappresentato sia dal potere di Syd, che dal fatto che nulla sembra andargli bene. Detto questo, però, c’è anche da sospettare che il “copy-and-paste” di questo tipo di comicità – che, comunque, funziona molto bene - possa essere stato opera di Entwistle, desideroso di creare una continuità con la serie su James e Alyssa, chiedendo, di conseguenza, a tutti gli scrittori, di adottare la sua traccia ed applicarla ad ogni singolo episodio.
Un altro termine a cui si applica suddetta questione sono i poteri di Sydney, che ricordano, per certi versi, quelli di Undici di Stranger Things – sempre di Netflix -, per altri, quelli di Carrie nel romanzo omonimo di Stephen King. Partendo dal fatto che Stranger Things stessa prende e ha preso moltissimo del suo contenuto e dei suoi spunti dall’intera bibliografia di King; in questo caso, si passa dal riferimento, alla riproposizione evidente di certi momenti di entrambe le opere. Un esempio è la già citata sequenza di Syd che scappa ricoperta completamente di sangue con cui si apre e si chiude la serie. Un altro esempio, invece, è, appunto, la natura stessa dei poteri della giovane protagonista: mentali, potenti, distruttivi e legati ad un background misterioso ed oscuro, come, appunto, quelli di Undici. Vi sono, in più, dei parallelismi abbastanza curiosi sempre con il prodotto precedente creato da Jonathan Entwistle, come, per fare un esempio, il fatto che I am not okay with this si chiuda con una fuga che conduce ad un cliffhanger potente – che genera attesa nello spettatore – e che, nel finale della prima stagione di The End, siano la fuga di James e il conseguente sparo, il cliffhanger stesso. Un ultimo parallelismo tra l’ultima fatica di J. Entwistle ed una delle serie più popolari della piattaforma streaming – Stranger Things, ovviamente – è il fatto che, in entrambe, tra i protagonisti, troviamo giovani interpreti, divenuti, fin da subito, talentuose promesse della recitazione. Stranger Things è stato il motore della carriera di Millie Bobby Brown, trasformatasi, ora come ora, in uno dei volti più in vista e promettenti, non solo della giovane Hollywood, ma anche dell’intero panorama cinematografico e televisivo.
Come protagonista, nella serie creata da Entwistle, abbiamo, al contrario, la talentuosa ed espressiva – superiore, a volte, alla “rivale” Millie – Sophia Lillis – che abbiamo già visto nel ruolo di Beverly Marsh nel primo capitolo del reboot moderno di It (stranamente, tratto da un romanzo di Stephen King). Al contrario del film col pagliaccio assassino; in I am not okay with this, la Lillis ruba costantemente la scena, regalando scene e momenti seriamente coinvolgenti e potenti, in cui dimostra di saper e poter reggere i fili del racconto e dell’intera serie completamente sulle sue spalle. Il suo volto raggiunge livelli espressivi impressionanti e sbalorditivi per un'attrice in erba come lei. C’è da dire, infine, che la giovane interprete si cala completamente nel personaggio, potenziando esponenzialmente una caratterizzazione già eccellente sulla carta. Ad accompagnarla, l’altrettanto sorprendente Wyatt Oleff – collega della stessa Lillis in It del 2017, nel ruolo di Stan (questo è anche il nome del personaggio che, per caso oppure no, interpreta nella serie) Uris. Se , però, nel film horror di tre anni fa, la figura interpretata da Oleff era abbastanza di contorno e poco presente rispetto al libro; nella serie di Entwistle, il suo è, senza dubbio, uno dei personaggi più interessanti (un esempio è dato dalla mitica scena dei preparativi per la festa di compleanno) e dalla psicologia più complessa. In conclusione, I am not okay with this può essere visto, ad una prima e superficiale occhiata, come un semplice calderone di elementi, momenti, citazioni e riproposizioni, un mix di vari prodotti televisivi e non; ma, guardando più a fondo, si riconoscono il lavoro o, comunque, i primi passi di un lavoro che, sono certo, regalerà molto con il proseguire degli episodi (sempre che Netflix non rovini il tutto). Oltre alla semplice citazione di Stephen King, Stranger Things e ai parallelismi con il lavoro precedente di Entwistle, I am not okay with this può essere considerato come un esperimento interessante ed originale di unire la comedy nera, ironica e no-sense – propria dello stile di J.E. – con l’horror e il paranormale. Questa prima stagione, nonostante qualche banalità, twist scontato e qualche falla nell’evoluzione della protagonista, si presenta al pubblico come un ottimo prodotto, un buon Netflix Original, una stagione di avvio, un trampolino di lancio per – speriamo – ottimi ed accattivanti lidi narrativi.