TITOLO ORIGINALE: Narcos: Mexico
USCITA ITALIA: 13 febbraio 2020
PIATTAFORMA/CANALE: Netflix
GENERE: poliziesco, drammatico, biografico
N. EPISODI: 10
DURATA MEDIA: 45-69 min
Lo spin-off dell’omonima e celeberrima serie tv Netflix torna con una seconda stagione che rispetta ed eleva le aspettative, raccontando e mostrando prestigio e caduta del temibile cartello di Guadalajara, capitanato da Felix Gallardo. Un comparto tecnico che raggiunge livelli cinematografici ed una new-entry attoriale veramente ben gradita. Narcos Mexico 2 è una continua salita tra tensione e colpi di scena mozzafiato
All’interno dell’organizzazione narcotrafficante del boss Felix Gallardo, tutto sembra andare a gonfie vele, almeno all’apparenza. In seguito all’accordo con il governo, Felix è riuscito a mettere a tacere, una volta per tutte, le mire espansionistiche dei suoi soci, creando una vera e propria Federazione delle cosiddette piazze. Uniti e decisi a trasportare quanta più cocaina colombiana e, quindi di conseguenza, a guadagnare quanto più denaro possibile, tutti i differenti cartelli sembrano andare d’accordo tra di loro, in nome di un bene superiore, ma anche individuale. Nonostante ciò, vecchi e nuovi dissapori, rivalità e contrasti sembrano essere dietro l’angolo e la salda presa che Felix sembra aver raggiunto nei confronti delle differenti piazze, pare indebolirsi ogni giorno di più. A migliorare la situazione non ci pensa di certo la nascente e temibile operazione Leyenda. L’assassinio di Kiki Camarena – agente statunitense della DEA, infiltratosi nel cartello di Guadalajara – ordito da Gallardo stesso, ha provocato un enorme tornado, un cambiamento di rotta ed un crescente interesse, da parte degli Stati Uniti, nei confronti del contesto criminale messicano. Gallardo si trova sotto i riflettori del mondo occidentale, diventando uno degli uomini più ricercati del pianeta. Come visto nel finale della prima stagione, infatti, i connazionali e colleghi del giovane Camarena, tra cui il misterioso e determinato agente Breslin, chiedono vendetta e la testa di Gallardo su un piatto d’argento. Viene istituita, così, l’operazione sopracitata, volta a sedare e terminare gli atti criminali, il potere e il carisma che i narcos hanno sullo stato e sul territorio messicano. Minacciato sia dall’interno che dall’esterno, Felix Gallardo riuscirà a mantenere il controllo e l’equilibrio dei propri soci e partners in crime, sempre più assetati ed incontrollabili; e, allo stesso tempo, evitare di farsi arrestare o, peggio, uccidere, da questi agenti che non vogliono altro che annientarlo? Queste sono le radici attorno a cui si sviluppa la seconda stagione di Narcos: Mexico, spin-off di una delle serie più celebri e valide del panorama televisivo odierno.
Come deducibile, la serie si basa su eventi realmente accaduti, tuttavia, alcune scene, personaggi, eventi, nomi e luoghi sono stati modificati a fini drammatici
La seconda stagione di Narcos: Mexico si affida, nella rappresentazione, su tre principali figure registiche, sicuramente poco note al grande pubblico e alla massa, che traspongono, su schermo, l’intricata e machiavellica sceneggiatura di Carlo Bernard, Chris Brancato, Doug Miro e soci. L’elemento interessante di questi tre registi emergenti o, comunque, poco noti universalmente è, senza dubbio, la loro vicinanza geografica e culturale con il contesto qui descritto e preso in esame. Per esempio, uno di questi tre è Andres Baiz, cineasta colombiano, reduce dalla direzione di alcune puntate della serie madre, Narcos, noto per il thriller La verità nascosta, produzione nazionale che, però, ebbe molto successo anche all’estero. Dopodiché, abbiamo Amat Escalante, regista messicano (quindi, ancora più legato ai fatti narrati nella serie), celebre, nel panorama cinematografico, per aver diretto il crime-thriller indipendente Heli – per il quale ha vinto il premio per la migliore regia al Festival di Cannes 2013 – e il dramma La región salvaje – film vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia del 2016. In ultima battuta, a dirigere due episodi centrali di questa seconda stagione, troviamo Marcela Said, regista cilena, rinomata per il suo interesse sociale e politico, di cui sono infuse le proprie pellicole.
Nonostante si sia tentato di dare, di puntata in puntata, una linea estetica e tecnica quanto più lineare e scorrevole possibile, è palese la preferenza registica di situazioni e sequenze, da parte di ognuno di questi talentuosi e sorprendenti registi. Tra i tre, sicuramente, colui che spicca maggiormente è Escalante, alla cui mano registica si deve la tensione e la costruzione di uno degli episodi più coinvolgenti ed emozionanti dell’intero arco narrativo di Narcos. Sto parlando della puntata n°8, al cui interno è possibile individuare, contemporaneamente, sequenze commoventi ed emozionanti e momenti al cardiopalma, in cui la tensione è palpabile e ben presente. Ad ogni modo, con la sua seconda stagione, Narcos: Mexico, da un punto registico, riesce a toccare il picco qualitativo raggiunto dalla serie madre e a sfiorare standard tipicamente cinematografici, grazie ad un lavoro pedissequo e coordinato di messa in scena e montaggio. Si compie, inoltre, una ricerca e pulizia estetica dell’inquadratura e le si da una trasmissione e valenza metaforica e retorica che hanno veramente dell’incredibile e dello sbalorditivo. Oltre ad emozionare e trascinare il pubblico con le sue scene ad elevato tasso di suspense, sempre sul filo del rasoio, pervase da un sublimato sentimento di rottura, la regia di Narcos: Mexico dà vita ad alcuni dei momenti più memorabili e potenti del contesto televisivo attuale. Certamente, il risultato finale non potrebbe raggiungere tali livelli qualitativi, se, ad accompagnare la regia, non vi fossero una sceneggiatura e delle interpretazioni così di livello.
Moltissimi sono i nomi dietro la scrittura della sceneggiatura di questa seconda stagione di Narcos: Mexico, tra cui emergono quelli dei suoi creatori. Sto parlando, come affermato prima, di Carlo Bernard, Chris Brancato e Doug Miro, i quali, non soddisfatti del buon risultato raggiunto dalla precedente tornata di episodi del serial, decidono di alzare ancora di più il tiro, iniziando a venire a contatto con uno dei periodi più bui della storia messicana: la guerra dei cartelli. Questa seconda stagione della serie Netflix segue una struttura abbastanza collaudata in campo televisivo, puntando su una continua e accelerata crescita e frenesia di ritmo, tensione e twist. Ciò che ho precedentemente affermato riguardo alla regia, vale anche per la scrittura e la costruzione degli eventi narrati, vera e propria colonna portante della produzione Netflix. Con il progredire degli episodi, ogni momento, ogni segmento del racconto sembra essere pervaso, in modo silenzioso e subliminale, da un senso di rottura imminente degli equilibri e della situazione. Si è costantemente sull’orlo del dirupo e non si sa, fino alla fine della puntata, se la serie ci si getterà a capofitto o deciderà di rimanere in equilibrio ancora per qualche tempo. Superata la questione della genesi e dei primi scontri del cartello di Guadalajara, con questa seconda stagione, gli scontri, gli aspetti e gli eventi caratterizzanti la criminalità e la storia del narco-traffico messicano iniziano ad intensificarsi e ad entrare nel loro vivo. Gli showrunner costruiscono abilmente una rete di relazioni, fatti, stravolgimenti, colpi di scena, regalando dieci ore di intrattenimento e di grandi emozioni. La stagione dura, appunto, dieci episodi e, contrariamente a quanto succede di solito, direi che nessuno di questi può essere considerato un filler vero e proprio. In ogni puntata, si narra qualcosa di interessante e di vitale per la chiusura di storyline principali e secondarie e si avanza nella trama e nel racconto in modo spedito e frenetico. Seppur con qualche incertezza in un primo momento – non si capisce fino in fondo dove si voglia andare a parare -, la seconda stagione di Narcos: Mexico, dalla terza puntata in poi, è un continuo crescendo di emozioni e di thrilling mozzafiato. Nulla è (ed è dato per) scontato. Tutto, dal dialogo più sentito e centrale, al confronto e alla relazione apparentemente insignificante nell’economia del racconto, acquisisce un senso ben preciso con l’avanzare delle puntate.
Oltre alla costruzione del racconto in sé, senza dubbio, la punta di diamante della serie è la scrittura degli svariati personaggi – tutti realmente esistiti – che popolano le scene. Dire che questi sono credibili e realistici li sminuirebbe, perché, veramente, la caratterizzazione di Gallardo e soci risulta incredibilmente e sorprendentemente puntuale. Da entrambi i lati della barricata, nella scrittura di ognuno di questi personaggi – dal più onesto al più farabutto e spietato -, gli scrittori della serie si impegnano a non tracciare mai, e dico mai, una linea di demarcazione, un confine tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. In Narcos e nel suo spin-off, da sempre, vige la regola che non vi sono mai personaggi del tutto buoni e personaggi del tutto cattivi, non vi sono eroi e non vi sono villain, solo esseri umani. Per esempio, un eroe, un buono, un paladino della giustizia che, partendo da buone intenzioni, utilizza e finisce per abbassarsi al livello di ciò che sta combattendo, viene rappresentato e trattato dalla serie allo stesso livello di un qualsiasi villain o controparte di sorta. Ad aumentare questa concreta e tangibile umanità, che pervade i personaggi del serial, ci pensano le magnifiche ed immedesimate interpretazioni e la chimica che si viene ad instaurare tra i vari attori sul piccolo schermo. Tra le prove attoriali più memorabili e caratterizzanti questa seconda stagione, bisogna ricordare, senza dubbio, quella di Scott McNairy, nel ruolo dell’agente della DEA Walt Breslin. Dopo Michael Pena (che, nella scorsa stagione, interpretava Kiki Camarena), a combattere contro i traffici e l’organizzazione retta da Gallardo, ci pensa, appunto, il grande caratterista McNairy.
Come prevedibile e naturale, durante il corso della stagione, si vanno ad esplorare personaggi che, precedentemente, erano stati un po’ ignorati o posti in secondo piano, ma che rivestiranno un ruolo primario e centrale nella prossima (o prossime) stagione. Sto parlando di figure come quella di Pablo Acosta – protagonista di alcune delle sequenze più tenere e, parallelamente, iconiche di questa serie di episodi – e della fidanzata (new entry) Mimi, interpretata da Sosie Bacon – figlia del più famoso Kevin -, che avevamo già visto in Tredici, sempre di Netflix. Altro personaggio centrale e di rilievo, negli avvenimenti di questa stagione, è certamente Amado Carrillo Fuentes. Sicuramente tra i soggetti che più ho preferito nel corso di questi dieci episodi, Amado, sul finale, sarà portatore di una rivelazione e caratterizzato, a livello di racconto, da un ruolo così centrale da stupire interamente lo spettatore. Nonostante ciò, su tutti, come uno spirito, un demiurgo, un sovrano, impera Diego Luna, nei panni del boss del cartello di Guadalajara, il celeberrimo Felix Gallardo. La sua prova attoriale raggiunge vertici inimmaginabili e sicuramente superiori, non solo rispetto alla scorsa stagione, ma anche nei confronti della sua intera filmografia, culminando nel confronto – che si trasforma in monologo per la potenza della recitazione di Luna – finale con McNairy, lasciando aperte le possibilità ed innescando, nello spettatore, un’attesa spasmodica per la prossima stagione della serie.
Ad elevare ancora di più il comparto tecnico e formale della serie ci pensano una fotografia – patinata e coerente, che, paradossalmente, conferisce un’estetica ed un aspetto preciso ed ordinato, ma anche marcio, polveroso e rovinato alle puntate – ed una colonna sonora che, oltre a dare vita ad un’atmosfera notevole e caratterizzare puntualmente il contesto geo-culturale, potenzia esponenzialmente la cifra e caratura emotiva del racconto. Seppur con un paio di difetti – in particolar modo, dal punto di vista della costruzione temporale della vicenda (non si capisce bene quanto tempo passi da una sequenza all’altra) – ed un radicale allontanamento dalla natura documentaristica, caratterizzante la serie madre, la seconda stagione di Narcos: Mexico eleva la posta in gioco, portando, al limite della perfezione, la costruzione di una vicenda dalle meccaniche a dir poco caotiche e vorticose. Attraverso dialoghi memorabili e ben performati, una regia frenetica, ma estremamente accorta, attori in parte ed incredibilmente ispirati, un ritmo ascendente e climatico ed una distribuzione centellinata e consapevole dei fatti da narrare, gli showrunner della serie Netflix riescono nell’arduo compito di annullare il distacco con il prodotto madre ed originario, orchestrando alcuni degli episodi e dei momenti migliori dell’intera saga televisiva dedicata al narcotraffico sud-americano. Narcos: Mexico 2, così come Felix Gallardo, così come Walt Breslin, punta sempre più in alto, ma, a differenza di questi ultimi due, raggiunge completamente i propri obiettivi e i propri presupposti. In definitiva, la serie, oltre a regalare dieci ore di grande thriller e di grande crime in piena regola, pone perfettamente le basi per una, forse due, stagioni, ugualmente cariche di tensione e di grandi ed alti momenti.