TITOLO ORIGINALE: Vertigo
USCITA ITALIA: 18 dicembre 1958
USCITA USA: 22 maggio 1958
REGIA: Alfred Hitchcock
SCENEGGIATURA: Alec Coppel, Samuel A. Taylor
GENERE: thriller
Tra i migliori lungometraggi del regista e dell’intera storia del cinema, La donna che visse due volte, del 1958, torna nelle sale in versione rimasterizzata. Frammento indelebile della cinematografia mondiale, nonché classico della suspense
“È come se io stessi percorrendo un lungo corridoio che è ricoperto di specchi… e alcuni frammenti di quegli specchi sono ancora là… e quando arrivo alla fine del corridoio non c’è altro che oscurità… e io so che, addentrandomi nell’oscurità, vado a morire…“. Frase più emblematica di questa non esiste per descrivere con pochissime parole il capolavoro immortale del maestro della suspense, Alfred Hitchcock. Citato innumerevoli volte in film, serie TV e diventato parte dell’immaginario comune, La donna che visse due volte è, senza dubbio, una delle pellicole migliori del cineasta britannico naturalizzato statunitense. Ispirato al romanzo francese D’entre les morts del 1954 di Narcejac e Boileau, il film – in originale intitolato efficacemente Vertigo – rappresenta un vero e proprio precursore per quanto riguarda atmosfere, tecnica registica e sperimentazioni visive. Il soggetto dell’opera cinematografica cattura immediatamente l’attenzione e la curiosità, quasi morbosa ed investigativa, dello spettatore. Il protagonista del racconto è John Ferguson, Scottie per gli amici, un avvocato e poliziotto di San Francisco, ritiratosi dalle forze dell’ordine per un incidente durante un’indagine. Questo incidente l’ha, infatti, penalizzato da un punto di vista lavorativo. Ora John soffre di acrofobia, ossia una forma fobica che consiste nel timore ossessivo, affacciandosi da un luogo elevato, di cadere o di subire la tentazione di lanciarsi nel vuoto. Senza un’occupazione fissa, questi passa la giornata girovagando per la città e facendo visita alla sua ex-fiamma, ora amica e confidente, Marjorie. Un giorno, Scottie viene invitato nel suo ufficio da un vecchio compagno del college, divenuto un magnate dell’industria navale, il quale gli propone un caso abbastanza interessante, quanto inedito e bizzarro. Gavin, l’amico, chiede a John di sorvegliare sua moglie, Madeleine. Il marito ritiene, difatti, che la moglie sia stata, in qualche modo, impossessata dal fantasma della bisnonna materna, Carlotta Valdés, che, abbandonata dall’amante e privata della figlia nata dalla loro relazione, morì suicida a 26 anni, l’età attuale della giovane. Frastornato ed impallidito dalla stranezza del caso, Scottie esita ma Gavin Elster gli mostra, durante una cena in un lussuoso ristorante, la moglie. La misteriosa bellezza della donna è tale che Scottie ne è conquistato e assume l’incarico.
L’opera mostra, a partire dai titoli di testa, tutti gli elementi caratterizzanti la filmografia complessiva del maestro del cinema, Alfred Hitchcock, denominato e conosciuto ai tanti come maestro e grande teorizzatore dell’arte della suspense. Già nei primi frame di Vertigo è, infatti, possibile individuare i temi principali che il film andrà a trattare. Il nome di James “John” Stewart a schermo e, simultaneamente, il dettaglio della bocca della Novak. La bocca, simbolo del bacio, parte del corpo simbolica, ambita dal personaggio di John, che, difatti, accetta l’incarico proprio per la bellezza di Madeleine, interpretata da Kim Novak. Quando appare il nome dell’attrice, nei titoli di testa, vi è, al contrario, il dettaglio del suo occhio, da sempre collegato con la verità, l’occhio come specchio dell’anima. E diciamo che, a livello di rappresentazione cinematografica, l’analogia funziona, proprio perché è attorno alla Novak, o, meglio, Madeleine che si struttura il mistero, la vicenda e la suspense. Negli stessi titoli, troviamo, in più, l’anticipazione della fobia destabilizzante di John, l’acrofobia o vertigine, rappresentata da spirali che si intrecciano e si muovono all’interno dell’iride della Novak, quasi come se entrambi gli elementi fossero collegati. Già solo nei primi minuti del film sono presenti inoltre innumerevoli altre anticipazioni delle questioni cardine della pellicola, come il doppio, il viso, il vortice (scala a chiocciola). Da un punto di vista registico, il film è un esperimento riuscito e precursore dei tempi e delle tendenze. Hitchcock inventa, proprio per l’opera e la sua resa, l’effetto Vertigo, che consiste in una sincronia tra zoomata all’indietro (che crea una profondità maggiore) e carrellata in avanti; per i tempi, una eccezionale innovazione visiva, ottenuta con l’uso di un obiettivo zoom. Per questo motivo, e non solo, La donna che visse due volte produce un impatto notevole e memorabile sulla mente dello spettatore, colpito da visioni e sequenze ipnotiche e suggestive, che si potrebbero quasi considerare anticipatrici della tendenza psichedelica e stupefacente degli anni 60-70 (per esempio, i visuals dei Pink Floyd). Sì, sto parlando proprio della sequenza celeberrima dell’incubo di John Ferguson.
Hitchcock si diverte moltissimo con lo spettatore, anticipando – possiamo dire anche spoilerando -, velatamente e ludicamente, ciò che accadrà verso metà film e che cambierà interamente la vita di due personaggi in particolare, diventando quasi una sorta di ossessione per John. Un vero punto di svolta posizionato perfettamente, a livello di tensione, fin dalla sceneggiatura. Il film presenta, infatti, una struttura a dir poco classica, da manuale, assolutamente efficace, volta a far crescere e mantenere, in modo ascendente, la costruzione della suspense, della tensione della pellicola. Si presentano i vari personaggi, i loro caratteri, i loro pregi e i loro difetti, si passa per il momento della soglia, della scelta – rappresentato dal bellissimo profilo che Hitchcock fa alla Novak nel ristorante – e si arriva alle varie prove fino ad arrivare a quella suprema, il confronto, per certi versi violento e fatale, con la verità e la morte. Elemento ricorrente del lungometraggio, la morte e la fatalità sono inquadrati perfettamente da Hitchcock da un punto di vista registico. La morte, caratterizzante il personaggio di Madeleine, che, a causa di ciò che è successo a Carlotta, sembra essere destinata a suicidarsi, crea un atmosfera di suspense ed attesa, in cui lo spettatore pensa costantemente che quel determinato momento possa essere l’ultimo per la giovane. Il decesso è simbolizzato ed idealizzato dal maestro nel quadro di Carlotta che Madeleine ammira in diverse occasioni all’interno della pellicola. L’immagine fissa, ferma, quasi fotografica di Carlotta, quindi non in movimento come invece è il cinema – formato appunto da immagini in movimento – rappresenta la fine, la non esistenza, la morte, appunto. E la somiglianza a livello di look e di apparenza filmica di Madeleine alla bisnonna pone su di lei un presagio di morte. Nella seconda parte della pellicola, l’elemento di suspense diventa, invece, lo stesso Scottie e quello che si pensa potrà fare con Judy, una ragazza che assomiglia moltissimo a Madeleine e che nasconde un segreto chiave per la comprensione degli eventi.
Se mi lascio trasformare come vuole, se faccio quello che dice, riuscirà ad amarmi?/Sì, sì!/Allora lo farò!
Uno degli scambi di battute più memorabili tra Scottie e Judy nel film
Dopo Nodo alla gola, La finestra sul cortile e L’uomo che sapeva troppo, James Stewart torna a lavorare con il maestro della suspense ed interpreta magnificamente un personaggio con cui il pubblico non sempre empatizza, forse perché abbastanza altalenante nel carattere e, a volte, veramente squilibrato. L’attore interpreta, in modo magistrale, il cambio, l’evoluzione e l’impatto che gli eventi del racconto e le sciagure hanno sul nostro Scottie. Nonostante in alcuni punti – come nei momenti di vertigine – la recitazione di Stewart possa essere vista come antiquata o passata, l’espressività facciale, a volte fin troppo caricata, risulta, al contrario, efficacissima per trasmettere gli stati d’animo, i pensieri e le ossessioni dell’ex-poliziotto. Peccato che il flop, ai tempi di uscita, del film abbia rappresentato anche la fine della collaborazione sinergica ed ottima tra i due. Ad accompagnare James Stewart e soggetto del tormento dell’acrofobico, Kim Novak presta il viso e la bellezza a Madeleine Elster e, parallelamente, anche a Judy Barton, l’ossessione-specchio di Ferguson. Nonostante il modello e lo stile recitativo (così come detto per Stewart), l’attrice risulta spesso più brava e dotata del collega, dovendo tra l’altro interpretare e, di conseguenza, differenziare, due personaggi e le loro apparenze e rese filmiche. Due ruoli molto stereotipati, oggi come oggi, sono invece quelli del marito di Madeleine e amico di Scottie, Gavin, e dell’ex-fiamma di Ferguson, credulona, innamorata ancora dell’uomo che, però, innamorato della bella Elster le riserva solamente uno sguardo di amicizia.
Anche solo la straziante sequenza finale di “La donna che visse due volte” basterebbe a renderlo immortale.
Peter Bogdanovich su James Stewart nel film
Oltre alla regia e alla sceneggiatura, curati nei minimi dettagli, ispiratissimi e da manuale – memorabile il 360 della camera da presa con Stewart e la Novak che si baciano, così come altre inquadrature della pellicola – ciò che rende ancor più memorabile ed indimenticabile La donna che visse due volte sono la fotografia di Robert Burks e la colonna sonora, intrigante e misteriosa, di Bernard Herrmann. Un classico senza tempo, una pietra miliare della storia del cinema, uno dei migliori gialli e film di mistero che siano mai stati fatti, un autentico capolavoro che verrà visto ed amato per l’eternità. Molte cose si possono dire ed affermare su uno dei grandi capolavori del maestro Alfred Hitchcock. A distanza di decenni, il film dimostra ancora quella potenza, quella affascinante e pura natura da archetipo, da padre, dei moderni e post-moderni thriller e crime, quella intelligentissima e raffinata tecnica, quella verve quasi tragica ed umoristicamente nera riguardo alla morte. Vertigo testimonia ancora una volta il genio di Hitchcock nel costruire strutture perfettamente bilanciate, squadrate, in cui tutti i nodi vengono al pettine, in cui, fin dall’inizio, il fato dei personaggi è già segnato, quella giocosità ed invito rivolto allo spettatore nel riconoscere la chiave e l’elemento determinante della vicenda. Quando Judy e Scottie salgono la scala a chiocciola non si può far altro che pensare a tutti i possibili risvolti, a tutti i possibili finali, al modo in cui il destino si compierà. Non si può non rimanere tuttora di stucco, sbattezzati, scioccati e traumatizzati di fronte ad un finale così diretto, fatale, sinistro, carico di emotività e di tensione come quello di questo film. Se la donna di Hitchcock vive due volte, lo stesso si può dire del suo cult. Riscoperto anni dopo la sua uscita e ora, rimasterizzato, destinato ad essere immortale!