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COGAN - KILLING THEM SOFTLY. SIAMO TUTTI SOLI

SCHEDA

TITOLO ORIGINALE: Killing Them Softly
USCITA ITALIA: 18 ottobre 2012
USCITA USA: 19 ottobre 2012
REGIA: Andrew Dominik
SCENEGGIATURA: Andrew Dominik
GENERE: azione, thriller, gangster

VOTO: 8+

RECENSIONE:

Ambientato durante la crisi finanziaria americana, il film di Andrew Dominik racconta di come la povertà possa scatenare una sanguinosa serie di eventi. Il mix è arricchito da un incredibile cast e una critica all’ideale americano

“Io vivo in America, e in America sei sempre solo…“. Questo il mantra di Cogan – Killing them softly, gangster movie diretto da Andrew Dominik – regista, recentemente, di un paio di episodi di Mindhunter – che sfrutta, brillantemente, la tecnica narrativa dell’effetto domino. Dall’inizio, estremamente disorientante, al finale, secco ed incisivo, la pellicola di Dominik descrive un’America concreta, povera, sporca, malfamata, ben lontana da come ce la immagineremmo normalmente. La situazione precaria è causata, in parte, dalla crisi finanziaria che ha investito gli Stati Uniti nel 2007 e che ha significato per molti, inevitabilmente, una condizione di precarietà dal punto di vista economico, ma anche delle condizioni di vita. In questo contesto, a dir poco, disastroso, anche soltanto un furto ingenuo ai danni della criminalità della zona può trasformarsi in una vera e propria tragedia. Dovranno cadere delle teste e, a tenere le redini della situazione, per ordini della criminalità cittadina (il collocamento spaziale del film è indefinito), sarà Jackie Cogan, un killer professionista, interpretato dal celebre Brad Pitt – qui, in una delle sue interpretazioni più ispirate.


Come spiegato sopra, la condizione disastrosa dell’americano medio e, quindi, anche del boss criminale rende tutti più suscettibili e più vendicativi (non che prima della crisi, la situazione fosse diversa, però, sicuramente, il crollo economico non ha aiutato). Johnny “Scoiattolo” Amato (Vincent Curatola) arruola due delinquenti di bassa fascia, Frankie (Scoot McNairy) e Russell (Ben Mendelsohn), per compiere un furto ai danni di Markie Trattman (Ray Liotta) – organizzatore di bische clandestine -, noto per aver precedentemente orchestrato un piano per derubare il suo stesso gioco di poker illegale. Il piano funziona alla meraviglia e i due rapinatori riescono ad uscirne vivi, ma i problemi, per loro, non finiranno qui. Infatti, il colpo ha destabilizzato l’equilibrio della criminalità cittadina e i boss malavitosi cercano vendetta. Qualcuno deve essere fatto fuori. Chi è stato, deve pagare; non si deve spargere la voce che i capi criminali hanno lasciato correre una cosa del genere, altrimenti, qualcun’altro proverà a rifare la stessa cosa. Questi, allora, assoldano un killer professionista, Jackie Cogan, per fare un po’ di pulizia e riportare l’ordine e l’equilibrio nel panorama criminale della città.
La regia del film, tratto dal romanzo Cogan’s Trade di George V. Higgins, è affidata ad Andrew Dominik – che aveva lavorato precedentemente con Brad Pitt in L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford. Dominik dirige in modo cinico, secco e brutale le vicende del killer interpretato da Pitt e dipinge un contesto malavitoso arido e decadente. Dominik gira scene action molto belle visivamente e molto ispirate dal punto di vista registico. Egli, inoltre, costruisce, a regola d’arte, un’intera sequenza in slow motion, in cui i comparti di montaggio ed effettistica risplendono. Si lascia molto spazio, soprattutto nelle scene di dialogo, alla bravura recitativa, all'estro dei vari attori presenti e alla sceneggiatura, scritta dallo stesso Dominik. Peculiare è, per di più, la volontà di alternare, alla vicenda principale, spezzoni di telegiornali, frammenti di talk show e campagne elettorali, così da delineare l’evoluzione della situazione politica ed economica e la ripresa finanziaria del paese. Questa scelta crea ancora più contrasto con ciò che succede ai personaggi della storia di Dominik.


La sceneggiatura è la vera punta di diamante del film. Nonostante la semplicità relativa della trama e dello sviluppo, i dialoghi sono scritti con cura, sia per quanto riguarda il livello del linguaggio che il ritmo all’interno della scena. Il film non è altro che un gigantesco effetto domino ed è costruito secondo un climax ascendente. Parte piano piano, per poi sfociare nel massacro e in un’azione esplosiva, a volte inaspettata e molto ben diretta. I dialoghi e il linguaggio di questo Cogan – Killing them softly sono molto concreti, terreni, pratici, spiccioli, ma, allo stesso tempo, estremamente realistici. I temi che vengono affrontati negli scambi di battute tra i vari personaggi sono tra i più vari. Si trattano argomenti miseri, beceri, a volte osceni e luridi – argomenti da gangster – ma, allo stesso tempo, si concepiscono anche critiche nei confronti della politica, del pensiero americano e del sistema. La povertà dei vari discorsi entra inevitabilmente in contrasto e conflitto con i discorsi fatti dai politici e con le argomentazioni presentate da essi, che dipingono un paese in crescita e pieno di buona volontà. Uno di questi politici è Barack Obama – di cui viene mostrato il discorso, in occasione della vittoria alle presidenziali, a fine film.
Un altro elemento che sottolinea lo stato di degrado e povertà in cui riversa la popolazione, insieme alla sceneggiatura, è la fotografia. Curata e diretta da Greig Fraser, Cogan presenta una fotografia fredda, polverosa, cruda che lascia trasparire quel senso di trascuratezza, di crisi, di perdita dei valori, di perdita di qualsiasi scrupolo. Si racconta, qui, un’America in cui è normale pestare o, addirittura, ammazzare a sangue freddo una persona per strada. Soprattutto nelle prime sequenze, sembra di star vedendo un vero e proprio ritorno al Far West violento, brutale e feroce. Anche il montaggio aiuta notevolmente la costruzione di un climax che esplode in una cascata di eventi che trasformerà le strade in un macello sanguinolento. La lentezza iniziale rappresenta soltanto la calma e la preparazione prima della tempesta. Tradimenti, omicidi, sparatorie, accordi segreti che finiscono in tragedia. Nel film di Dominik si trova di tutto. Certo, non c’è da aspettarsi la violenza palese e quasi catartica di un tipico gangster movie. Da diversi punti di vista, questo Cogan mi ha ricordato il Tarantino degli esordi. Ovvio, non sto paragonando questo film ad un Tarantino, caratterizzato dalla propria originalità, dal proprio stile e da molte scene violente esteticamente e concettualmente, ma la costruzione della suspense e del climax ricorda molto un Jackie Brown o un Pulp Fiction.


Il film può vantare, inoltre, un cast di tutto rispetto che arricchisce notevolmente la qualità del mosaico criminale costruito da Andrew Dominik. Protagonista assoluto della pellicola è, ovviamente, il sicario Jackie Cogan, assassino razionale, che uccide le sue vittime a sangue freddo, in modo pacato e, a volte, inaspettato, evitando qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo. Verso il finale della pellicola, il suo personaggio rappresenta colui che veicola la morale, il messaggio principale dell’intera pellicola, andando contro all’idea di Obama di un unico popolo, quello americano. L’America, per Cogan, è basata unicamente sul denaro, sulle relazioni individuali, sull’apparenza, sugli obiettivi e desideri personali. Tutti, alla fine, saranno ingiusti, saranno infedeli a qualcuno di amico. Tutti abbandonano. Quindi, meglio starsene lontani da sentimentalismi e pietismi vari e rimanere da soli. Brad Pitt regala un’interpretazione che rimanda, in parte, alla sua prova attoriale in Fight Club di David Fincher, ma in modo ben più pacato. Iconiche sono le sparatorie e i dialoghi che lo coinvolgono. Ad arricchire il tutto, troviamo il già citato Scoot McNairy – caratterista quasi sempre relegato a ruoli secondari che, pian piano, si sta facendo conoscere -, che, qui, interpreta, in modo molto convincente ed ispirato, uno dei due che fanno la rapina ai danni della bisca di Markie Trattman. L’altro rapinatore ha il volto di Ben Mendelsohn – attore australiano che si sta facendo conoscere ad Hollywood dopo la partecipazione a progetti come Rogue One e Ready Player One. Mendelsohn conferisce al personaggio di Russell un’interpretazione forse meno memorabile di quella di McNairy, ma ugualmente forte. Diciamo che gli viene molto bene fare il dog sitter eroinomane. Gli altri tre grandi nomi presenti nella pellicola sono James Gandolfini – noto per essere stato l’istrionico Tony Soprano nella serie I Soprano -, Ray Liotta (Quei Bravi Ragazzi di Scorsese) e Richard Jenkins (2 nomination agli Oscar, tra cui una per il recente La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro). Tra i tre, senza dubbio, l’attore che rimane più impresso è Gandolfini, il quale regala un’interpretazione volutamente stanca, affranta e decadente di un sicario ormai assuefatto, stanco e sfinito. Un momento di alta recitazione è quello del pestaggio al personaggio di Ray Liotta (Trattman), in cui l’attore restituisce proprio l’idea di dolore e sofferenza.


Cogan – Killing them softly è, in definitiva, un ottimo gangster movie dai toni decadenti, in costante declino. La vicenda narrata, di per sé molto semplice, viene potenziata dal contesto e dalla situazione della nazione, dal polimorfismo dei dialoghi, dalla potenza e qualità delle interpretazioni, dalla fotografia e dal ritmo ascendente dell’intera pellicola. Nell’America di Cogan tutti sono disperati e le vie d’uscita dalla miseria, dalla precarietà e dalla povertà sono due: accettare i rischi e compiere qualcosa di folle, che probabilmente si convertirà in un disastro, o rinunciare a qualsiasi tipo di attaccamento sentimentale e diventare carnefici, diventare padroni della propria sorte, essere soli. Queste due scuole di pensiero si incarnano in molti personaggi presenti all’interno del film. La pellicola raffigura un mondo profondamente brutale, cinico, violento, basato sulle apparenze, in cui nessuno è al sicuro e in cui la legge suprema sono i soldi, la ricchezza e la sete di entrambi. Il denaro, simbolo del capitalismo e dell’individualismo, è ciò che rappresenta, alla perfezione, il pensiero di Jackie Cogan (Brad Pitt) che sul finale del film pronuncia, proprio, queste forti, ma simboliche parole: ”L’America non è una nazione, l’America è “affari”, e adesso pagami…“.

PRO:

  • Regia cinica, asettica, brutale con sequenze action adrenaliniche e piene di tensione
  • Montaggio accordato e ben confezionato
  • Effetti visivi credibili e assolutamente di buona fattura
  • Inclusione di inserti non diegetici per delineare l'avanzamento e lo sviluppo della situazione economica e politica del paese
  • Dialoghi, fulcro del film, concreti, terreni, pratici, spiccioli, ma, allo stesso tempo, estremamente realistici
  • Fotografia fredda, polverosa, cruda che lascia trasparire quel senso di trascuratezza, di perdita dei valori e di qualsiasi scrupolo
  • Costruzione eccellente della suspense
  • Interpretazioni ottime soprattutto da parte di Brad Pitt e James Gandolfini

CONTRO:

  • Colonna sonora praticamente assente e per nulla d'impatto
  • Ci si adagia forse un po' troppo sulla retorica spicciola e creatrice di consenso unanime
  • Non si crea un dibattito ed una riflessione profondissima come si vorrebbe
Pubblicato da Nicolò Baraccani il 17 Settembre 2019
Categorie
  • Cinema
Tag
  • 2012
  • Andrew Dominik
  • Brad Pitt
  • James Gandolfini
  • Ray Liotta
  • Scoot McNairy
  • THRILLER
  • TRATTI DA LIBRI
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