TITOLO ORIGINALE: L'ordine del tempo
USCITA ITALIA: 31 settembre 2023
REGIA: Liliana Cavani
SCENEGGIATURA: Liliana Cavani, Paolo Costella, Carlo Rovelli
CON: Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Edoardo Leo
GENERE: drammatico
DURATA: 112 min
Fuori concorso alla 80ª edizione del Festival del Cinema di Venezia
Ventuno anni dopo Il gioco di Ripley, Liliana Cavani, pilastro del moderno cinema italiano, torna al cinema con una traduzione narrativa del saggio scientifico di Carlo Rovelli. Malgrado l'originalità di base, L'ordine del tempo è una pellicola più scarna di quel che dà a vedere, prolissa al limite dell’anestetico, per lo più irrisolta, dai risvolti fin troppo confortevoli, che estingue ogni suo impeto e proposito riflessivo ed emotivo dietro fastidiose sentenziosità.
Di cosa parli L’ordine del tempo, lo si può intuire nei minuti iniziali. Più precisamente, in un dialogo sui molti modi in cui, in greco antico, si può dire ed indicare il concetto del tempo. C’è il tempo speciale, giusto. Il tempo come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. E poi c’è il tempo che passa, lento, inesorabile, definitivo, sfuggente, incorruttibile, innato, verso quella che potrebbe essere la sua fine. O meglio, la nostra. Del tempo relativo. Di quello che fa soffrire talmente tanto, che ci pone così dolorosamente con il significato e il senso della nostra vita, che esiste così vivamente, da diventare il suo contrario: inesistente.
Insomma, del tempo così com’è e come potrebbe non essere, ché parla il nuovo film di una ritrovata (21 anni dopo l’ultimo lavoro per il cinema Il gioco di Ripley, nove dopo la miniserie TV su Francesco D’Assisi) ed appena novantenne Liliana Cavani. Un ritorno che avviene nel segno del noto fisico e divulgatore scientifico Carlo Rovelli e del suo popolare saggio omonimo, che la regista, assistita in sceneggiatura da Paolo Costella, traduce in un racconto narrativo e di finzione. Per quanto “solo Cavani può girare un saggio”, per citare le parole di Edoardo Leo (alter ego rovelliano) ai microfoni del Corriere della Sera, il risultato è quanto di più illogico e sbagliato ci si sarebbe potuti aspettare da un simile soggetto, ma anche e soprattutto da una cineasta che, seppur importante e fondamentale nella e per la storia del cinema italiano, torna dietro la macchina da presa dopo un decennio, come già scritto sopra.
Perché, una volta identificatone il fulcro morale e discorsivo, ciò che L’ordine del tempo riserva allo spettatore è una delle forme peggiori, pretenziose e più frustranti di dramma, per non sfociare nel dispregiativo drammone all’italiana, solo con una premessa ed un contesto pseudo-fantascientifico e pre-apocalittico. E allora via di triangoli amorosi, vecchi segreti che vengono a galla, intrecciati a massimi sistemi, argomenti di carattere più universale ed ampio come, appunto, il senso della vita e del tempo, nonché ad ossessioni e provocazioni tipicamente cavaniane (ma decisamente meno ruggenti di un tempo), quali la fede (in Dio, nel denaro, nella scienza…), l’abiezione cannibalistica, la condizione della donna nella società e lungo il tempo, il beneficio e l’onta dell’ignoranza, e il dubbio che porta sempre ad una rivoluzione nel micro- e nel macro-scopico, ad una ridefinizione, benigna o maligna, dell’uomo e della sua percezione delle cose.
Ad inficiare le possibilità di una sceneggiatura esiguamente ispirata - che non tenta nulla per dotarsi della stessa precisione umana del fortunatissimo e limitrofo, ma più concreto ed attualizzato Perfetti sconosciuti (ad oggi, forse il miglior lavoro di scrittura di Costella), né tantomeno viene aiutata dall’istanza narrante ad assecondare una vita più astratta à la Melancholia, verso un luogo della coscienza o di un non-luogo - vi è la sua esecuzione. Nella fattispecie, la mancanza di un ritmo, di un passo, nel montaggio di Massimo Quaglia, e una direzione degli attori tanto artificiosa ed ostentata da diventare insieme straniante e, complice la morfologia Kammerspiel del racconto, estremamente teatrale.
Giusto Claudia Gerini (nei panni di una delle moltitudini di Cavani e della sua idea di femminismo e femminilità) ed un bonario Alessandro Gassman riescono a lasciare un segno, un’impronta, in una pellicola più scarna di quel che dà a vedere, prolissa al limite dell’anestetico, per lo più irrisolta, dai risvolti fin troppo confortevoli, che non solo affronta l'apocalisse con una senile pacatezza, ma estingue ogni suo impeto emotivo e proposito riflessivo dietro uscite sentenziose e proverbiali riprese pari pari dal libro di Rovelli. Dietro una verbosità spaventosamente lucida, il cui unico merito, del tutto involontario, è il ricordarci, ancora una volta, quanto stretto dobbiamo tenerci un regista come Marco Bellocchio; quanto la sua parabola artistica - di perfetta sintesi ed assoluta chiarezza - sia un caso più unico che raro. E, ovviamente, il valore e la gravità del tempo, che non sarà certo clemente con L'ordine del tempo.
Ti è piaciuta la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.