TITOLO ORIGINALE: Bros
USCITA ITALIA: 3 novembre 2022
USCITA USA: 30 settembre 2022
REGIA: Nicholas Stoller
SCENEGGIATURA: Nicholas Stoller, Billy Eichner
GENERE: commedia, sentimentale
DURATA: 115 min
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022
Prodotto dal Re Mida della commedia statunitense Judd Apatow, diretto da Nicholas Stoller e scritto da Billy Eichner, Bros è la prima rom-com prodotta da un grande studio hollywoodiano ad essere davvero inclusiva e con un cast composto integralmente da membri dichiarati della comunità LGBTQ+. Un film che intende sfruttare la forma, i cliché e le situazioni tipiche del genere rom-com per affermarsi quale testo seminale da cui far partire una nuova logica produttiva. Tolta una prima metà a tratti farraginosa e sommariamente esasperante, soffocata dalla personalità e dall'atteggiamento satirico-compilatorio di Eichner stesso, Bros trova il proprio baricentro emotivo nell'ultima ora e nel finale, da cui realmente può partire un cinema nuovo.
“Addio, finocchi”. Era questo uno dei tormentoni, dei leitmotiv, una delle battute idealmente più divertenti del campione di incassi del box office statunitense del 2009, Una notte da leoni di Todd Phillips, commedia figlia di un umorismo stoner e di American Pie, prodotta e distribuita da una grossa major come Warner Bros.
Cosa è cambiato, nel cinema e nella società, da quell'ormai lontano 2009? Tanto, forse tutto. Il cinema - specie quello hollywoodiano - è diventato sempre più inclusivo e aperto a concedere spazi rappresentativi a minoranze, siano esse etniche o sessuali, e alle loro storie, tant’è che oggi la commedia da grande studio (in questo caso, Universal, laddove invece il panorama indie sia già avanti anni luce su questo discorso) non è più la storia di un addio al celibato finito male che alcuni definirebbero omofobo, ma una che non solo si scaglia apertamente contro quella battuta del copione scritto da Jon Lucas e Scott Moore per quella selvaggia, coattissima, eppure esilarante dopo sbornia di tredici anni fa, ma che si compone nella sua totalità di membri esplicitamente dichiarati della comunità lesbica-gay-bisessuale-trasgender-queer, o, in acronimo, LGBTQ+.
Prodotto da Judd Apatow (uno dei Re Mida della commedia statunitense, già regista di 40 anni vergine, Molto incinta, Funny People e Un disastro di ragazza, poi sceneggiatore di un pilastro della già citata stoner comedy come Strafumati, nonché produttore de Le amiche della sposa) e diretto da uno dei suoi migliori proseliti artistici, Nicholas Stoller (Cattivi vicini), che ne firma la sceneggiatura insieme allo stand-up comedian, Billy Eichner, il famigerato Billy on the Street; Bros racconta la storia di Bobby Lieber, conduttore di un podcast chiamato "L'undicesimo mattone di Stonewall" in cui parla e sviscera, con ironia sempre pungente, la storia (negata dalle cronache ufficiali sin dall’antichità) del mondo LGBTQ+, ma anche di “qualsiasi cosa mi vada di parlare”, e da poco nominato curatore del primo museo nazionale di storia LGBTQ+ a Manhattan; e del suo "incontro fatale" con Aaron Shepard, notaio testamentario “sexy ma noioso”.
Lo schema è presto detto: sfruttare la forma, i cliché e le situazioni tipiche del genere rom-com - rispetto ai cui pilastri etero traccia parentele meta-testuali assonanti e dissonanti, accondiscendenti e divergenti - sul tira-e-molla, sui battibecchi, sui fantomatici “opposti che si attraggono”, per fare, raggiungere e ottenere qualcosa di molto più importante, molto più acuto, molto più profondo. Bros vorrebbe essere infatti, per la comunità LGBTQ+, quello che Lola Darling o Fa’ la cosa giusta di Spike Lee sono stati per quella afroamericana, ossia essere un testo seminale da cui far partire una nuova logica produttiva, un nuovo filone cinematografico, una sempre maggiore e (soprattutto) vera rappresentatività all’interno di un’industria hollywoodiana certo con tutti i difetti ed esasperazioni di sorta, ma senz’altro e fortunatamente più inclusiva che mai.
Un motivo, quest’ultimo, verso cui si è indirizzata l’intera campagna marketing del film, con risultati evidentemente controproducenti, e che emerge di continuo, quantomeno nella prima metà del racconto. Quella in cui Billy Eichner divora le scene, appesantisce a dismisura e mette a serio repentaglio la godibilità narrativa del prodotto, con la sua personalità esuberante e con quella - logorroica, (purtroppo solo) didatticamente alleniana, nevrotica, spigolosa, travolgente, puntigliosa, intensa - del suo Bobby Lieber, un “Evan Hansen cresciuto”, così apparentemente sicuro di sé da intimorire le altre persone, brillante, misantropo e diffidente dei ragazzi gay, che ritiene tutti “arrapati, egoisti e stupidi” pur rientrando egli stesso in questa categorizzazione - quantomeno nei termini di una condizione sentimentale solitaria e deprimente.
Bobby (e Billy) ha davvero una parola, un’opinione, un rimprovero, un motto di sdegno, un commento sarcastico e pungente su tutto, dalle questioni più generali, unanime ed urgenti: la storia LGBTQ+, la cultura machista e maschilista che ha avvelenato il mondo intero per secoli, l’etero-normalizzazione e -strumentalizzazione del mondo e dell’amore omosessuale da parte anche e soprattutto dell’industria del cinema solo “per vincere un Oscar”, molto spesso con western amorosi dai finali tragici; ai temi più particolari, vari e cangianti: le relazioni omosessuali, le dinamiche di coppia, gli incontri clandestini ed imbarazzanti ad ovvio ed esclusivo scopo sessuale sulle app di incontri.
Tutti attacchi frontali e mirati, il più delle volte sotto forma di monologhi solipsistici, risentiti, temerari, dissacranti, stile J’accuse, che Nicholas Stoller e, nello specifico, Billy Eichner portano avanti sin dai primissimi segmenti del film, tra cui, vi è anche una riunione per produrre un film su due gay “che vedrebbe persino un etero con la sua ragazza”, quasi a lasciar ironicamente intendere in quale culla omofobica sia nato e cosa la pellicola di Stoller ed Eichner debba contrastare e contestare. Questi attacchi mirati all'alterità della comunità non impediscono tuttavia al duo di condurre l'occhio della propria satira anche su una messa in mostra - attorno ad un tavolo simbolico - delle divisioni interne, delle fratture storiche, delle idiosincrasie incorreggibili, dei dibattiti spesso ridicoli, dunque all’umanizzazione e al particolareggiamento di un acronimo che non era mai stato rappresentato in modo così vivido, vivace, davvero comunitario.
Così facendo, Stoller ed Eichner sembrano dunque non voler mancare alcun possibile bersaglio in questa loro schermaglia che, malgrado qualche effettivo lampo di scrittura brillante e mordace, finisce purtroppo - come anticipato sopra - per fare di Bros tanto una blanda, stonata ed estenuante carrellata di sketch brevi e punchline, quando una fredda ed apatica esposizione di storia e fatti legati al mondo LGBTQ+, che pare concretizzare l’idea di Bobby Lieber secondo cui “i musei non devono essere divertenti”.
Per fortuna che, a controbilanciare il film, così come la coppia sua protagonista, ci pensa Aaron (Luke Macfarlane), una sorta di “Tom Brady gay”, un ragazzo fissato con il crossfit e il proprio aspetto fisico, intimorito dalle relazioni serie, troppo intime e sentimentali ed insoddisfatto della propria, infelice e deprimente carriera lavorativa, il quale sembra non rispondere all’idea che Bobby ha dell’essere omosessuali, specie in fatto di gusti cinematografici e musicali. Egli rappresenta l’ingenuità, il candore, il vero cuore emotivo di Bros - ritrovabile peraltro negli amorevoli e mai goffi o bizzarri scambi ed effusioni tra due attori molto affiatati, raccontati ed inquadrati con lievità ed insospettabile grazia dalla macchina da presa di Stoller. Colui insomma che, col suo dramma esistenziale e col suo percorso di emancipazione rispetto all’immaginario del cosiddetto jock, addolcisce l’impalcatura polemica e arrotonda la spigolosità di Eichner, riequilibrando, ritmando e dirigendo infine l’intreccio rom-com verso i suoi lidi più amabili, simpatici, arrendevoli, senz’altro semplici e canonici (vedasi, per esempio, il montaggio musicale che sigla il rappacificamento) ma indubbiamente più efficaci ed incisivi.
Efficaci ed incisivi come, ad esempio, quello che chi scrive ritiene essere il vero finale della pellicola, in cui, con un movimento di macchina ed un pensiero di fondo di per sé elementarissimi, eppure imprevedibili, Stoller riesce a sintetizzare ciò che, per quasi due ore, ha cercato di dirci con risultati sommariamente altalenanti.
Mediante un travelling che lega un party che vede etero, lesbiche, gay, transgender, queer uniti come un’unica grande famiglia, nel nome dell’amore che rimane, che ci prova, che resiste, nonostante tutto e tutti; con i ritratti e i volti di coloro che, quell’amore, gliel'hanno e ce lo hanno donato e permesso con la propria storia, spesso addirittura con la loro stessa vita, Bros compie allora il suo gesto più bello, un'intuizione davvero capace di inaugurare un cinema nuovo, inclusivo per scelta e non per norma o convenzione.
Un cinema che, metabolizzati e superati il proprio rancore e i propri traumi, è forse già pronto per essere post, per diventare qualcosa di più, per scrutare l’orizzonte con uno sguardo nuovo.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.