Lo scorso martedì 28 giugno abbiamo avuto il piacere di partecipare ad un'ora di conferenza dedicata a Lightyear - La vera storia di Buzz, il 26° lungometraggio Disney Pixar incentrato sulle origini di uno dei personaggi più amati e conosciuti del franchise di Toy Story e di tutta l'animazione occidentale.
Il regista Angus MacLane, la produttrice Galyn Susman, la simulation e tailoring supervisor Fran Kalal, l'head of story Dean Kelly e il supervisore dell'animazione Dave DeVan ci hanno raccontato i segreti, le sfide, i successi e il futuro del film, arrivando addirittura a parlare delle possibilità di un futuro sequel. Ve ne raccontiamo qui sotto.
Prima di procedere con l'articolo però, vogliamo ringraziare i responsabili di VIEW Conference per averci invitato ed offerto questa incredibile opportunità.
Il regista Angus MacLane ha aperto le danze, raccontando i primi passi e l'idea alla base del film, "su cui stavo lavorando già nell’estate del 2016, quando finì la produzione di Alla ricerca di Dory con Andrew Stanton. Stavo cercando un altro progetto da sviluppare e volevo fare qualcosa che mi mettesse davvero alla prova". "Nel frattempo - continua MacLane - ho iniziato ad immaginare un film che il me bambino avrebbe apprezzato, un film fantascientifico. Allo stesso tempo però, mi sentivo profondamente legato al personaggio di Buzz Lightyear (è con Toy Story 2 che il cineasta ha iniziato a lavorare in Pixar, ndr) e all’immaginario a cui si riferisce. Ecco, questa è stata la scintilla di tutto, l’idea che, tra settembre e ottobre 2016, ha dato il via al progetto, sul quale abbiamo lavorato ininterrottamente fino a poco tempo fa".
Galyn Susman ci ha poi riportati indietro nel tempo, parlando delle incertezze e delle sfide del primo Toy Story. "Gran parte di coloro che lavorarono a quel film - ha ricordato la produttrice - avevano un background molto tecnico, perché allora non vi erano software abbastanza potenti da permetterci di assumere artisti. Io stessa non avevo mai fatto un film prima e vedevo il processo di produzione più dal punto di vista della bellezza pittorica dell’immagine, piuttosto che da quello della narrazione. Quindi sì, non sono mai stata convintissima del film fino a quando non sono andata a vederlo in una sala cinematografica, insieme ad un vero pubblico. Vedere persone reagire a Toy Story come se stessero guardando un film normale, e non uno show di pupazzi volanti, è stato davvero incredibile. Solo lì ho capito di aver trovato la mia strada. Di aver trovato quello che avrei voluto e che ancora oggi amo fare" .
La parola è passata poi a Fran Kalal, che ha rivelato quanto stimolante è stato "disegnare e progettare vere e proprie armature spaziali e costumi fantascientifici. È stato davvero speciale". Per il film, infatti, Fran e il suo team hanno svolto anche moltissime ricerche e studi sul campo, confrontandosi anche con esperti della Nasa. Una ricerca "finalizzata a capire come funziona l’equipaggiamento per il viaggio spaziale e, soprattutto, perché funziona in quel preciso modo. Ciò nonostante, sapevamo che avremmo comunque dovuto meravigliare e stupire gli spettatori con il design di queste tute e questi costumi, che sono a loro volta delle piccole astronavi per via della complessità della loro struttura. A questo scopo, durante la fase di lavorazione, abbiamo sempre tentato di prediligere ciò che è meraviglioso, sorprendente, fantastico, iconico, rispetto a ciò che è scientificamente e tecnicamente corretto".
Dave DeVan ha speso invece due parole su quella che, per lui e la squadra di animatori, è stata la sfida più grande, ovvero "l'alto livello di fisicità e il grado di realismo che avremmo dovuto raggiungere durante la realizzazione. Credo che Angus, per via della sua formazione da animatore, sia davvero preciso e puntuale nella regia dell’animazione e della storia che intende raccontare. Soprattutto per la complessità delle tute che Buzz e gli altri personaggi indossano, per me e il mio team è stato importante eliminare tutti quei movimenti od elementi a schermo che non fossero davvero necessari ai fini dell'azione e del lavoro narrativo della macchina da presa". Ha infine rivelato qual è stata la sequenza più difficile da realizzare: "La prima sequenza che abbiamo fatto, quella della primissima missione di Buzz, in cui siamo stati chiamati a trovare l’estetica e l’aspetto che avrebbe poi mantenuto il viaggio nell’iperspazio durante tutto il film. E vederla prendere forma è stato emozionante".
La parola è passata a Dean Kelly, che ha parlato delle gioie e delle sfide nel riportare su schermo, in un ambiente più realistico, un personaggio così amato come Buzz Lightyear ed un franchise storico come Toy Story, dicendo che sono proprio "racconti di questo tipo ciò che mi ha portato a lavorare in Pixar, in primo luogo. Toy Story ha cambiato radicalmente la mia prospettiva riguardo all’animazione e a ciò che i film animati possono raccontare. Ma è più che altro il dovermi confrontare con un personaggio così iconico e amato come Buzz, la molla che mi ha convinto fin da subito ad imbarcarmi in questo viaggio". In merito al processo scrittura del soggetto del film, Kelly ha affermato che "l'obiettivo principale è sempre quello di raccontare una buona storia. Ciò nonostante, dover fare i conti con un personaggio del genere mi ha spinto a pensare ad una storia che scavasse a fondo nella sua interiorità ed estendesse i confini del suo mondo. Alcune decisioni non sono state prese a cuore leggero e, al contempo, sai che devi divertirti con ciò che hai a disposizione".
In tal senso, la più grande sfida del film è stata proprio "rendere e trovare l’umanità di Buzz, sapere chi fosse e cosa volesse. Fare di Buzz un personaggio diverso, in molti modi, da quello che gli amanti di Toy Story hanno imparato a conoscere, protagonista di una storia molto dinamica e molto cinematografica, che sapevamo sarebbe poi stata proiettata su grandissimi schermi. Un’altra grande sfida, ma anche la più grande vittoria - continua Kelly - è stata però la caratterizzazione di personaggi nuovi all'interno del franchise di Toy Story come Alisha e Izzie. Figure che abbiamo di rendere personaggi di supporto al viaggio di Buzz, ma anche personaggi con una propria storia, una propria individualità, un proprio realismo".
È venuto nuovamente il turno del regista che ha ripetuto quanto, in questo film, abbia cercato di "ricreare l’insieme di film fantascientifici che hanno fatto da colonna portante, in senso immaginifico, per la mia giovinezza. Infatti, all’epoca in cui vidi Star Wars non vi erano ancora le VHS. Cosa che non mi permise di vedere il film di Lucas più e più volte. Ciò nonostante, ho continuato a rivivere Guerre Stellari attraverso i giocattoli e le mini figure, immaginando avventure diverse, nuove avventure. Con Lightyear - rivela MacLane - ho voluto fare un po' lo stesso: raccontare una storia che non fosse pienamente completa, ma iniziasse a metà e finisse sospeso, così da lasciare libero il pubblico di completare i buchi con la propria immaginazione. Per quanto riguarda il setting fantascientifico, il cineasta ha riconosciuto che, nel panorama culturale occidentale, "i film d’animazione fantascientifici sono davvero pochi, forse perché è difficile creare un mondo in cui ci si possa preoccupare davvero delle sorti dei personaggi. Durante la lavorazione del film, è stato importante creare pertanto un mondo che sembrasse vissuto dai personaggi, nel quale e durante il quale lo spettatore potesse, in qualche modo, aver timore della loro incolumità. Ho tentato insomma di dare alla pellicola un senso di grande realismo. Quello stesso realismo e quella stessa verità che abbiamo poi tentato di trasmettere attraverso i movimenti delle mani dei personaggi, che ne rispecchiano il carattere e l’attitudine, ed un’animazione complessa, ma estremamente raffinata".
Sempre a proposito delle citazioni, Galyn Susman ha aggiunto: "Abbiamo tentato di non fare troppi riferimenti diretti ai film a cui ci siamo ispirati. Anzi, come mi ricorda sempre Angus, è sempre meglio non ricordare alle persone che esistano film migliori (ride, ndr). Quindi, abbiamo tentato più che altro di ricreare l'atmosfera e la sensazione di calore e usura, tipica dei film sci-fi di fine anni ‘70 e inizio anni ‘80, quelli pre-CGI, combinandola con gli elementi che più mi colpirono di 2001: Odissea nello spazio, ossia l’uso del colore e della luce".
Fran Kalal ha ripreso la parola parlando del livello di dettaglio degli oggetti e del design dei movimenti: "Abbiamo pensato fosse davvero importante aggiungere quanti più dettagli al mondo di Buzz e gran parte della storia è raccontata anche attraverso l’atteggiamento e le pose dei personaggi. Inoltre, abbiamo tentato di portare al massimo il livello di dirigibilità e prevedibilità dei movimenti e ci siamo sbizzarriti con gli inserti all'interno dei costumi. Tuttavia, la cosa di cui vado più fiera è aver dimostrato cosa è e sarà possibile fare con i capelli. Parlo in particolare di quelli di Alisha, che cambiano continuamente di stile, di consistenza, di colore".
Una buona parte della conferenza è stata spesa per parlare del personaggio più amato dagli spettatori, Sox, il simpatico gatto-robot che accompagna Buzz nella sua avventura. A tal riguardo, MacLane ha rivelato che "Sox è uno dei primi personaggi che abbiamo creato. L’idea alla base era che Buzz dovesse avere una spalla, in quanto tutti i film a cui ci siamo rifatti avevano sempre un compagno, un sidekick, spesso cinico e sarcastico nel rapporto e negli scambi con l’eroe, cosa che noi non volevamo. Anzi, abbiamo sempre immaginato Sox come ad un personaggio empatico nei confronti dell’eroe (e viceversa) e al suo rapporto con Buzz come ad uno scambio vero e onesto, dando così vita ad un qualcosa di quasi inedito per i personaggi moderni". "Dovete sapere però - prosegue MacLane - che originariamente Sox doveva essere una scimmia chiamata Beta, dato il contributo che le scimmie hanno avuto nei primi programmi spaziali. Tuttavia, riflettendo sul lato comico della vicenda, mi sono reso conto che avremmo dovuto disporre di un aiutante la cui comicità risiedesse in pochi movimenti, farraginosi e ingessati, ispirati alla mania animatronics nell’intrattenimento per bambini degli anni ‘80 e al loro fascino non dichiarato, dato appunto dalle limitazioni nel movimento. Infine, c'è da dire che le persone hanno molta più familiarità con le scimmie che con i gatti, e noi tutti trovavamo davvero esilarante l’idea di avere un gatto con movimenti davvero limitati. Ebbene, Sox combina tutti questi diversi stimoli, ponendosi quale personaggio immediatamente riconoscibile, che si distingue facilmente dal resto dei personaggi e dall’ambiente realistico che lo circonda, senza però comportare quel senso di esagerazione o di stupidità dei movimenti".
Galyn Susman ha poi incalzato, scherzando sul fatto che "anche se preferisco i cani, credo che Sox incarni - e questo, anche grazie alla voce di Peter Sohn - un misto di intelligenza, semplicità, dolcezza ed innocenza che lo rendono un personaggio davvero unico che riesce a rendere eccezionalmente vera qualsiasi cosa dica".
A proposito del design del gatto, Fran Kalal ha affermato che "una delle inquadrature più tenere del film è quella in cui Sox si struscia contro Buzz la prima volta che si incontra. Per noi designer, quel momento, quella prima interazione era davvero cruciale, così come cruciale è il suo rapporto con Izzie, che abbiamo tentato di raccontare attraverso alcune scelte mirate di design e texture. Per esempio, nella sequenza in cui assistiamo all'incontro tra i due per la prima volta, abbiamo deciso, in via del tutto eccezionale, di mostrare il pelo dell'animale-androide, così da ottenere un po’ di più di contatto ed interazione con la ragazza".
Sul finire della conferenza, è arrivata ai microfoni la domanda più scottante, a cui ha risposto Dean Kelly. "Nonostante si rifaccia ad un personaggio storico, ho sempre visto Lightyear come qualcosa di originale, di inedito, di unico per Pixar. Se dovesse esserci un sequel, credo che, come sempre accade in Pixar, il materiale su cui lavorare sarà grandioso e che la vera sfida sarà fare un film ancora più bello del predecessore. Quindi, esattamente come nel caso di nuove ip, si salperà per territori inesplorati e, avendo lavorato sia a sequel sia a nuove storie dello studio, posso già dire che sarà creativamente gratificante. Il pubblico è la nostra priorità e qualora dovessimo fare un sequel, è perché crediamo di avere una storia che vale la pena raccontare".
Angus MacLane ha parlato infine della scelta di produrre alcune sequenze in formato IMAX. Egli crede infatti "che l’animazione abbia sempre avuto un rapporto speciale con il pubblico e, nell’era dello streaming, è difficile far capire agli spettatori il valore dell’esperienza in sala. La scelta di produrre alcune sequenze in IMAX coincide dunque con le dimensioni e l’entità della storia che abbiamo voluto raccontare e della sua posta in gioco. Il formato IMAX è servito dunque da interessante strumento di racconto e tensione per amplificare o sgonfiare la tensione. Vedere Lightyear in 1.43:1, oltre che raccomandato, credo sia davvero entusiasmante, specie per gli interessantissimi giochi di luce che si sono venuti a creare spontaneamente durante il rendering delle sequenze che abbiamo appositamente scelto di girare in IMAX, come quella della prima missione di Buzz".
L'appuntamento si è chiuso invece sul tema della rappresentazione, dell'inclusività e delle controversie per la presenza di un bacio gay. In tal senso, Galyn Susman ha raccontato che "alcune delle migliori email che ho ricevuto in questi giorni sono di persone che mi hanno ringraziato per il modo organico in cui siamo riusciti a rappresentare ed includere anche il loro contesto familiare nel racconto del film. O anche solo per aver fatto sì che finalmente anche i loro bambini potessero rivedersi in ciò che veniva rappresentato su schermo. D'altra parte, sono davvero delusa, ma neppure così sorpresa dalle critiche che abbiamo ricevuto, ma questo non ci priva minimamente dell’orgoglio che proviamo per aver rappresentato ed essere riusciti ad includere tutte le tipologie di diversità. D’altronde, la fantascienza ha sempre avuto a che fare con l’ambizione. Mi dispiace solo che alcuni non riescano a vederlo".
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